Un progetto ambizioso, un centro polivalente pensato per ospitare eventi sportivi e spettacoli, una struttura moderna con copertura in legno lamellare. Ma nel novembre del 2013, un violento episodio meteorologico mette a nudo tutte le criticità: la copertura crolla improvvisamente, suscitando scalpore e aprendo le porte a una lunga vicenda giudiziaria. Al centro della disputa: errori progettuali, presunte omissioni nella manutenzione, e il ruolo delle compagnie assicurative nel garantire i professionisti coinvolti.

A distanza di oltre dieci anni, la Corte d’Appello di Lecce è intervenuta con una decisione significativa: ha confermato la responsabilità dei direttori dei lavori, ma ha assolto uno dei progettisti strutturali, ritenendolo estraneo al difetto che ha causato il crollo. Una sentenza che ridisegna i confini delle responsabilità in edilizia pubblica e riapre il dibattito su polizze professionali, colpa tecnica e manutenzione degli edifici pubblici.

Chi deve rispondere quando un’opera pubblica crolla? E quanto conta distinguere tra chi progetta e chi dirige i lavori?

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I fatti: dal progetto al crollo

Nel 2005 un’amministrazione comunale decide di investire in un’opera pubblica di rilievo: un Centro Polivalente per lo sport e lo spettacolo, situato nella zona industriale del paese. L’opera viene affidata a un gruppo di professionisti incaricati di redigere il progetto esecutivo, dirigere i lavori e garantire la sicurezza in fase di cantiere. L’appalto per la realizzazione viene assegnato a un’impresa specializzata, mentre la fornitura della copertura in legno lamellare e la redazione dei calcoli strutturali vengono affidati a una società esterna.

Dopo anni di lavori e collaudi, nel 2012 i tecnici certificano la regolare esecuzione dell’opera. Tuttavia, meno di due anni dopo, nel novembre 2013, in concomitanza con forti piogge, una parte della copertura cede. Il crollo, avvenuto in modo improvviso, genera immediato allarme nella cittadinanza e gravi danni economici al Comune, che nel frattempo si vede costretto ad attivare opere di bonifica e ripristino.

Secondo le perizie tecniche, la causa principale del collasso sarebbe stato l’accumulo anomalo di acqua piovana sul telo di copertura, che non aveva potuto scaricarsi per carenze strutturali e progettuali. Da qui prende avvio un articolato processo civile, con richieste di risarcimento danni per oltre 149.000 euro.

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Il processo: responsabilità incrociate

Il crollo dell’opera pubblica ha acceso un complicato contenzioso che ha coinvolto progettisti, direttori dei lavori, collaudatori, imprese esecutrici e compagnie assicurative. Il Comune, ritenendo di aver subito un danno materiale e di immagine, ha avviato l’azione civile facendo leva sull’art. 1669 del Codice Civile, che disciplina la responsabilità decennale del costruttore e dei tecnici per gravi difetti dell’opera.

Articolo n° 1669 codice civile
Rovina e difetti di cose immobili

Quando si tratta di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore e’ responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purche’ sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta.
Il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia.

Gli ingegneri incaricati della direzione lavori e della progettazione si sono difesi sostenendo che la struttura fosse stata realizzata a regola d’arte e che l’evento andasse ricondotto a un caso fortuito, legato alle eccezionali condizioni meteo di quei giorni. Altri, invece, hanno attribuito il crollo a una mancata manutenzione da parte del Comune, accusato di non aver attivato il sistema di ventilazione che avrebbe mantenuto in tensione il telo di copertura.

Nel processo sono stati chiamati in causa anche gli assicuratori professionali, ai quali i tecnici chiedevano la manleva in caso di condanna. Tuttavia, molte polizze si sono rivelate inoperanti: alcune erano scadute, altre escludevano esplicitamente i danni da difetti progettuali o da eventi atmosferici, mentre in diversi casi erano presenti franchigie e massimali che limitavano drasticamente l’effettiva copertura.

Ne è scaturita una battaglia legale lunga e articolata, segnata da dimissioni anticipate, varianti in corso d’opera, subentri societari e perfino un fallimento, che hanno complicato ulteriormente l’accertamento delle responsabilità.

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La sentenza di primo grado

Nel 2022 il Tribunale di Lecce emette la sua decisione, riconoscendo la responsabilità solidale di tre ingegneri coinvolti nella progettazione e direzione dei lavori. Secondo quanto ricostruito dal consulente tecnico nominato dal giudice, il crollo non fu causato da eventi atmosferici eccezionali, né da errori di manutenzione, bensì da gravi carenze progettuali ed esecutive.

