La responsabilità del direttore dei lavori è uno dei temi più delicati e discussi nel settore edilizio. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 12079/2025, affronta proprio questo nodo cruciale, chiarendo fino a che punto può spingersi la responsabilità penale del tecnico incaricato della direzione dei lavori in caso di abusi edilizi.

La Corte ha stabilito che anche in assenza fisica del direttore in cantiere, questi può essere ritenuto responsabile penalmente, qualora emerga che fosse consapevole degli illeciti o abbia omesso di intervenire pur avendone l’obbligo.

Una decisione che ha già suscitato attenzione e che impone una riflessione seria su cosa significhi realmente “dirigere i lavori” e su come i professionisti possano tutelarsi.

È sufficiente la nomina formale? Basta la presenza del nome sul cartello di cantiere per dimostrare il coinvolgimento? Come si concilia tutto questo con l’onere della prova in ambito penale?

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Il ruolo del direttore dei lavori: obblighi, responsabilità e confini normativi

Il direttore dei lavori è una figura centrale nel processo edilizio: controlla l’esecuzione dell’opera in conformità al progetto approvato, vigila sul rispetto delle normative tecniche e urbanistiche e rappresenta un punto di riferimento per la committenza e l’amministrazione pubblica.

In Italia, il suo ruolo è regolato principalmente dal Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001), che lo individua come responsabile dell’osservanza delle disposizioni legislative e regolamentari durante la realizzazione dell’intervento.

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Il direttore dei lavori deve garantire che tutto avvenga nel rispetto del permesso di costruire o della SCIA, segnalando eventuali difformità e sospendendo i lavori in caso di violazioni. Tuttavia, non è raro che sorgano dubbi su quanto sia effettivamente responsabile in caso di abusi commessi dall’impresa esecutrice o su iniziativa del committente.

Questa ambiguità tra responsabilità oggettiva e colpevolezza concreta è stata al centro della sentenza della Cassazione che stiamo analizzando.

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Il caso esaminato dalla corte: un abuso edilizio e un direttore dei lavori “assente”

La vicenda giudiziaria oggetto della sentenza della Cassazione n. 12079/2025 trae origine da un intervento edilizio effettuato senza il rilascio del prescritto permesso di costruire, in un’area soggetta a vincolo paesaggistico, dunque particolarmente tutelata dalla normativa.

Nello specifico, si trattava della realizzazione di una struttura in muratura, completa di copertura, priva di titolo abilitativo e in contrasto con i vincoli urbanistici e paesaggistici imposti dal piano territoriale.

Il direttore dei lavori, pur formalmente indicato nei documenti depositati al Comune e nel cartello di cantiere, sosteneva di non aver mai esercitato le funzioni di vigilanza, dichiarandosi del tutto estraneo alla realizzazione dell’opera. A suo dire, il proprio nome era stato apposto a sua insaputa, senza alcuna autorizzazione o accettazione formale dell’incarico.

La sua linea difensiva ruotava attorno al concetto di “nomina fittizia”, cioè a una responsabilità solo apparente, priva di qualunque riscontro fattuale.

Tuttavia, le indagini avevano portato alla luce una serie di elementi — comunicazioni via PEC, firme apposte su atti tecnici, omissione di segnalazioni — che dimostravano non solo la conoscenza dell’opera, ma anche un implicito assenso alla sua prosecuzione. In particolare, la mancata denuncia alle autorità di un cantiere evidentemente abusivo e l’inerzia protratta per l’intera durata dei lavori sono state interpretate dai giudici come un comportamento omissivo penalmente rilevante.

Per la Corte, la responsabilità del direttore dei lavori può essere fondata anche su una condotta “di fatto”, e non soltanto su atti formali.

Questo passaggio si rivela fondamentale: il concetto di responsabilità si sgancia dall’idea tradizionale di presenza fisica o di direzione attiva e assume contorni più ampi, legati al principio della colpa per omissione e alla collaborazione silente nel reato.

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La decisione della Cassazione: responsabilità anche senza presenza fisica

Con la sentenza n. 12079/2025, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna del direttore dei lavori, chiarendo alcuni principi fondamentali in materia di responsabilità penale nei reati edilizi. In particolare, i giudici hanno stabilito che non è necessaria la presenza fisica continuativa del direttore dei lavori in cantiere per configurarne la responsabilità: ciò che conta è il suo ruolo sostanziale e l’effettiva consapevolezza dello svolgimento dell’opera in violazione di legge.

Secondo la Corte, l’elemento soggettivo della colpa può derivare anche da una condotta omissiva, ovvero dalla mancata attivazione del tecnico nel bloccare i lavori illeciti, denunciare l’abuso o dissociarsi formalmente. È sufficiente, ai fini della responsabilità, che risulti una tolleranza consapevole dell’intervento abusivo o la mancata vigilanza su attività che rientravano nel proprio ambito di competenza.

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Un altro punto cruciale della sentenza riguarda il valore della prova indiziaria: la Cassazione ha ribadito che l’accertamento della responsabilità può basarsi su un insieme di indizi gravi, precisi e concordanti, come la firma su elaborati tecnici, la mancata revoca dell’incarico, il silenzio protratto durante l’attività di cantiere. In altre parole, il giudice può trarre la colpevolezza anche da comportamenti omissivi o dalla mancata adozione di misure doverose.

Questo orientamento amplia notevolmente il perimetro della responsabilità professionale, richiamando i tecnici alla massima attenzione e diligenza nell’esercizio delle proprie funzioni.