Un agriturismo amplia le proprie strutture con piscina, verande e tettoie senza permessi. Le opere, in zona vincolata e prive di titoli edilizi, devono essere demolite integralmente.
Negli ultimi anni, sempre più imprese agricole hanno deciso di ampliare la propria attività abbracciando il turismo rurale, offrendo ospitalità, ristorazione e servizi legati al territorio. Una tendenza virtuosa che però si scontra spesso con la complessa rete normativa che regola gli interventi edilizi in ambito agricolo, soprattutto in presenza di vincoli paesaggistici.
La recente sentenza del TAR Lazio rappresenta un caso esemplare: un’azienda agricola attiva nel settore agrituristico è stata destinataria di un’ordinanza di demolizione per una lunga serie di opere realizzate in assenza di titoli edilizi e paesaggistici. I giudici amministrativi hanno rigettato il ricorso dell’azienda, ribadendo con fermezza che la sola attività agricola o agrituristica non autorizza automaticamente a costruire.
Quando una SCIA è sufficiente a legittimare un intervento? Quali opere ricadono davvero nell’edilizia libera? E in che misura i vincoli paesaggistici possono bloccare i progetti imprenditoriali rurali?
Proviamo a scoprirlo insieme attraverso il caso giudiziario che ha sollevato tutte queste domande.
Sommario
Il contenzioso nasce da un controllo effettuato dalla polizia locale su un terreno agricolo condotto da una società che aveva avviato un’attività agrituristica, regolarmente iscritta nell’elenco regionale. L’area risultava però interessata da numerosi interventi edilizi non autorizzati: trasformazioni strutturali, ampliamenti e nuove costruzioni, tutte in un contesto sottoposto a vincolo paesaggistico.
Tra le opere contestate dall’amministrazione figuravano tettoie in legno, verande in vetro, pergolati, una piscina, un bar con cucina e servizi igienici, strutture destinate a pollaio e ricovero animali, un chiosco, un ampio piazzale con parcheggio e diversi cambi di destinazione d’uso da locali agricoli a residenziali o ricettivi. In particolare, le autorità hanno rilevato che queste trasformazioni erano avvenute senza alcun titolo edilizio o autorizzazione paesaggistica preventiva.
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L’amministrazione comunale ha quindi ordinato la demolizione di tutte le opere realizzate abusivamente e il ripristino dello stato dei luoghi. Da qui il ricorso al TAR da parte dell’azienda, che ha cercato di difendere la legittimità degli interventi sulla base della documentazione agrituristica depositata negli anni.
Advertisement - PubblicitàNel ricorso al TAR, la società agricola ha sostenuto che gli interventi edilizi contestati fossero funzionali all’attività agrituristica regolarmente avviata. Ha infatti fatto riferimento a diverse SCIA (Segnalazioni Certificate di Inizio Attività) presentate al Comune negli anni precedenti, sostenendo che, a seguito del decorso dei termini previsti dalla legge, si fosse formato il cosiddetto “silenzio-assenso” in merito alla legittimità delle opere.
Inoltre, i ricorrenti hanno richiamato la normativa regionale in materia di agriturismo, sostenendo che, in quanto destinati ad attività multifunzionali agricole, i fabbricati non avrebbero subito un effettivo cambio di destinazione d’uso, né generato nuovi carichi urbanistici. In alcuni casi, si è tentato di ricondurre gli interventi contestati nell’ambito dell’edilizia libera, sostenendo che tettoie, pergolati o verande fossero strutture leggere, temporanee e pertanto non soggette a permesso di costruire.
Infine, i ricorrenti hanno contestato la legittimità della notifica dell’ordinanza solo a uno dei soci della società, chiedendo l’annullamento del provvedimento per vizio formale, e invocato l’applicazione di una sanzione pecuniaria in alternativa alla demolizione.
