Il Consiglio di Stato ha confermato il diniego di condono per opere abusive in area vincolata, chiarendo i limiti del terzo condono edilizio e l’irrilevanza della compatibilità paesaggistica.
Richiedere un condono edilizio non è sempre possibile, soprattutto quando l’immobile si trova in un’area protetta da vincoli paesaggistici. È quanto ha chiarito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5240/2025, pubblicata il 16 giugno 2025, confermando il diniego del Comune alla richiesta di sanatoria edilizia presentata da una società immobiliare.
Nel caso specifico, l’impresa aveva realizzato alcune modifiche a due edifici di una lottizzazione: tra queste, l’aumento delle altezze del sottotetto, la predisposizione di locali di sgombero per uso abitativo, e un incremento significativo del volume complessivo. L’intervento si trovava però in una zona soggetta a vincolo paesaggistico, e il volume realizzato superava il limite massimo previsto dalla legge per poter chiedere il condono.
Nonostante il parere favorevole della Soprintendenza sotto il profilo paesaggistico, il Comune ha negato il condono, e i giudici amministrativi hanno confermato che, in casi come questo, la legge non consente alcuna forma di sanatoria.
Ma quali sono i casi in cui il condono edilizio è davvero possibile? E cosa succede quando si interviene in aree vincolate? Vale davvero la pena confidare in futuri “salva casa”?
Sommario
La vicenda prende avvio nel 2004, quando una società immobiliare presenta al Comune un’istanza di condono edilizio ai sensi del “terzo condono”, per una serie di opere realizzate in un complesso edilizio situato in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Le modifiche riguardavano, tra l’altro, l’innalzamento dell’altezza del sottotetto, la predisposizione di impianti per uso abitativo in locali di sgombero, e soprattutto un aumento consistente della superficie utile e del volume edificabile.
Parallelamente, la società richiese anche l’accertamento di compatibilità paesaggistica, ottenendo nel 2009 un parere favorevole dalla Soprintendenza, con l’avvertenza che restava salva l’applicazione delle norme in materia di condono edilizio. Tuttavia, il provvedimento definitivo non fu mai rilasciato a causa del mancato pagamento delle sanzioni previste per la sanatoria ambientale.
Nel 2016 il Comune rigettò formalmente la richiesta di condono, motivando il diniego sulla base di tre punti chiave: la natura dell’abuso, l’area vincolata, e il superamento dei limiti volumetrici previsti dalla legge.
Advertisement - PubblicitàIl Comune ha respinto la domanda di condono con una motivazione articolata e fondata su più elementi giuridici. Innanzitutto, ha rilevato che l’intervento abusivo rientrava nella tipologia 1 dell’allegato 1 del DL 269/2003, ovvero opere realizzate in assenza o difformità dal titolo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici. Questa categoria, secondo quanto stabilito dalla legge e confermato dalla giurisprudenza, non è sanabile se eseguita in aree soggette a vincolo paesaggistico, indipendentemente dalla natura assoluta o relativa del vincolo stesso.
Secondo punto critico: l’abuso comportava un incremento volumetrico superiore a 750 metri cubi, limite massimo previsto per poter accedere al condono in aree vincolate. La società aveva cercato di ridurre il peso dell’abuso sostenendo che solo una parte della volumetria fosse realmente da considerarsi illegittima, ma il Consiglio di Stato ha respinto questa tesi, ribadendo che il calcolo volumetrico si riferisce all’intera opera oggetto della domanda.
Infine, l’amministrazione ha chiarito che il parere favorevole sulla compatibilità paesaggistica – pur rilasciato in passato – non comporta alcun automatismo nel riconoscimento del condono edilizio, poiché incide solo sul profilo penale dell’abuso (estinzione del reato), ma non su quello amministrativo.
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Advertisement - PubblicitàLa decisione del Consiglio di Stato si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, secondo cui nelle aree soggette a vincolo paesaggistico sono sanabili esclusivamente gli abusi cosiddetti “minori”, individuati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del DL 269/2003. Si tratta di opere di restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, eseguite su immobili già esistenti e conformi alla pianificazione urbanistica vigente.
Per contro, gli abusi di maggior rilievo, come la realizzazione di nuove superfici o l’aumento volumetrico in difformità, non rientrano nell’ambito di applicazione del condono. Questo vale anche se il vincolo è di tipo “relativo” e non assoluto, e anche quando l’intervento risulti conforme alle norme urbanistiche: ciò che conta è la tipologia dell’abuso.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 196/2004, ha chiarito che il cosiddetto terzo condono è strutturalmente più restrittivo rispetto ai precedenti, proprio perché delimita con precisione le categorie di interventi condonabili e introduce specifici limiti nelle aree protette. Lo stesso Consiglio di Stato ha ribadito questo principio in diverse pronunce recenti, tra cui la n. 746/2025 e la n. 8103/2024.
Advertisement - PubblicitàUno degli argomenti principali sollevati dalla società appellante riguardava il parere favorevole espresso dalla Soprintendenza, che aveva giudicato compatibili le opere dal punto di vista paesaggistico. Tuttavia, questo elemento – seppur rilevante sul piano penale – non è sufficiente a legittimare automaticamente il condono edilizio.
Il Consiglio di Stato ha chiarito che la sanatoria ambientale, disciplinata dalla legge 308/2004, produce effetti limitati: essa può determinare l’estinzione del reato paesaggistico, ma non elimina l’illecito amministrativo derivante dalla violazione delle norme edilizie e urbanistiche. Per ottenere il condono edilizio vero e proprio, è necessario che tutti i presupposti previsti dall’art. 32 del DL 269/2003 siano rispettati, inclusi i limiti volumetrici, la tipologia di abuso e la conformità urbanistica.
Inoltre, tanto il parere della Soprintendenza quanto l’atto comunale che lo recepiva facevano esplicito riferimento alla necessità di rispettare la normativa sul condono edilizio, segnalando che l’autorizzazione paesaggistica non implicava alcuna automatica sanabilità.
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