L’adeguamento del canone di affitto all’inflazione avviene tramite l’indice ISTAT FOI, ma richiede clausole contrattuali specifiche, comunicazioni formali e rispetto delle regole previste per ogni tipologia di contratto.
L’aumento del canone di affitto è una questione che tocca da vicino milioni di italiani, sia in qualità di inquilini che di proprietari. In un contesto economico segnato da un’inflazione crescente, la necessità di adeguare i contratti di locazione ai nuovi indici ISTAT diventa un tema centrale.
Ma come funziona esattamente questo meccanismo? Quali sono i limiti legali all’aggiornamento del canone? E soprattutto, cosa può fare l’inquilino se ritiene l’aumento ingiustificato?
Se ti sei mai chiesto se il proprietario può aumentare l’affitto ogni anno, oppure come verificare la correttezza dell’adeguamento, continua a leggere: troverai risposte chiare, riferimenti normativi e casi concreti.
Sommario
L’adeguamento del canone di affitto all’inflazione si basa sull’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), al netto dei tabacchi. Questo indice misura l’aumento del costo della vita e viene aggiornato mensilmente dall’Istituto Nazionale di Statistica. La base giuridica che consente l’aggiornamento è l’art. 32 della Legge n. 392/1978 (Legge sull’equo canone), che prevede la possibilità di aumentare il canone in misura pari al 75% della variazione dell’indice ISTAT registrata nell’anno precedente, solo se espressamente prevista nel contratto di locazione.
In pratica, se il contratto prevede la clausola di aggiornamento, il locatore può richiedere annualmente l’aumento dell’affitto. Tuttavia, non è automatico: deve essere richiesto in forma scritta e solo dopo la scadenza dell’annualità.
Un esempio: se il canone è di 700 euro mensili e l’indice ISTAT è aumentato del 6%, il locatore potrà chiedere un incremento del 4,5% (cioè il 75% di 6%), portando l’affitto a circa 731,50 euro.
Advertisement - PubblicitàNei contratti a canone concordato, regolati dalla Legge n. 431/1998 e successivi accordi territoriali, l’adeguamento ISTAT segue regole più restrittive rispetto ai contratti a canone libero. Infatti, la possibilità di aggiornamento del canone è spesso limitata al 75% dell’indice FOI, ma non è un diritto automatico: come detto in precedenza deve essere previsto esplicitamente nel contratto e conforme agli accordi locali sottoscritti tra le associazioni dei proprietari e degli inquilini.
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In alcune città, inoltre, gli accordi territoriali prevedono che l’aggiornamento ISTAT non possa superare una determinata soglia o sia del tutto escluso, proprio per contenere gli effetti dell’inflazione su fasce sociali più fragili. Per esempio, a Milano, Roma o Bologna, i recenti accordi impongono vincoli stringenti che vanno sempre verificati caso per caso.
Va ricordato che questi contratti sono spesso associati a vantaggi fiscali per il locatore, come la cedolare secca al 10%. Tuttavia, aderire a un contratto agevolato implica l’accettazione delle limitazioni sull’adeguamento del canone.
Advertisement - PubblicitàAnche se l’adeguamento ISTAT è previsto dal contratto, non avviene in automatico. Il locatore deve comunicare per iscritto l’intenzione di applicare l’aumento, specificando l’indice ISTAT utilizzato, la percentuale di variazione e il nuovo importo richiesto. La comunicazione può avvenire tramite lettera raccomandata, PEC o altro mezzo tracciabile, in modo da garantire prova della ricezione da parte dell’inquilino.
Importante: l’aumento non ha effetto retroattivo. Può essere applicato solo a partire dal mese successivo a quello in cui è stato comunicato. Ad esempio, se la lettera è inviata il 10 aprile, l’aumento si applica dal canone di maggio. Se il locatore omette la comunicazione per più anni, non può pretendere il pagamento degli arretrati: la Cassazione (sentenza n. 20384/2003) ha chiarito che l’adeguamento si perde se non viene richiesto tempestivamente.
Inoltre, nel caso di cedolare secca, l’adeguamento ISTAT non è mai consentito, come stabilito dall’art. 3, comma 11, del D.Lgs. 23/2011: la rinuncia agli aumenti è una condizione per accedere al regime fiscale agevolato.
Advertisement - PubblicitàL’inquilino ha pieno diritto di verificare la correttezza dell’adeguamento ISTAT richiesto dal locatore. In caso di dubbio, può consultare direttamente l’indice FOI pubblicato mensilmente sul sito ISTAT oppure utilizzare uno dei numerosi strumenti di calcolo online messi a disposizione da associazioni di categoria.
L’aumento deve corrispondere esattamente al 75% dell’inflazione rilevata nell’anno precedente e non può essere calcolato su altri parametri.
Se il contratto non contiene una clausola che prevede espressamente l’aggiornamento, l’inquilino può rifiutarsi di pagare l’aumento, anche se richiesto dal locatore. Lo stesso vale se il locatore applica l’adeguamento senza averlo comunicato nei tempi e nei modi previsti. È possibile, in caso di controversia, rivolgersi a un’associazione per la tutela degli inquilini (come SUNIA, Uniat o Sicet) o intraprendere un’azione legale davanti al giudice di pace per contestare l’aumento.
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Inoltre, nel caso di contratto con cedolare secca, qualsiasi richiesta di adeguamento è illegittima. Se il locatore insiste, l’inquilino può segnalare l’abuso all’Agenzia delle Entrate, con possibili conseguenze fiscali per il proprietario.