Advertisement - PubblicitàIl Tribunale Amministrativo, tramite la sentenza n. 23099/2024, ha respinto integralmente il ricorso, affermando con chiarezza alcuni principi fondamentali in materia edilizia. In primo luogo, ha stabilito che le SCIA presentate per l’attività agrituristica non possono in alcun modo valere come titoli edilizi per la realizzazione di opere. L’attività imprenditoriale agricola o agrituristica, anche se autorizzata, non legittima automaticamente la costruzione o la trasformazione degli edifici.
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Il TAR ha poi escluso la possibilità di applicare il silenzio-assenso, chiarendo che al momento della presentazione delle SCIA non esisteva più la norma regionale che lo prevedeva (l’art. 18 della L.R. Lazio n. 14/2006, abrogata nel 2018). Inoltre, anche laddove fosse rimasta vigente, avrebbe riguardato solo l’attività agrituristica e non le opere edilizie, le quali richiedono specifici titoli abilitativi.
Particolarmente rilevante è stato il richiamo alla disciplina paesaggistica: tutte le opere erano state realizzate in una zona sottoposta a vincolo, e in assenza di autorizzazione paesaggistica. In alcuni casi, i ricorrenti avevano avviato un procedimento di sanatoria, ma questo – ha ricordato il TAR – non sospende né rende illegittimo l’ordine di demolizione. Anche le strutture che la parte riteneva leggere o temporanee (pergotende, tettoie, verande) sono state considerate “nuova volumetria”, quindi soggette a permesso di costruire.
Infine, il TAR ha ritenuto pienamente legittima la notifica dell’ordinanza al solo socio amministratore, trattandosi di una società semplice priva di personalità giuridica. Nessun vizio formale, quindi, nel provvedimento impugnato.
Advertisement - PubblicitàUno degli argomenti difensivi principali dell’azienda agricola riguardava la presentazione di varie istanze di accertamento di compatibilità paesaggistica, nella speranza che ciò potesse impedire o almeno sospendere gli effetti dell’ordinanza di demolizione. Il TAR, tuttavia, ha chiarito che la semplice proposizione di una domanda di sanatoria non sospende né incide sulla legittimità dell’ordine di ripristino già emesso.
In base all’art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, l’accertamento di compatibilità può eventualmente evitare l’esecuzione della demolizione, ma ciò può avvenire solo dopo un’apposita valutazione da parte dell’amministrazione competente. Fino a quel momento, l’ordine di demolizione è pienamente efficace e legittimo. Questo principio è stato ribadito più volte dalla giurisprudenza, e il TAR lo ha pienamente applicato anche in questa vicenda.
In altre parole: presentare una sanatoria non mette in pausa l’obbligo di demolire. La responsabilità dell’intervento abusivo resta, e solo un esito positivo del procedimento paesaggistico potrà eventualmente cambiare le sorti dell’opera, ma non automaticamente.
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Advertisement - PubblicitàUn ulteriore punto del ricorso riguardava la richiesta di applicare, in luogo della demolizione, una sanzione pecuniaria. Secondo i ricorrenti, il Comune avrebbe dovuto valutare la possibilità di mantenere le opere realizzate, imponendo il pagamento di una somma come previsto dall’art. 34 del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) in caso di parziale difformità dal permesso di costruire.
Il TAR ha però escluso questa possibilità per una ragione ben precisa: le opere contestate erano state realizzate in totale assenza di qualsiasi titolo edilizio, non in parziale difformità. In tali casi, la normativa prevede un’unica sanzione possibile: la demolizione e il ripristino dei luoghi.
Inoltre, i giudici hanno ricordato che la valutazione sulla sostituibilità della demolizione con una sanzione pecuniaria spetta all’amministrazione, ma solo nella fase successiva, quella esecutiva. Non può quindi essere invocata come motivo per annullare o sospendere l’ordine di demolizione stesso.
Questo passaggio conferma un principio fondamentale: la discrezionalità dell’amministrazione nel valutare la possibilità della sanzione pecuniaria non costituisce un diritto per chi ha realizzato abusi, ma una eventualità residuale, prevista solo in casi molto specifici e ben delimitati.
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