La sentenza del TAR Lazio chiarisce che la sanatoria edilizia richiede prova rigorosa della doppia conformità, e che il silenzio del Comune non garantisce l’approvazione dell’intervento abusivo.
Chiedere una sanatoria edilizia non è sempre semplice. Anche un intervento apparentemente “minore”, come la chiusura di un terrazzino all’interno di un cortile condominiale, può scontrarsi con le regole rigide dell’urbanistica italiana. Lo dimostra bene la sentenza n. 11192/2025 del TAR Lazio, che ha respinto il ricorso di una cittadina contro il diniego ricevuto dal Comune di Roma alla sua richiesta di permesso di costruire in sanatoria.
Il caso riguarda un terrazzino che era stato chiuso con opere edilizie non autorizzate, e che la proprietaria voleva regolarizzare sostenendo che l’edificio disponeva ancora di volumetria residua. Tuttavia, l’amministrazione ha richiesto una lunga serie di documenti tecnici e legali che non sono mai stati presentati, e ha quindi rigettato formalmente la domanda, rilevando la mancanza del requisito della doppia conformità, previsto dall’articolo 36 del DPR 380/2001.
Ma cosa significa esattamente “doppia conformità”? È sufficiente avere volumetria disponibile per ottenere una sanatoria? E il silenzio del Comune vale come approvazione?
Scopriamolo insieme analizzando punto per punto questa vicenda concreta.
Sommario
La vicenda giudiziaria ha origine da una richiesta di permesso di costruire in sanatoria, avanzata per regolarizzare la chiusura di un terrazzino interno, prospiciente la chiostrina di un edificio condominiale nel territorio capitolino. L’intervento, già realizzato, consisteva in un aumento di volumetria non autorizzato, che si discostava dai progetti edilizi approvati e dalla planimetria catastale originaria dell’immobile.
In un primo momento, l’Amministrazione comunale non ha risposto nei termini previsti, facendo maturare il silenzio-diniego: un rigetto implicito ma giuridicamente valido, secondo quanto previsto dall’articolo 36 del DPR 380/2001. Successivamente, il Comune ha emesso un provvedimento espresso di rigetto, motivando la decisione con una serie di carenze tecniche e documentali rilevate durante l’istruttoria.
Tra le osservazioni principali, l’Amministrazione ha evidenziato l’assenza di una documentazione fondamentale per valutare la regolarità urbanistica dell’intervento: la certificazione dell’attualità dei diritti edificatori residui riferita all’intero edificio, la dimostrazione dell’assenza di passaggi di proprietà di tali diritti, e il verbale di assemblea condominiale che autorizzasse un singolo condomino a utilizzare cubatura potenzialmente condivisa.
Leggi anche: Assemblea condominiale: non può decidere lavori sui balconi privati, la Cassazione spiega perché
Inoltre, si richiedeva un atto notarile registrato per la cessione dei diritti edificatori, una verifica sulle eventuali domande di condono edilizio già presentate per gli immobili interessati e una dimostrazione grafica dettagliata dello stato dei luoghi rispetto al progetto approvato, incluse le verifiche sulle altezze interne in relazione al regolamento edilizio comunale.
Nonostante l’ampiezza della documentazione richiesta, la proprietaria non è riuscita a fornire quanto richiesto, né ha dimostrato l’esistenza della cosiddetta doppia conformità dell’intervento, elemento ritenuto imprescindibile per l’accoglimento della sanatoria.
Advertisement - PubblicitàIl punto centrale della decisione del TAR riguarda la mancata dimostrazione della doppia conformità, requisito essenziale previsto dall’art. 36 del DPR 380/2001 per ottenere una sanatoria edilizia ordinaria.
Ma che cos’è, in termini pratici e giuridici, questa doppia conformità?
Il concetto si basa su un presupposto molto chiaro: un’opera realizzata senza titolo abilitativo può essere sanata solo se risulta conforme alla normativa urbanistica e edilizia vigente sia al momento della sua esecuzione che al momento della presentazione della domanda di sanatoria. In altre parole, non basta che l’intervento sia attualmente regolare: deve esserlo stato anche quando è stato realizzato.
Nel caso specifico, l’Amministrazione ha correttamente sottolineato che non vi era alcuna prova documentale dell’eventuale conformità dell’intervento, né rispetto alla normativa vigente al tempo della chiusura del terrazzino, né rispetto a quella attuale. Anzi, le richieste istruttorie avanzate – rimaste inevase – erano proprio mirate a consentire tale verifica.
