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Quando si può impugnare un parere tecnico in una SCIA? Il caso delle barriere architettoniche

Il TAR Puglia ha respinto un ricorso contro un atto tecnico endoprocedimentale, chiarendo che solo gli atti con effetti diretti e lesivi sono impugnabili. Rilevanza giurisprudenziale e pratica notevole.

Quando si può impugnare un parere tecnico in una SCIA? Il caso delle barriere architettoniche Quando si può impugnare un parere tecnico in una SCIA? Il caso delle barriere architettoniche
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Nel mondo dell’edilizia privata, spesso ci si imbatte in ostacoli amministrativi che mettono alla prova anche i tecnici più esperti. È il caso emblematico affrontato recentemente dal TAR Puglia, che ha messo in luce un principio chiave del diritto amministrativo: non tutti gli atti emessi dalla pubblica amministrazione sono immediatamente impugnabili.

La vicenda nasce da una richiesta di realizzazione di opere edilizie per migliorare l’accessibilità di un immobile, tra cui l’installazione di un ascensore e di una pergola bioclimatica. L’intervento, formalizzato attraverso una SCIA, ha incontrato numerose difficoltà burocratiche, culminate in una lunga trafila tra sospensioni, pareri contraddittori e ricorsi.

Ma cosa succede quando un Comune modifica o ritira un parere tecnico durante il procedimento edilizio? È legittimo impugnare subito un atto di questo tipo? Oppure bisogna attendere la conclusione dell’intero iter amministrativo?

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Il contesto della vicenda

Tutto ha inizio con la presentazione di una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), lo strumento che consente ai cittadini di iniziare determinati lavori edilizi semplicemente comunicandolo all’amministrazione, senza attendere un’autorizzazione espressa. In questo caso, il proprietario di un immobile situato nel centro storico di un comune pugliese intendeva realizzare opere per il superamento delle barriere architettoniche, migliorando l’accessibilità e la fruibilità degli spazi esterni.

Tra gli interventi previsti figuravano l’installazione di un ascensore e la costruzione di una pergola bioclimatica, una struttura leggera ed efficiente pensata per garantire comfort climatico e sostenibilità ambientale.

Nonostante la documentazione fosse regolarmente presentata, il Comune aveva inizialmente reagito con una serie di atti restrittivi: prima un ordine di sospensione dei lavori con invito a produrre osservazioni, poi un diniego definitivo, motivato anche dalla presunta tardività delle osservazioni difensive inviate dal privato. Di fronte a questo rifiuto, il cittadino aveva impugnato i provvedimenti davanti al TAR Puglia, che, con una sentenza precedente, aveva accolto il ricorso e annullato gli atti comunali per violazione dell’articolo 10-bis della legge 241/1990, che tutela il diritto di partecipazione procedimentale.

La sentenza obbligava l’amministrazione a riesaminare l’intera pratica, tenendo conto anche delle osservazioni precedentemente escluse. In seguito, un ufficio tecnico comunale aveva espresso un parere favorevole sotto il profilo urbanistico, che sembrava finalmente aprire la strada alla conclusione positiva del procedimento.

Tuttavia, nello stesso giorno, un’altra nota, redatta sempre dallo stesso ufficio, annullava il precedente parere e si limitava a trasmettere la pratica all’ufficio competente per l’autorizzazione paesaggistica, senza alcun giudizio urbanistico. Questo nuovo atto, la nota n. 37668, è divenuto il fulcro del nuovo ricorso da parte del cittadino, convinto che si trattasse di un vero e proprio annullamento d’ufficio mascherato.

Leggi anche: Condono e silenzio-assenso: cosa succede se l’amministrazione è in ritardo?

