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No al Superbonus, sì agli impianti rinnovabili offshore

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La Banca d’Italia ha da poco pubblicato un nuovo studio che tende ad esaminare a fondo ogni mezzo per abbattere le emissioni inquinanti incluse nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).

Gli economisti Matteo Alpino, Luca Citino e Federica Zeni hanno effettuato delle ricerche per riuscire a capire quale intervento sia in grado di avere un impatto positivo e ripagarsi entro il 2030, un anno entro il quale i maggiori esperti del settore sperano che i principali paesi adottino delle misure per indirizzarsi verso la neutralità carbonica, almeno entro il 2050.

Tra tutte queste misure adottate per il raggiungimento futuro di questo scopo, una in particolare ha avuto un impatto negativo; si tratta del Superbonus 110%, un incentivo in grado di far ottenere un rimborso del 110% della spesa a tutti quelli che adoperano interventi di efficienza energetica sui propri immobili, voluto dal Movimento 5 Stelle e mai accettato dall’ex presidente del Consiglio Mario Draghi.

Il credito che si accumula fornisce un diritto al rimborso a pieno carico da parte dello Stato, in modo tale da essere così ceduto a istituti di credito o privati pronti ad acquisirlo.

Tutte le altre misure, invece, hanno finora dato esito positivo, quali le comunità energetiche, i sistemi di produzione energetica agrivoltaica e gli impianti rinnovabili offshore.

Perché il Superbonus è un problema

Il Superbonus viene calcolato in base al costo sociale delle emissioni di carbonio di tutto il globo (SCC), che ogni mezzo potrà ridurre.  Tale riduzione si confronta con il costo totale della misura adottata, così da poter capire nell’immediato se i benefici avranno superato i costi.

Il Recovery Plan aveva previsto un investimento pari a 71,7 miliardi di euro, circa il 37,5% dei fondi complessivi del piano di resilienza. Il Superbonus, pertanto, ha un costo particolare di 13,95 miliardi di euro che porterebbe una diminuzione delle emissioni di CO2 di 0,667 milioni di tonnellate l’anno a cominciare dal 2027.

Eppure, secondo i recenti studi degli esperti, il Superbonus non porterà alcun frutto, risultando di conseguenza assolutamente inefficace per ridurre le emissioni in Italia.

Tale incentivo molto probabilmente potrà ripagarsi solamente dopo l’anno 2100. Ecco perché il Superbonus risulterebbe efficace solo se la percentuale del tasso di interesse sui prestiti sia al di sotto del 2% prima del 2067, suggerendo uno sconto pari al 40% per poter raggiungere tale target.

In questo modo la riduzione totale delle emissioni risulterebbe essere minore a favore, però, di un ottimo rapporto tra spesa e risultato, riuscendo a liberare fondi per altri tipi di interventi.

Gli impianti rinnovabili offshore promossi a pieni voti

A differenza del Superbonus, altri interventi hanno ricevuto gli onori da parte degli esperti per la loro funzione economica e sociale. Tra questi risulta esserci lo sviluppo dei campi agrovoltaici, in modo da usufruire del terreno unendo la produzione energetica mediante i pannelli fotovoltaici alle coltivazioni.

A fronte di questo intervento sono stati spesi ben 1,1 miliardi di euro che verranno sicuramente ripagati entro l’anno 2023, nella situazione in cui le banche tendono ad applicare dei tassi di interesse al più del 2%, e nel 2067 se fossero al più del 5%.

Gli studi affermano che queste misure sono molto efficienti così come lo sviluppo delle comunità energetiche.

Per stimolare la produzione autonoma privata di energia pulita, lo Stato ha previsto una spesa di 2,2 miliardi di euro demolendo, così, le emissioni di circa 1,5 milioni di tonnellate ogni anno dal completamento. L’investimento, con tali condizioni, verrebbe ripagato nel 2026.

In questo stesso anno hanno la possibilità di andare in pari anche gli impianti rinnovabili considerati del tutto innovativi, e che per questo motivo hanno necessità di una spesa maggiore in Ricerca e Sviluppo, all’egual modo di quei mezzo che tendono a sfruttare il movimento delle onde marine per poter produrre energia.

Si parla, pertanto, degli impianti offshore, il cui costo è molto probabilmente sui 680 milioni di euro, con un beneficio di circa 0,29 milioni di tonnellate di CO2 risparmiate ogni 365 giorni.

Cos’è un impianto rinnovabile offshore

Quando si tratta di interventi governativi al fine di generare risparmio energetico, è utile sottolinearne l’importanza spiegando per bene di che cosa si tratta. Infatti, l’impianto offshore, a differenza di un impianto onshore che nasce praticamente sulle terraferma (situati in zone aperte o su rilievi collinari o montuosi), nasce direttamente nell’acqua e dà sicuramente un contributo più che positivo per lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

La stessa Europa punta tantissimo su queste misure, favorendo tantissimo l’innovazione tecnologica per produrre energia rinnovabile in acqua. Quando si tratta di offshore si parla di eolico, un fotovoltaico flottante che sfrutta le correnti e le onde marine.

