Il TAR Lazio ha chiarito che il numero di appartamenti per piano non è vincolo strutturale, legittimando il frazionamento se non altera i vani scala e rispetta i limiti dimensionali.
Un intervento edilizio in un edificio storico della Capitale ha fatto scattare un contenzioso complesso tra cittadini, amministrazione comunale e società immobiliari. Il cuore del caso riguarda la legittimità di un frazionamento immobiliare realizzato tramite semplice CILA – la Comunicazione Inizio Lavori Asseverata – all’interno di un fabbricato inserito nella “Città Storica” secondo la disciplina urbanistica di Roma.
Il ricorso è nato dalla denuncia di alcuni proprietari di appartamenti confinanti, che ritenevano l’intervento lesivo delle norme tecniche di attuazione del PRG. A loro avviso, il frazionamento avrebbe superato il limite massimo di unità per pianerottolo, alterando l’equilibrio strutturale dell’edificio e violando la “Carta per la Qualità” urbanistica.
La questione ha sollevato interrogativi cruciali: cosa significa davvero “intervento strutturale” in edilizia storica? Qual è il confine tra CILA e SCIA? E quali limiti valgono davvero nei frazionamenti?
Il TAR ha fornito risposte chiare. Ma con quali conseguenze per futuri interventi edilizi nei centri storici?
Sommario
Tutto ha avuto origine da un intervento edilizio all’interno di un appartamento situato in un edificio classificato come “casa d’affitto post-unitaria in linea”, una tipologia ricorrente nei quartieri storici romani. Il progetto, presentato tramite CILA nel novembre 2023 da due società private, prevedeva il frazionamento dell’unità immobiliare in quattro appartamenti distinti.
Alcuni condomini, proprietari di appartamenti confinanti, hanno ritenuto che tale intervento fosse illegittimo e avrebbero richiesto al Municipio competente un’immediata verifica urbanistica. A loro dire, l’intervento era troppo invasivo per essere qualificato come “manutenzione straordinaria leggera”, poiché comportava modifiche importanti alla struttura interna, compreso il rialzamento del piano di calpestio e la predisposizione di impianti esterni per caldaie e condizionatori.
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Inoltre, è stato sostenuto che il progetto violasse l’art. 25 delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG, il quale stabilisce – tra gli altri vincoli – che il vano scala possa servire da uno a un massimo di quattro appartamenti per piano, limite che si sarebbe superato con il frazionamento contestato.
Davanti alla mancata risposta dell’amministrazione comunale alla loro istanza, i ricorrenti hanno deciso di rivolgersi al TAR, impugnando anche il parere della Sovrintendenza Capitolina che, a loro avviso, non aveva valutato adeguatamente la conformità dell’intervento.
Advertisement - PubblicitàNel giudizio amministrativo si sono costituite sia l’amministrazione comunale che le due società responsabili dell’intervento edilizio. Entrambe hanno respinto con decisione le accuse, sostenendo la piena legittimità dell’operato. Secondo il Comune, l’intervento contestato rientrava nei limiti previsti per la manutenzione straordinaria e risultava formalmente conforme alla CILA presentata.
Da parte loro, le società hanno anche evidenziato come la comunicazione iniziale dei ricorrenti non imponesse all’amministrazione un obbligo vincolante di provvedere, trattandosi di una diffida ad agire in autotutela, cioè una richiesta di riesame spontaneo degli atti già approvati.
Il Municipio, dopo un primo sopralluogo ritenuto interlocutorio, ha successivamente effettuato accertamenti più approfonditi, dai quali sono emerse alcune difformità rispetto al progetto originario. In particolare, è stato rilevato un gradino interno per il passaggio degli impianti e predisposizioni per impianti esterni non dichiarati. Tuttavia, ciò ha portato solo all’avvio di una sanzione amministrativa, senza che fossero rilevate violazioni tali da annullare l’intervento nel suo complesso.
Nel corso del procedimento, è stato inoltre presentato dalle società un nuovo titolo edilizio in sanatoria (SCIA), che ha in parte aggiornato e regolarizzato la situazione. La Sovrintendenza ha ribadito di non essere tenuta a esprimere un nuovo parere su opere interne in edifici non vincolati direttamente da tutela monumentale.
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Advertisement - PubblicitàIl punto centrale della sentenza n. 11431/2025 riguarda l’interpretazione delle Norme Tecniche di Attuazione del PRG e, in particolare, dell’art. 25 che regola gli interventi nella “Città Storica”. I ricorrenti avevano insistito sul fatto che, trattandosi di una tipologia edilizia classificata come “casa d’affitto post-unitaria in linea”, il limite massimo di quattro appartamenti serviti da un unico vano scala per piano fosse un vincolo strutturale, la cui violazione avrebbe comportato l’illegittimità dell’intervento.
Il TAR, invece, ha escluso questa lettura restrittiva.
Secondo il Tribunale, quel limite numerico va inteso come una caratteristica tipologica, non come un elemento strutturale da proteggere in assoluto. Il vero “requisito strutturante” – cioè quello che il PRG vuole tutelare – è l’esistenza e l’integrità del vano scala, la sua posizione, e il suo ruolo nell’organizzazione interna dell’edificio. Finché non si modificano questi elementi, la conformità urbanistica è rispettata.
In più, il TAR ha rilevato che tutte le unità realizzate avevano superficie superiore ai 45 metri quadri, come richiesto dalle NTA per i frazionamenti residenziali, e che non vi era alcuna modifica dell’ingresso o del corpo scala. Pertanto, la decisione del Comune di non annullare l’intervento e di limitarne le conseguenze a una sanzione amministrativa è stata ritenuta legittima e proporzionata.
Advertisement - PubblicitàLa sentenza del TAR Lazio segna un passaggio rilevante per chi opera interventi edilizi nei contesti storici urbani. Pur non modificando formalmente le norme, essa chiarisce un punto spesso oggetto di interpretazioni divergenti: il numero di appartamenti serviti da un vano scala non costituisce di per sé un vincolo rigido, purché l’organizzazione strutturale dell’edificio – in particolare il vano scala – rimanga invariata.
Si tratta di un orientamento che offre maggiore certezza del diritto per professionisti e proprietari, soprattutto in situazioni dove la linea di confine tra CILA e SCIA è labile. Il TAR ribadisce che anche nelle zone di maggiore pregio urbano, le norme urbanistiche devono essere interpretate secondo logiche funzionali, evitando rigidità non giustificate.
D’altro lato, il pronunciamento pone un limite importante anche per chi contesta: non basta il mero aumento del numero di unità immobiliari per sostenere una violazione urbanistica, se non si dimostra una reale alterazione delle caratteristiche strutturali o dei vincoli storici dell’immobile.
Una decisione che potrebbe fare giurisprudenza in casi simili e che invita a distinguere con attenzione tra la tutela della qualità urbana e un uso eccessivamente formale delle norme edilizie.
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