Una semplice tenda esterna installata davanti a un locale può trasformarsi in un caso emblematico di conflitto tra privati e pubblica amministrazione. È quanto accaduto in un comune abruzzese, dove i gestori di un’attività commerciale si sono trovati al centro di una lunga vicenda urbanistica e giudiziaria.

Dopo aver ottenuto l’annullamento di una prima diffida alla rimozione della tenda da parte del TAR, i titolari si sono visti notificare nuovi provvedimenti: sospensione dei lavori e ordine di demolizione, motivati dalla presunta irregolarità dell’intervento edilizio.

I ricorrenti hanno allora presentato un nuovo ricorso, sostenendo che l’amministrazione stesse tentando di aggirare la precedente sentenza. Ma il TAR, con la pronuncia n. 193 del 2025, ha respinto questa tesi: secondo il giudice amministrativo, la pubblica amministrazione ha agito legittimamente, esercitando il potere di verifica edilizia in seguito a una nuova istruttoria, e non eludendo affatto quanto deciso in precedenza.

Cosa succede quando un intervento edilizio, apparentemente minore, finisce sotto la lente della giustizia amministrativa? Qual è il confine tra diritto al ripristino e abuso edilizio? E quanto conta la corretta qualificazione dell’opera – tenda, pergotenda o tettoia – ai fini dell’autorizzazione?

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Il contesto urbanistico e normativo: tra pergotenda e tettoia abusiva

Nel cuore della questione si trova una tipologia di struttura che, negli ultimi anni, ha sollevato numerosi dubbi giuridici e applicativi: la pergotenda. La distinzione tra una semplice copertura amovibile e una struttura fissa – come una tettoia infissa al suolo – non è solo semantica, ma ha conseguenze dirette sul regime autorizzativo necessario.

In linea generale, una pergotenda, se priva di ancoraggi permanenti e facilmente removibile, rientra nelle opere di edilizia libera, ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. 380/2001. Al contrario, una tettoia stabilmente fissata al suolo, specie se realizzata su area pubblica e in contesti vincolati dal punto di vista paesaggistico o architettonico, necessita di un apposito permesso di costruire, oltre che delle autorizzazioni previste dal Codice dei beni culturali e del paesaggio.

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In questo caso, il nodo centrale ruotava proprio attorno alla qualificazione dell’opera: i ricorrenti sostenevano di aver semplicemente reinstallato una tenda retrattile precedentemente autorizzata con una DIA risalente a diversi anni prima, mentre l’amministrazione comunale ha qualificato l’intervento come la realizzazione ex novo di una tettoia infissa su suolo pubblico, quindi soggetta a specifici titoli abilitativi.

Tale divergenza interpretativa ha innescato una serie di azioni amministrative e ricorsi che hanno richiesto l’intervento del giudice amministrativo.

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Il primo ricorso: quando il TAR aveva dato ragione ai gestori

La vicenda giudiziaria prende avvio con un primo ricorso presentato dai titolari dell’attività commerciale, dopo che il Comune aveva notificato un ordine di rimozione della tenda per presunta irregolarità edilizia. L’intervento, secondo l’amministrazione, ostacolava la riqualificazione del marciapiede antistante e risultava sprovvisto dei titoli abilitativi necessari.

I gestori, invece, sostenevano che la tenda era stata regolarmente installata molti anni prima, in forza di una dichiarazione di inizio attività (DIA), corredata anche dal parere favorevole della Soprintendenza, trattandosi di edificio storico.

Nel valutare il caso, il TAR ha accolto il ricorso, ma lo ha fatto non sulla base della regolarità edilizia dell’opera, bensì per vizi formali e procedurali. In particolare, il Tribunale ha rilevato che i provvedimenti repressivi erano stati adottati da soggetti non competenti – ad esempio, il Comandante della Polizia Locale, anziché il responsabile dell’ufficio urbanistica – e che non era stata condotta una istruttoria adeguata per verificare se la struttura fosse realmente infissa al suolo o semplicemente appoggiata. La mancanza di accertamenti tecnici puntuali ha reso i provvedimenti illegittimi, portando all’annullamento degli stessi.

Tuttavia, la sentenza non ha sancito il diritto automatico a reinstallare la tenda, né ha escluso che l’opera potesse essere considerata abusiva in caso di successiva istruttoria completa. Una distinzione fondamentale che avrebbe segnato gli sviluppi successivi della vicenda.

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La nuova azione del comune: istruttoria e sopralluoghi

Dopo la pronuncia favorevole ai gestori, l’amministrazione comunale non è rimasta ferma. Anziché accettare passivamente la sentenza, ha avviato un nuovo procedimento amministrativo, stavolta rispettando puntualmente i passaggi previsti dalla normativa.

Sono stati effettuati due sopralluoghi ravvicinati, condotti da personale del Servizio Urbanistica e della Polizia Locale, da cui è emersa – secondo gli atti comunali – la presenza di un nuovo manufatto, definito come “tettoia infissa su suolo pubblico”.

L’amministrazione ha evidenziato una serie di criticità tecniche e giuridiche: l’assenza del permesso di costruire, la mancanza di autorizzazione per l’occupazione permanente di suolo pubblico, l’assenza del nulla osta paesaggistico e della compatibilità con i vincoli architettonici, nonché la mancata presentazione della documentazione sismica prevista dalla normativa regionale.

In sostanza, la struttura veniva ritenuta in contrasto con diversi livelli di regolamentazione urbanistica e paesaggistica, oltre che realizzata senza alcun titolo abilitativo valido.

Sulla base di questa nuova istruttoria, il Comune ha emesso due nuovi provvedimenti: un’ordinanza di sospensione dei lavori e, poco dopo, una diffida alla demolizione dell’opera, avvertendo che in caso di inottemperanza sarebbe stata attivata la rimozione in danno. Le motivazioni addotte erano ben più articolate rispetto ai precedenti provvedimenti, tanto che il TAR ha poi riconosciuto la legittimità dell’azione amministrativa, sottolineando che non si trattava di un’elusione della sentenza precedente, ma di un esercizio autonomo e rinnovato del potere pubblico.

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Le ragioni della sentenza n. 193/2025: nessuna elusione, solo una nuova valutazione

Con la sentenza n. 193/2025, il TAR ha stabilito un principio fondamentale per le controversie in materia edilizia: una nuova istruttoria legittima consente all’amministrazione di riattivare il proprio potere repressivo, anche dopo una precedente sentenza sfavorevole, purché questa venga rispettata nei suoi presupposti.

Il Tribunale ha respinto il ricorso dei gestori del locale, che invocavano l’ottemperanza alla sentenza precedente sostenendo che i nuovi atti del Comune fossero solo un tentativo di aggirarla.

I giudici hanno chiarito che la precedente sentenza aveva annullato i provvedimenti comunali per vizi formali e istruttori, non per aver riconosciuto la piena legittimità dell’opera edilizia. Inoltre, è emerso che la tenda installata nel 2024 non era più la stessa di quella rimossa nel 2023: ciò ha rafforzato la posizione del Comune, che ha agito su un nuovo fatto, con un’istruttoria completa e nel rispetto delle competenze amministrative.

Il TAR ha quindi sottolineato che non si può parlare di elusione del giudicato quando l’amministrazione, dopo aver visto annullare un provvedimento per carenze procedurali, riattiva correttamente il procedimento con una nuova base istruttoria. Il passaggio cruciale della decisione è stato proprio questo: non era in discussione l’efficacia della sentenza precedente, ma la legittimità dei nuovi atti adottati in riferimento a un’opera diversa, o comunque non identica a quella già oggetto di giudizio.