Nel panorama dell’edilizia urbanistica italiana, uno dei temi più delicati e spesso oggetto di contenzioso è la corretta qualificazione degli interventi edilizi e la compatibilità tra quanto dichiarato nei titoli abilitativi e quanto effettivamente realizzato. Un esempio recente di questo complesso rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione ci arriva dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che ha deciso su un caso riguardante un intervento edilizio inizialmente comunicato come semplice ristrutturazione leggera e poi trasformatosi, secondo l’amministrazione comunale, in un vero e proprio ampliamento residenziale non autorizzato.

Al centro della controversia, una struttura originariamente adibita a portico, che nel tempo è stata chiusa e trasformata in un ambiente abitabile destinato a cucina e soggiorno. Una trasformazione che ha spinto il Comune a ordinare la demolizione dell’opera, ritenendola in totale difformità rispetto alla SCIA presentata anni prima.

Il ricorso del privato contro questa ordinanza si è scontrato con una rigida lettura normativa da parte del TAR, che ha chiarito quando un cambio d’uso può considerarsi abusivo e quali sono i limiti reali della SCIA.

Ma cosa si intende davvero per “cambio d’uso urbanisticamente rilevante”? Quando un portico può essere considerato parte integrante della superficie abitativa? E quali sono le conseguenze se non si rispettano i titoli edilizi?

Scopriamolo nei prossimi paragrafi.

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I fatti: dalla SCIA alla contestazione edilizia

Nel 2017 la proprietaria dell’immobile, situato nel territorio comunale di Viterbo, ha presentato una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) per eseguire una serie di lavori qualificati come ristrutturazione leggera. L’intervento prevedeva finiture interne ed esterne, modifiche alle tramezzature, l’installazione di vetrate removibili su un portico e la sistemazione dell’area esterna con una piscina.

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A supporto delle opere era stato rilasciato anche un nulla osta paesaggistico, il che sembrava legittimare pienamente i lavori annunciati.

Col tempo, però, l’amministrazione comunale ha riscontrato delle difformità tra quanto indicato nella SCIA e quanto effettivamente realizzato. In particolare, durante un sopralluogo è emerso che il portico era stato trasformato in un vero e proprio ambiente abitabile – una cucina-soggiorno – e che era stato installato un piccolo manufatto in legno su platea in calcestruzzo all’interno del giardino.

La somma di questi interventi ha portato il Comune a contestare un ampliamento non autorizzato della volumetria dell’edificio, configurando un abuso edilizio e ordinando la demolizione delle opere.

Questo contrasto tra quanto autorizzato e quanto eseguito ha dato origine al ricorso al TAR, con l’obiettivo di annullare l’ordinanza comunale.

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La posizione del comune: ampliamento abusivo e ordine di demolizione

Secondo il Comune, le opere realizzate non potevano rientrare tra quelle previste nella SCIA del 2017. L’installazione delle vetrate impacchettabili su un portico, come dichiarato inizialmente, era stata considerata compatibile con una ristrutturazione leggera. Tuttavia, quanto eseguito in concreto andava ben oltre: il portico era stato completamente chiuso, annesso all’abitazione e trasformato in uno spazio funzionale alla vita quotidiana, destinato a cucina e soggiorno.

Si trattava, quindi, di un vero e proprio cambio di destinazione d’uso, con aumento della superficie utile residenziale e della cubatura dell’immobile.

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Il Comune ha quindi contestato la radicale difformità tra l’intervento realizzato e quanto autorizzato, ritenendo che la SCIA non fosse un titolo idoneo a coprire tali trasformazioni. In base a questa valutazione, è stata emessa un’ordinanza di demolizione, che ha incluso anche il piccolo manufatto in legno posto nel giardino, considerato privo dei necessari titoli abilitativi.

Il provvedimento impugnato prevedeva inoltre, come misura sanzionatoria eventuale in caso di inottemperanza, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusivamente realizzate. Un’ipotesi che ha ulteriormente aggravato la posizione della proprietaria e acceso il confronto giuridico.

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Le argomentazioni della proprietaria e la richiesta di sanatoria

Di fronte all’ordinanza comunale, la proprietaria dell’immobile ha impugnato il provvedimento, sostenendo che le opere contestate non configurassero un abuso edilizio. A suo avviso, non vi era stato alcun aumento di volumetria né un cambio d’uso urbanisticamente rilevante, poiché il portico rientrava nella stessa categoria funzionale dell’abitazione. L’intervento, secondo la sua difesa, si sarebbe limitato a chiudere parzialmente uno spazio già definito e adibirlo ad una funzione comunque riconducibile all’uso residenziale, senza alterare in modo sostanziale l’assetto urbanistico.

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Per quanto riguarda il manufatto in legno nel giardino, la ricorrente ha sostenuto che si trattava di un fabbricato accessorio ammissibile secondo il vigente piano territoriale paesaggistico e il regolamento edilizio comunale, e che in ogni caso la violazione, essendo di modesta entità, poteva essere sanata con una sanzione pecuniaria.

Inoltre, nel corso del giudizio, è stata presentata una richiesta di permesso di costruire in sanatoria, fondata su una precedente sentenza che aveva riconosciuto l’indice di fabbricabilità dell’area. L’obiettivo era regolarizzare la trasformazione del portico in volumetria residenziale, sostenendo che l’intervento potesse ora essere legittimato sulla base dei nuovi parametri urbanistici.

Nonostante questi tentativi di regolarizzazione, la richiesta di sanatoria è arrivata in ritardo rispetto ai tempi previsti dalla normativa, e non è mai stata accolta formalmente.

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La decisione del TAR: trasformazione urbanisticamente rilevante e rigetto del ricorso

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio con la sentenza n. 8930/2025 ha rigettato il ricorso, confermando la legittimità dell’ordinanza di demolizione. Secondo il TAR, l’intervento effettuato sul portico non poteva essere considerato una semplice ristrutturazione leggera: la chiusura dell’ambiente con infissi, la sua integrazione funzionale con l’abitazione e l’assegnazione a usi abitativi (cucina e soggiorno) hanno determinato un aumento effettivo della superficie utile residenziale e della cubatura, elementi che qualificano l’opera come una trasformazione urbanisticamente rilevante.

Il punto chiave della sentenza è il riconoscimento che, anche all’interno della stessa categoria funzionale (come nel caso del residenziale), il cambio d’uso può essere considerato ediliziamente rilevante se comporta un impatto sull’assetto urbanistico o un incremento del carico urbanistico.

In questo caso, l’ampliamento ha generato una modifica permanente della sagoma dell’edificio e un diverso equilibrio tra le superfici accessorie e quelle residenziali, non previsto né autorizzato dal titolo originario.

Quanto al nulla osta paesaggistico del 2018, il TAR ha precisato che tale atto riguarda solo aspetti ambientali e non può sostituirsi alla valutazione urbanistica. Neanche la successiva istanza di sanatoria ha inciso sulla decisione: presentata troppo tardi e senza una risposta formale da parte dell’amministrazione, è stata ritenuta inefficace ai fini della legittimazione dell’opera.

In conclusione, il TAR ha giudicato corretta la qualificazione dell’intervento come abusivo e ha confermato l’ordine di demolizione, escludendo anche ogni pregiudizio derivante dall’eventuale (ma non avvenuta) acquisizione al patrimonio comunale.