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Il ricorso e la natura dell’atto impugnato

A fronte della nuova nota tecnica che aveva eliminato ogni riferimento al precedente parere favorevole, il cittadino ha deciso di tornare davanti al TAR, sostenendo che tale atto costituisse un annullamento d’ufficio del precedente parere urbanistico, in violazione delle garanzie previste dalla legge. In particolare, ha fatto leva sugli articoli 21-nonies e 21-quinquies della legge 241/1990, che disciplinano rispettivamente l’annullamento e la revoca di un provvedimento amministrativo da parte della stessa pubblica amministrazione.

Secondo il ricorrente, il Comune avrebbe agito senza motivare adeguatamente le ragioni di illegittimità o di interesse pubblico che giustificassero la cancellazione del parere favorevole, e senza coinvolgere il privato nel procedimento, in violazione anche dell’articolo 7 della stessa legge, che impone l’obbligo di partecipazione degli interessati.

L’atto impugnato – la nota n. 37668 – viene dunque presentato come un provvedimento sostanzialmente lesivo, in quanto rappresenterebbe una marcia indietro rispetto a un parere tecnico già espresso, con effetti concreti sulla possibilità di concludere positivamente l’intero procedimento edilizio.

Tuttavia, il TAR ha adottato una lettura diversa. Analizzando la natura dell’atto, i giudici hanno osservato che si tratta di un documento endoprocedimentale, cioè interno al procedimento in corso, e non di un provvedimento finale. La nota, quindi, non produce effetti diretti nella sfera giuridica del cittadino: non è un diniego, né un’autorizzazione, ma semplicemente una comunicazione interna tra uffici, destinata a essere superata da una determinazione definitiva.

Questo punto è centrale nella decisione del Tribunale: perché un atto sia impugnabile, è necessario che sia immediatamente lesivo, cioè che incida in modo diretto e attuale su un diritto o un interesse legittimo del cittadino. In caso contrario, il ricorso è inammissibile.

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La posizione del TAR e i principi giurisprudenziali richiamati

Nel dichiarare inammissibile il ricorso, il TAR Puglia – con la sentenza n. 436/2025 – ha ribadito un principio giuridico consolidato: non tutti gli atti dell’amministrazione possono essere impugnati immediatamente. In particolare, gli atti che fanno parte di un procedimento in corso – i cosiddetti atti endoprocedimentali – non sono autonomamente ricorribili, a meno che non producano effetti lesivi diretti e attuali per il destinatario. Solo l’atto finale del procedimento, come un diniego esplicito o un provvedimento negativo, può essere oggetto di ricorso.

Per rafforzare questa posizione, il Collegio ha richiamato numerose sentenze del Consiglio di Stato, tra cui quelle che evidenziano come l’interesse a ricorrere, previsto dagli articoli 100 del Codice di Procedura Civile e 39 del Codice del Processo Amministrativo, debba essere attuale e concreto, non meramente ipotetico o futuro. Un atto privo di effetti esterni, quindi, non soddisfa questi requisiti.

Il TAR ha inoltre precisato che, sebbene in via eccezionale la giurisprudenza ammetta il ricorso contro atti infraprocedimentali quando questi arrestano definitivamente il procedimento o producono effetti irreversibili, queste condizioni non sussistevano nel caso in esame. La nota comunale contestata, infatti, non ha né concluso il procedimento né pregiudicato in via definitiva la posizione del cittadino. Anzi, è stato documentato che l’istruttoria era ancora in corso e che la pratica era passata nelle mani dell’ufficio paesaggistico per l’esame finale.

Quindi, secondo i giudici, l’atto impugnato non aveva alcuna idoneità lesiva autonoma, motivo per cui il ricorso è stato giudicato inammissibile ai sensi dell’articolo 35, comma 1, lettera b), del Codice del Processo Amministrativo.



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TAGS: atti endoprocedimentali, autorizzazioni edilizie, barriere architettoniche, diritto amministrativo, impugnabilità, pergola bioclimatica, ricorso inammissibile, scia edilizia, sentenza 436/2025, TAR Puglia

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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