L’Italia ha la fortuna di affacciarsi sul mare da tutti i lati, ponendo, dunque, il presupposto di fare bene mediante questo fotovoltaico offshore.

La stessa Unione Europea ha potuto prevedere per l’anno 2050 una disponibilità di 300 GW di eolico offshore e 40 GW di energia prodotta dal mare. Al fine di raggiungere, però, questi obiettivi, è essenziale che ci siano sempre degli interventi governativi in fatto di investimenti, permettendo di realizzare impianti ed infrastrutture connesse tra di loro.

L’eolico offshore

Un eolico offshore altro non è che un’organizzazione di più parchi eolici realizzati e basati sulla superficie dell’acqua mediante l’installazione di pale galleggianti che riescono in questo modo a sfruttare a dovere l’energia prodotta dal vento, sempre più forte e stabile man mano che ci si allontana dalla costa.

La produzione energetica è più forte grazie a tutto ciò, e più è forte il vento più la quantità di energia aumenta. Infatti, per far muovere le pale in modo da avviare un processo di conversione dell’energia eolica del vento in una forma che può essere utilizzata, sia dal punto di vista meccanico che elettrico, è proprio il vento.

Strumento essenziale è l’aerogeneratore eolico (le pale) ed il processo non avviene subito ma bisogna attendere che l’energia aerodinamica raccolta diviene prima meccanica e poi elettrica. È il motivo per il quale le installazioni avvengono dove ci sono spesso venti forti, laddove l’energia ha la possibilità di essere lavorata come si deve, permettendo ottimi risultati.

Secondo le statistiche, finora in Europa ad avere la maggiore produzione di energia rinnovabile mediante l’uso degli impianti eolici offshore risulta essere il Regno Unito, seguito da Belgio e Germania. Target dell’UE è quello di passare da 13 GW di potenza installata a 60 GW almeno non oltre il 2030.

Al di fuori dell’Europa, anche il Giappone si sta poco a poco interessando all’installazione di questi impianti, con l’obiettivo di realizzarne alcuni in grado di generare 45 GW di potenza entro il 2040. In caso di successo, risulterà essere tra i primi 3 paesi al mondo a produrre molta energia rinnovabile, quasi alla pari con USA e Cina.

È chiaro che per installare determinati impianti costerebbe non poco, come già anticipato, poiché i costi superano, almeno inizialmente, i ricavi.

L’Italia, soprattutto, risulta essere ancora indietro rispetto ad altri paesi europei sotto questo punto di vista, anche se il mediterraneo offre degli spunti abbastanza interessanti e fruttuosi, seppur non al livello dei mari del nord Europa, dove i venti sono molto più intensi e i fondali meno profondi. Ecco, perché, il Governo ha incentivato questi impianti, favorendone l’installazione, prevedendo un traguardo di 900 MW di potenza installata entro il 2030.

Pertanto, l’eolico offshore è sia un elemento essenziale per la transizione energetica, sia per la decarbonizzazione e sia per avviare nuove opportunità di lavoro, utile in ambito economico ed occupazionale.

Quando l’impianto offshore è flottante

Anche il fotovoltaico flottante offshore risulta essere una soluzione per il maggior risparmio energetico, costituito da pannelli solari installati su delle piattaforme galleggianti sull’acqua.

Questo impianto offre la possibilità di costruire ingenti superfici solari capaci di sfruttare a pieno la riflettanza dell’acqua, quest’ultima utilizzata per raffreddare gli stessi pannelli. In Italia i presupposti per la realizzazione di molte di queste strutture rinnovabili sono più che positive e, al contrario dell’eolico offshore, il fotovoltaico flottante può basarsi su specchi d’acqua ferma, in modo tale da evitare sollecitazioni meccaniche che ne comprometterebbero la funzionalità dei pannelli.

I primi ad usufruire dei vantaggi derivanti da questi impianti sono i campi agricoli che tendono a consumare ogni anno grandissime quantità di energia. Per quanto concerne altri paesi, Olanda e Giappone hanno già avviato le funzionalità di questi impianti, mentre in Italia sono stati già presentati e avviati i primi progetti.

Le potenzialità di certo non mancano ed è giusto procedere con cautela e prudenza dato che gli studi sull’impatto ambientale non sono del tutto ultimati. Tuttavia, i presupposti per incentivare tali impianti promettono bene anche se bisogna attendere alcuni anni prima di vedere i primi risultati.

Per scaricare lo studio clicca qui.

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TAGS: carbonio, emissioni, eolico, fotovoltaico, PNRR, Recovery Plan, Superbonus

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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