In particolare, la struttura risultava inadatta a resistere all’accumulo di acqua piovana, fenomeno prevedibile e che avrebbe dovuto essere gestito sin dalla fase progettuale. Nessun sistema efficace era stato previsto per garantire il corretto deflusso o per mantenere la copertura in tensione in caso di pioggia.

Il Tribunale ha anche escluso che il Comune avesse ricevuto istruzioni specifiche dai progettisti o dai direttori lavori sull’obbligo di attivare manualmente i dispositivi di ventilazione. Inoltre, ha respinto l’ipotesi di caso fortuito, rilevando che la pioggia non era stata così eccezionale da giustificare un evento imprevedibile.

Di conseguenza, i tre tecnici sono stati condannati a risarcire il danno patrimoniale pari a 99.000 euro, somma determinata sulla base dei costi sostenuti per i lavori di ripristino. Il danno non patrimoniale, richiesto dal Comune per presunto danno d’immagine, è stato invece rigettato per assenza di prova.

Una sola compagnia assicurativa è stata condannata in manleva: tutte le altre, grazie a clausole restrittive e scadenze contrattuali, sono riuscite a dimostrare l’inoperatività della propria copertura.

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L’appello e la sentenza definitiva

Dopo la condanna in primo grado, alcuni dei professionisti coinvolti hanno proposto appello, sostenendo l’erroneità della sentenza sia sul piano della ricostruzione tecnica dei fatti, sia sull’attribuzione delle responsabilità. Tra le principali richieste: la revisione del giudizio sulla responsabilità solidale, l’assoluzione per insussistenza del nesso causale e l’operatività delle polizze assicurative.

Nel corso del giudizio d’appello, una parte dei tecnici condannati ha raggiunto un accordo transattivo con il Comune, che ha portato alla dichiarazione di cessazione della materia del contendere nei loro confronti. Tuttavia, un ingegnere – autore dei calcoli strutturali della copertura lignea – ha scelto di non transigere e ha proseguito nel giudizio, chiedendo la piena assoluzione.

La Corte d’Appello di Lecce, con la sentenza n. 744/2025, gli ha dato ragione: ha riformato la decisione di primo grado, riconoscendo che l’ingegnere aveva svolto correttamente il proprio incarico, limitandosi alla progettazione della struttura in legno secondo i carichi indicati e senza avere alcuna competenza o responsabilità nella gestione del telo di copertura, né nei sistemi di ventilazione.

La Corte ha distinto con precisione tra chi ha progettato i calcoli statici (ritenuti corretti dal CTU) e chi ha diretto i lavori e consegnato l’opera, ritenuti responsabili del difetto che ha causato il crollo.

Per l’ingegnere assolto, inoltre, la Corte ha disposto la compensazione delle spese legali per il primo grado e ha condannato le controparti al rimborso di parte delle spese d’appello.

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Le implicazioni: tra responsabilità tecnica e assicurazioni

La sentenza della Corte d’Appello di Lecce non si limita a risolvere un caso specifico: offre spunti di riflessione su alcune questioni cruciali nel mondo dell’edilizia pubblica. Prima tra tutte, la necessità di distinguere in modo netto i ruoli e le responsabilità dei vari professionisti coinvolti in un’opera complessa. La giurisprudenza ha chiarito che il progettista strutturale non può essere ritenuto responsabile di elementi costruttivi o impiantistici sui quali non ha esercitato alcun controllo.

Allo stesso tempo, la vicenda mostra quanto sia fragile l’efficacia delle polizze assicurative professionali, spesso soggette a clausole limitative, scadenze non prorogate, franchigie elevate e condizioni contrattuali che ne compromettono l’operatività al momento del bisogno. Il risultato? Il rischio che il tecnico debba rispondere in proprio, anche per errori marginali o in concorso con altri.

Infine, emerge con chiarezza il ruolo della manutenzione e dell’informazione al committente pubblico. Quando un’opera è sensibile a condizioni ambientali – come nel caso di una copertura con telo in tensione – diventa fondamentale che il progettista o il direttore lavori indichi in modo chiaro e documentato le azioni necessarie per mantenerla in efficienza.

Questa sentenza, dunque, pone un punto fermo: la responsabilità tecnica non si presume, si dimostra, e ogni anello della catena deve essere valutato secondo le funzioni realmente svolte.