L’agevolazione fiscale per l’acquisto della “prima casa” è uno degli strumenti più utilizzati dai contribuenti italiani per risparmiare sulle imposte legate alla compravendita immobiliare. Tuttavia, come dimostrato da recenti pronunce della Corte di cassazione, il diritto a tale beneficio non è automatico, e deve essere richiesto nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge.

È quanto confermato dall’ordinanza n. 8141 del 27 marzo 2025, che si è espressa in merito all’applicabilità delle agevolazioni quando il trasferimento dell’immobile non avviene con un classico atto notarile, ma con una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. che dispone, ad esempio, l’attribuzione di diritti reali su spazi di parcheggio legati alla prima casa.

Cosa succede se la dichiarazione per richiedere l’agevolazione viene resa in ritardo? Quando è considerata valida la manifestazione di volontà necessaria per godere dell’aliquota agevolata al 2%?

E quali sono i limiti temporali da rispettare per non perdere il beneficio fiscale?

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La vicenda processuale: il diritto d’uso su aree di parcheggio legato all’abitazione principale

Il contenzioso trae origine da un avviso di liquidazione notificato dall’Agenzia delle Entrate, in cui veniva richiesto il pagamento dell’imposta di registro con l’aliquota ordinaria del 9%. Il provvedimento riguardava una sentenza del Tribunale civile che, in applicazione dell’articolo 2932 del Codice civile, aveva disposto il trasferimento di un diritto reale di uso su aree destinate a parcheggio, strettamente funzionali a un’abitazione principale già acquistata dalla contribuente.

Si trattava dunque di un acquisto accessorio, ma integrato nella fruizione dell’immobile come “prima casa”.

La contribuente, ritenendo di avere diritto all’agevolazione “prima casa” con imposta al 2%, aveva depositato la dichiarazione sostitutiva di atto notorio prevista dalla nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa allegata al DPR n. 131/1986. Tuttavia, secondo l’Agenzia, tale dichiarazione era tardiva, poiché non era stata presentata all’atto dell’imposizione fiscale, né entro il termine utile previsto.

Il caso è quindi arrivato alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che ha parzialmente accolto l’appello della contribuente: i giudici hanno riconosciuto che, al momento della notifica dell’avviso, la sentenza del tribunale non era ancora stata registrata, e che quindi esisteva ancora la possibilità, per l’interessata, di rendere la dichiarazione necessaria a ottenere il beneficio fiscale.

Di conseguenza, la Corte ha ritenuto applicabile l’aliquota agevolata, evidenziando come il diritto all’agevolazione fosse ancora esercitabile in quanto non ancora perfezionato il presupposto della registrazione.

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La pronuncia della cassazione: tempi e limiti per esercitare il diritto all’agevolazione

L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la decisione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado, ricorrendo in Cassazione. Con l’ordinanza n. 8141 del 27 marzo 2025, la Suprema Corte ha accolto il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il secondo, e ha fornito un’interpretazione decisiva sulla tempistica della dichiarazione necessaria per ottenere le agevolazioni “prima casa”.

Secondo i giudici di legittimità, in presenza di un trasferimento derivante da sentenza costitutiva, la dichiarazione prevista dall’articolo 1, nota II-bis del TUR non può essere resa in qualsiasi momento, ma deve necessariamente precedere la registrazione della sentenza stessa. La Corte ha chiarito che, sebbene il contribuente abbia la possibilità di integrare la propria posizione dichiarativa in determinate circostanze, ciò non vale quando la registrazione dell’atto impositivo è già stata effettuata. In quel momento, infatti, il rapporto tributario si cristallizza.

Nel caso in esame, la contribuente aveva reso la dichiarazione oltre il sessantesimo giorno dalla notifica dell’avviso di liquidazione, termine che segna il limite massimo per evitare la registrazione d’ufficio. Secondo la Cassazione, ciò rappresenta una decadenza dal diritto all’agevolazione, perché la manifestazione di volontà volta a ottenere il beneficio fiscale non può essere rinviata a dopo il perfezionamento dell’atto fiscale.

La pronuncia si inserisce in una linea giurisprudenziale consolidata, secondo cui la dichiarazione per le agevolazioni prima casa, anche in caso di trasferimento disposto da sentenza, deve avvenire entro il primo momento utile in cui il contribuente può far valere il proprio diritto, ossia al momento della richiesta di registrazione della sentenza.

Ogni dichiarazione resa successivamente è inammissibile, in quanto lesiva del principio di certezza del tributo e della definitività dell’imposizione fiscale.

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Quadro normativo e giurisprudenza: quando il ritardo diventa decadenza

La decisione della Corte di Cassazione si fonda su un’interpretazione rigorosa delle norme contenute nel DPR n. 131/1986 (Testo unico sull’imposta di registro), in particolare degli articoli 10, 15, 54 e 77, nonché della nota II-bis dell’articolo 1 della Tariffa, parte I. In base a quest’ultima disposizione, il contribuente che intende fruire delle agevolazioni “prima casa” deve rendere una dichiarazione formale, considerata elemento costitutivo del beneficio.

Tale dichiarazione ha valore di manifestazione di volontà, necessaria per esercitare un diritto soggettivo.

A sostegno della sua posizione, la Corte ha richiamato precedenti giurisprudenziali che hanno contribuito a delineare un principio cardine: il beneficio non si perde automaticamente se la dichiarazione non è resa subito, ma deve comunque essere prodotta entro tempi precisi, ovvero prima della registrazione dell’atto. In particolare, la sentenza n. 3863/2009 ha chiarito che la dichiarazione deve essere resa nel primo momento utile per esercitare il diritto, che, nel caso di una sentenza costitutiva, coincide con la richiesta di registrazione della stessa.

Vengono invece esclusi tutti i tentativi di sanare la mancanza dopo la liquidazione dell’imposta o in sede contenziosa, poiché ciò violerebbe il principio di certezza del tributo e l’esigenza di collaborazione attiva del contribuente. Tale collaborazione è infatti parte integrante della struttura dell’agevolazione stessa, e la sua mancanza, oltre certi limiti temporali, comporta inevitabilmente la decadenza dal beneficio.

In sintesi, anche in assenza di un atto notarile, e in presenza di una sentenza che attribuisce diritti reali immobiliari, è possibile accedere all’aliquota agevolata del 2%, ma solo se si rispettano puntualmente i termini per la dichiarazione, la cui omissione o tardività può comportare un significativo aggravio fiscale.