Secondo una giurisprudenza amministrativa ormai consolidata, spetta esclusivamente al richiedente fornire gli elementi probatori necessari a dimostrare la doppia conformità. Il processo amministrativo, infatti, si fonda sul principio dispositivo e sul principio dell’onere della prova: è il privato che deve dimostrare la legittimità della propria richiesta, e non l’Amministrazione a dover confutare l’illegittimità dell’opera.
Nel caso di specie, il Tribunale ha riconosciuto che nessun documento utile era stato prodotto per asseverare la legittimità dell’intervento edilizio nel doppio momento temporale richiesto dalla legge. E ciò ha reso inevitabile il rigetto.
Advertisement - PubblicitàUn altro elemento giuridicamente rilevante, analizzato con attenzione nella sentenza, è il valore del silenzio dell’amministrazione e il rapporto tra questo e il provvedimento successivo espresso. In base all’articolo 36, comma 3 del Testo Unico dell’Edilizia, se entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza di sanatoria non interviene un riscontro da parte del Comune, si forma un silenzio-rigetto, detto anche silenzio-diniego.
Tuttavia, questo rigetto tacito non impedisce all’amministrazione di adottare un provvedimento espresso anche in seguito, come nel caso analizzato. Ed è proprio questo uno dei punti affrontati dal ricorso: la parte privata sosteneva che il Comune, dopo aver fatto decorrere inutilmente i termini, non potesse più pronunciarsi in autotutela, se non motivando in modo rafforzato l’interesse pubblico prevalente.
Il TAR ha però chiarito che il provvedimento espresso successivo al silenzio-diniego non costituisce un atto di autotutela, bensì un atto di conferma propria, che sostituisce il rigetto tacito con un provvedimento motivato, ridefinendo ex novo l’assetto degli interessi in gioco.
Approfondisci: Condono e silenzio-assenso: cosa succede se l’amministrazione è in ritardo?
In pratica, il Comune conserva il potere di decidere anche dopo il decorso dei termini, purché motivi la decisione e abbia svolto un supplemento istruttorio, come è avvenuto nel caso in esame. Non solo: il provvedimento espresso, una volta adottato, è autonomamente impugnabile, indipendentemente dal fatto che il silenzio-diniego non fosse stato contestato in precedenza.
Questa precisazione è particolarmente rilevante per i cittadini che si trovano in una situazione analoga: l’inerzia iniziale del Comune non equivale a un via libera, e il fatto che un abuso edilizio non venga subito contestato non implica affatto che sia sanabile o legittimabile nel tempo.
Advertisement - PubblicitàUn altro snodo decisivo messo in luce dal TAR riguarda il tema dell’onere della prova, spesso sottovalutato da chi presenta un’istanza di sanatoria edilizia. In base ai principi generali del processo amministrativo, sanciti dal Codice del processo amministrativo (art. 64 c.p.a.), spetta al privato dimostrare i presupposti della propria richiesta, fornendo tutti gli elementi a sostegno della legittimità dell’opera.
Nel caso specifico, il Tribunale ha evidenziato come la ricorrente non abbia assolto questo onere: non è stata fornita alcuna prova tecnica, documentale o normativa capace di dimostrare che l’intervento edilizio fosse conforme tanto al momento della sua realizzazione quanto al momento della domanda, come richiesto dalla legge.
È importante sottolineare che la “doppia conformità” è un requisito tecnico-giuridico che richiede un’analisi comparativa della disciplina urbanistica e edilizia vigente nei due momenti considerati. Non basta una dichiarazione del tecnico incaricato, né può bastare il semplice richiamo all’esistenza di “cubatura residua” o all’assenza di opposizioni da parte dei condomini. Serve invece una documentazione dettagliata e verificabile, che attesti ad esempio:
Il TAR ha ricordato, richiamando una giurisprudenza ormai costante, che non spetta all’amministrazione dimostrare l’assenza della doppia conformità, trattandosi di un fatto negativo. Al contrario, è il richiedente che deve portare prova positiva della conformità dell’intervento.
La mancata produzione di tali elementi documentali ha portato inevitabilmente al rigetto della domanda, senza che il Comune fosse tenuto a svolgere ulteriori accertamenti.
Compila il form sottostante: la tua richiesta verrà moderata e successivamente inoltrata alle migliori Aziende del settore, GRATUITAMENTE!