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Balconi, canne fumarie e videocamere: la sentenza che chiarisce le regole tra proprietari

Balconi, canne fumarie e videocamere: il Tribunale chiarisce cosa è lecito installare e cosa no. Rimosse le videocamere dal sottobalcone, confermata la legittimità degli impianti sulla facciata comune.

Balconi, canne fumarie e videocamere: la sentenza che chiarisce le regole tra proprietari Balconi, canne fumarie e videocamere: la sentenza che chiarisce le regole tra proprietari
Ultimo Aggiornamento:

Nel panorama delle liti immobiliari, poche questioni generano tensioni quanto l’utilizzo di balconi, facciate, lastrici solari e spazi comuni. Tubazioni che attraversano un terrazzo, canne fumarie appoggiate alla facciata, vecchie opere realizzate da precedenti proprietari e persino videocamere installate senza accordo possono trasformare un normale rapporto di vicinato in un contenzioso giudiziario complesso.

È quanto accaduto in un recente caso deciso dal Tribunale di Napoli Nord, sentenza n° 4004 del 14/11/2025, in cui il proprietario di un appartamento con sovrastante lastrico solare ha contestato l’uso improprio delle proprie parti esclusive, chiedendo la rimozione di tubazioni, opere e apparecchiature installate nel tempo da altri membri della famiglia comproprietaria. La causa ha offerto al giudice l’occasione per chiarire ancora una volta quali diritti ricadono sul proprietario esclusivo e quali, invece, discendono dalla natura condominiale dell’edificio.

Ma quali opere possono essere installate legittimamente sulla facciata comune? Quando un balcone aggettante è davvero “inviolabile”? E in quali casi una vecchia opera diventa ormai consolidata e non più contestabile?

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La vicenda giudiziaria: le opere contestate e la nascita del conflitto

La controversia trae origine da una situazione piuttosto comune negli edifici di origine familiare: nel tempo, diversi membri del nucleo avevano realizzato interventi e installazioni senza una chiara distinzione tra parti comuni e parti di proprietà esclusiva. Quando uno degli eredi è divenuto proprietario dell’appartamento con il relativo lastrico solare, si è trovato a dover gestire una serie di opere che, a suo giudizio, incidevano illecitamente sul proprio diritto di proprietà.

Tra gli elementi contestati figuravano:

  • una canna fumaria che, partendo da un’unità immobiliare al piano terra, attraversava in verticale la facciata, passando davanti al balcone e oltre il livello del lastrico;
  • un canale di scolo delle acque meteoriche, collegato al torrino della scala condominiale e appoggiato lungo la medesima parete esterna;
  • un ulteriore canale di scarico, un tempo al servizio di una mansarda, che l’attore sosteneva fosse stato installato sul proprio lastrico;
  • un garage-rimessa situato nel cortile comune, che secondo lui era utilizzato in modo esclusivo da un altro comproprietario;
  • videocamere di sorveglianza fissate sotto il suo balcone, nella parte detta “sottobalcone” o “cielino”, ritenuta parte integrante dell’unità di sua esclusiva proprietà.

Ritenendo che tutte queste opere costituissero una compressione non autorizzata del proprio diritto, l’attore ha promosso un’azione volta a far dichiarare l’inesistenza di qualsiasi servitù o diritto altrui sulla sua proprietà e a ottenere la rimozione immediata delle installazioni. Il Tribunale ha qualificato la domanda come actio negatoria servitutis, un rimedio previsto dall’art. 949 del Codice civile che il proprietario può utilizzare per difendere il fondo contro interferenze indebite.

Tale azione richiede tuttavia una rigorosa prova sia dell’illegittimità dell’opera contestata, sia dell’effettiva compromissione dell’esercizio del diritto dominicale.

È in questo quadro che il giudice ha analizzato una per una le opere in contestazione, valutandone natura, posizione e origine storica per stabilire quali fossero realmente lesive e quali, invece, fossero da considerarsi legittime in quanto appoggiate a parti comuni o consolidate da un uso ultradecennale.

