Il TAR Lazio ha confermato l’ordine di demolizione per un’abitazione abusiva ricavata da una soffitta, ribadendo che gli abusi edilizi non si sanano col tempo né con il possesso.

Nel cuore di Roma, una soffitta diventa una piccola abitazione, completa di bagno, cucina e zona giorno. A prima vista, potrebbe sembrare un intervento minimo, una semplice valorizzazione di uno spazio inutilizzato. Ma per l’amministrazione comunale si tratta invece di un abuso edilizio vero e proprio: privo di titolo abilitativo, di autorizzazioni sismiche e vincolistiche, e persino in contrasto con la tutela del decoro architettonico.
Il proprietario si è opposto all’ordine di demolizione, sostenendo che l’immobile era già così al momento dell’acquisto. Tuttavia, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha deciso diversamente, con una sentenza che ribadisce la linea dura contro ogni forma di trasformazione edilizia irregolare, anche a distanza di anni.
Cosa rende abusiva la trasformazione di una soffitta? Esiste ancora il diritto all’affidamento del proprietario? E come si distingue un semplice arredo da una vera variazione urbanistica?
Scopriamo cosa ha deciso il TAR e perché questa pronuncia è destinata a fare scuola.
Sommario
Il provvedimento impugnato nasce da un accertamento condotto sul terrazzo di un edificio situato nel centro storico della Capitale. In quella sede, l’amministrazione ha rilevato la realizzazione abusiva di due interventi distinti ma strettamente collegati: il primo consisteva nel cambio di destinazione d’uso di una soffitta in abitazione; il secondo nella costruzione di un avancorpo, sporgente rispetto al volume originario dell’immobile, con funzione di ampliamento.
Entrambi gli interventi risultavano privi di qualsiasi titolo edilizio, in violazione della legge regionale n. 15/2008, e sprovvisti dei necessari nulla osta:
La trasformazione, secondo il Comune, ha determinato una stabile alterazione del territorio, incompatibile con la normativa edilizia vigente, anche alla luce della destinazione originaria del locale, che era appunto una semplice soffitta condominiale.
Advertisement - PubblicitàPer contrastare l’ordinanza di demolizione, il proprietario ha presentato ricorso sostenendo che l’intervento non avrebbe richiesto alcun titolo abilitativo. A suo avviso, l’immobile si trovava nella medesima condizione già al momento dell’acquisto, e dunque si sarebbe consolidato un legittimo affidamento sulla liceità dello stato dei luoghi.
Inoltre, ha contestato la ricostruzione tecnica dell’amministrazione, affermando che l’ampliamento non esisteva realmente, ma era frutto di un errore catastale commesso da un tecnico precedente.
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Sul cambio destinazione d’uso, il ricorrente ha tentato di ridimensionare l’intervento, sostenendo che si trattava solo di opere interne di modesta entità, come l’allestimento di un bagno e l’inserimento di alcuni arredi. Nulla che, secondo la sua tesi, potesse costituire una trasformazione strutturale o una variazione urbanistica rilevante. In ogni caso, ha richiamato l’art. 23-ter del D.P.R. 380/2001, sostenendo che – nella peggiore delle ipotesi – si sarebbe trattato di un cambio d’uso senza opere, sanzionabile solo con una multa pecuniaria e non con la demolizione.
Advertisement - PubblicitàUno dei punti più significativi della sentenza riguarda la trasformazione della soffitta in un vero e proprio appartamentino. Il TAR ha ritenuto l’intervento un cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, sottolineando che non conta solo l’assenza di opere murarie, ma soprattutto la funzione concreta che il locale assume.
In questo caso, l’ambiente originariamente destinato a uso accessorio è stato reso abitabile con l’inserimento di cucina, bagno, climatizzazione, divano letto, mobilia, impianti e suppellettili: tutti elementi che, nel loro insieme, identificano chiaramente una destinazione residenziale.
La tesi del ricorrente – secondo cui un locale accessorio può essere “migliorato” senza alterarne la funzione – è stata smentita dal TAR sulla base della giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato, che ha più volte affermato la necessità del permesso di costruire anche per i cambi d’uso senza opere, se comportano il passaggio tra categorie funzionali differenti.
Nel caso in esame, la soffitta non era solo una pertinenza, ma è stata strutturalmente e funzionalmente trasformata in un’unità abitativa autonoma, in violazione della normativa urbanistica e in assenza di qualsiasi titolo edilizio. È stato inoltre chiarito che la categoria “pertinenziale” non esclude di per sé l’obbligo di autorizzazione, perché ciò che rileva è l’impatto sul carico urbanistico, ovvero sulla fruizione dei servizi e delle infrastrutture pubbliche.
Il TAR richiama infine un principio fondamentale: la destinazione d’uso incide sulla pianificazione del territorio e, proprio per questo, deve essere sempre valutata con attenzione, soprattutto nei centri storici o in aree vincolate, dove ogni modifica può avere un impatto rilevante sull’equilibrio urbanistico e paesaggistico.
Advertisement - PubblicitàAccanto al cambio di destinazione d’uso, l’amministrazione ha contestato la realizzazione di un avancorpo sporgente di circa 80 centimetri rispetto al volume originario dell’edificio. Il ricorrente ha tentato di minimizzare l’intervento, sostenendo che si trattasse di un errore nella documentazione catastale preesistente, ma il TAR ha ritenuto non credibile questa giustificazione, sulla base di due elementi chiave:
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Secondo il TAR, l’aggiunta dell’avancorpo ha prodotto una modifica strutturale e volumetrica dell’edificio, tale da incidere anche sul profilo statico e sulla conformità prospettica dell’immobile. Si tratta, dunque, di un’opera soggetta non solo a permesso di costruire, ma anche a parere vincolante della Soprintendenza e autorizzazione sismica da parte del Genio Civile, entrambi assenti.
In definitiva, l’ampliamento non può essere qualificato come semplice opera interna, ma è da considerarsi un intervento edilizio rilevante, realizzato in totale assenza di autorizzazioni e, pertanto, illecito a tutti gli effetti.
Advertisement - PubblicitàIl TAR del Lazio, con la sentenza n. 18583/2025, ha confermato l’obbligo di demolizione per entrambe le opere contestate, respingendo tutte le eccezioni sollevate dal ricorrente. Non ha rilevanza che l’immobile fosse già così al momento dell’acquisto, né che siano passati anni prima dell’intervento del Comune: l’abuso edilizio non si prescrive e non si sana automaticamente con il tempo.
Secondo i giudici, nessun affidamento legittimo può fondarsi su una situazione di fatto abusiva, specie quando mancano provvedimenti amministrativi favorevoli. In più, trattandosi di un atto vincolato, l’ordinanza di demolizione non richiede motivazioni particolari né una valutazione comparativa tra interessi in gioco: il Comune è tenuto ad agire per ripristinare la legalità, senza margini di discrezionalità.
La sentenza ha quindi respinto il ricorso e condannato il proprietario anche al pagamento delle spese legali, stabilendo un principio chiaro: nei centri storici e in aree vincolate, ogni trasformazione edilizia deve essere pienamente conforme alle norme. Chi realizza interventi senza i necessari titoli si espone al rischio concreto di demolizione, anche a distanza di molti anni.
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