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Videocamere nel sottobalcone: perché il giudice ne ordina la rimozione

Tra tutte le opere contestate, le videocamere installate sotto il balcone dell’attore sono risultate l’unico elemento realmente lesivo del diritto di proprietà esclusiva. Il Tribunale ha ricordato un principio fondamentale della giurisprudenza italiana: i balconi “aggettanti”, cioè quelli che sporgono rispetto alla facciata dell’edificio, non fanno parte delle strutture comuni ma rappresentano un prolungamento naturale dell’unità immobiliare cui appartengono.

La loro soletta, il sottobalcone e il cosiddetto cielino non svolgono infatti funzione portante né sono necessari alla copertura degli appartamenti sottostanti, come avviene invece per terrazze a livello o lastrici incassati nel corpo del fabbricato.

Ciò significa che nessun altro proprietario o comproprietario può utilizzare tali parti per installare manufatti, apparecchiature o impianti senza il consenso esplicito del titolare dell’unità cui il balcone accede. Nel caso esaminato, le videocamere erano state posizionate da anni, ma sempre in assenza di una reale autorizzazione e in una zona che ricadeva pienamente nella proprietà esclusiva dell’attore. La loro presenza costituiva quindi un’ingerenza non giustificata, oltre che una potenziale lesione della sua sfera di riservatezza.

Il giudice ha pertanto accolto integralmente questa parte della domanda, ordinando la rimozione immediata delle videocamere e il ripristino dello stato originario del sottobalcone. Un passaggio importante, che ribadisce come anche un manufatto apparentemente minimo possa creare una servitù di fatto non consentita, se collocato su una parte esclusiva di un’unità immobiliare.

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Canna fumaria e pluviale: l’uso legittimo delle parti comuni secondo l’art. 1117 c.c.

Una delle contestazioni più rilevanti riguardava la presenza di una canna fumaria e di un canale di scolo delle acque piovane installati lungo la facciata dell’edificio. L’attore sosteneva che tali opere incidessero sul suo lastrico solare e ne limitassero il pieno godimento. Tuttavia, il Tribunale ha adottato una ricostruzione tecnica e giuridica molto chiara: quelle installazioni non insistevano sulla proprietà esclusiva dell’attore, ma sulle parti comuni dell’edificio, in particolare sul muro perimetrale.

Richiamando l’art. 1117 del Codice civile, il giudice ha sottolineato che le facciate rientrano tra le parti comuni di un fabbricato condominiale, indipendentemente dal numero dei comproprietari e dal fatto che l’edificio abbia avuto origine familiare. Le facciate — e più in generale i muri perimetrali — hanno infatti una funzione strutturale essenziale: sostengono, delimitano e, soprattutto, consentono l’appoggio di impianti e accessori necessari alla vita dell’edificio stesso.

Leggi anche: Canna fumaria in condominio: quando si può installare?

In questa logica, canne fumarie, pluviali, targhe o elementi tecnici non rappresentano nuove costruzioni, ma semplici accessori di un impianto cui è consentito appoggiarsi alla facciata, purché non se ne comprometta la stabilità o il decoro. A rafforzare questa conclusione, il Tribunale ha valorizzato un dato fondamentale emerso dalla prova testimoniale: le opere in questione erano state realizzate alla fine degli anni ’90 su iniziativa del comune ascendente da cui tutte le parti hanno ricevuto le rispettive proprietà.

Erano dunque preesistenti all’acquisto dell’attore e rientravano nell’originaria destinazione impressa dal proprietario dell’intero fabbricato.

In altre parole, quelle installazioni non erano intrusioni recenti né violazioni in corso, ma elementi consolidati nel tempo, mai contestati fino alla lite odierna. Per questo motivo, il giudice ha ritenuto che la loro presenza costituisse un legittimo esercizio del diritto di usare la cosa comune, con conseguente rigetto della domanda di rimozione.

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Il garage-rimessa sul cortile comune: quando la mancanza di prove fa cadere la domanda

Un altro nodo del contendere riguardava un garage-rimessa situato nel cortile dell’edificio, che l’attore riteneva utilizzato in maniera esclusiva da uno dei comproprietari. Secondo la sua ricostruzione, il manufatto avrebbe occupato un’area comune spettante anche a lui per successione ereditaria, configurando un uso esclusivo non autorizzato e potenzialmente lesivo della sua quota.

Il Tribunale, tuttavia, ha respinto integralmente questa parte della domanda per un motivo molto semplice ma decisivo: la totale assenza di prova documentale sulla titolarità dell’area oggetto di contestazione. In un’azione che mira a far demolire un manufatto, il proprietario che la propone deve dimostrare almeno due elementi fondamentali:

  1. di avere un diritto reale sul bene o sull’area interessata, cioè di essere comproprietario del cortile o di vantare un titolo che gli attribuisca poteri su di esso (approfondisci: Diritti Reali: tutto quello che devi sapere su proprietà e godimento);
  2. che l’opera contestata sia stata realizzata illegittimamente, ovvero senza consenso, in violazione della destinazione della cosa comune o a danno degli altri aventi diritto.

Nel caso esaminato, mancava proprio il primo presupposto: l’attore non ha prodotto documenti idonei a dimostrare che la porzione di cortile su cui sorge il garage rientrasse nella sua comproprietà. Senza questo elemento, il giudice non può intervenire su un manufatto che potrebbe essere perfettamente legittimo o comunque non dimostrato come lesivo.

La decisione è un monito importante per chi intende avviare un’azione di tutela della proprietà: le rivendicazioni sui beni comuni richiedono sempre una solida base documentale, altrimenti la domanda non può essere accolta, indipendentemente da ciò che avviene nella pratica quotidiana.

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Il canale di scarico della mansarda: quando l’assenza di prove impedisce il ripristino dello stato originario

Tra le richieste formulate dall’attore vi era anche quella di ottenere il ripristino dello stato originario del lastrico solare dopo la rimozione di un canale di scarico che in passato serviva una mansarda. È emerso infatti in giudizio che tale tubazione era già stata eliminata dal proprietario dell’unità sovrastante, e ciò addirittura prima della notifica dell’atto di citazione.

A quel punto, la domanda dell’attore non poteva più consistere nella rimozione del manufatto – già eseguita – ma esclusivamente nel ripristino della situazione antecedente.

Il Tribunale ha però respinto anche questa richiesta, rilevando una carenza probatoria decisiva: l’attore non ha dimostrato quale fosse concretamente lo stato dei luoghi prima dell’eliminazione del canale. Non sono stati prodotti rilievi fotografici, planimetrie aggiornate, documenti tecnici o testimonianze che potessero chiarire come si presentasse il lastrico prima della rimozione e cosa, eventualmente, sarebbe stato necessario ripristinare.

Questo aspetto riveste una grande importanza pratica: nelle azioni negatorie di servitù, il proprietario che chiede il ripristino deve provare in modo preciso e documentato il pregiudizio subito e la situazione precedente all’opera contestata. In mancanza di tali elementi, il giudice non può disporre un intervento ripristinatorio, pena il rischio di ordinare lavori non necessari o non corrispondenti alla realtà originaria.

La decisione sottolinea dunque un principio chiave: non basta lamentare l’illegittimità di un’opera, ma occorre fornire una ricostruzione completa dello stato dei luoghi, soprattutto quando l’opera stessa non esiste più.



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TAGS: balconi aggettanti, canna fumaria, contenzioso condominiale, edilizia, lastrico solare, muro perimetrale, pluviali condominiali, proprietà esclusiva, rimozione videocamere, servitù

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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