Il TAR conferma il limite di 1,80 m per i sottotetti nel Tessuto Urbano Consolidato, anche se non abitabili, respingendo la sanatoria per opere considerate sopraelevazioni non ammesse.

I sottotetti rappresentano da sempre uno spazio di confine nell’edilizia: non sono veri e propri ambienti abitabili, ma spesso si prestano a usi tecnici, spazi di servizio o, laddove possibile, a trasformazioni più ambiziose. Proprio per questo motivo, la loro gestione normativa è particolarmente delicata. Ogni Comune, nel rispetto delle norme nazionali e regionali, stabilisce regole specifiche che possono incidere in modo decisivo sulla possibilità di modificare o sanare gli interventi su questi spazi.
In una recente sentenza, il TAR della Lombardia ha confermato la legittimità del rigetto di una richiesta di sanatoria per lavori eseguiti su un sottotetto. Il nodo della questione? L’altezza interna superiore a 1,80 metri, ritenuta in contrasto con il Piano di Governo del Territorio del Comune interessato.
Ma quali sono i limiti per intervenire su un sottotetto? In che modo un semplice intervento tecnico può diventare un problema urbanistico?
E cosa bisogna considerare prima di presentare una SCIA o una richiesta di sanatoria?
Sommario
La vicenda che ha dato origine al contenzioso riguarda un immobile situato all’interno del Tessuto Urbano Consolidato, una delle zone più sensibili dal punto di vista urbanistico, dove gli interventi edilizi sono particolarmente regolamentati per preservare l’equilibrio morfologico e il carico urbanistico esistente.
La proprietà dell’immobile aveva presentato nel 2021 una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) per eseguire la sostituzione della copertura di un sottotetto e la realizzazione di una soletta strutturale destinata a ospitare impianti tecnologici (riscaldamento e condizionamento) a servizio delle unità immobiliari sottostanti. L’intervento era stato presentato come di natura puramente tecnica, senza modifiche che avrebbero comportato un uso abitativo del locale sottotetto.
Tuttavia, dopo un esposto da parte di un residente, il Comune ha avviato un procedimento di annullamento d’ufficio, sostenendo che l’intervento comportasse una modifica sostanziale dell’altezza interna del sottotetto, qualificabile come sopraelevazione. A seguito dell’annullamento della SCIA e dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi, la proprietà ha tentato di ottenere una sanatoria, chiedendo il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, previsto dall’art. 36 del Testo Unico dell’Edilizia per opere realizzate senza titolo ma conformi alla disciplina urbanistica.
L’istanza di sanatoria è stata respinta, poiché, secondo il Comune, l’intervento violava le Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano delle Regole del PGT, che impongono limiti stringenti all’altezza interna dei sottotetti nel TUC. Nonostante le controdeduzioni presentate, l’amministrazione ha confermato la natura non sanabile dell’intervento, ritenendo che esso alterasse in modo rilevante il profilo dell’edificio.
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Advertisement - PubblicitàAl centro della controversia vi è l’art. 23, comma 7, delle Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano delle Regole del PGT del Comune interessato. La disposizione stabilisce che in tutto il Tessuto Urbano Consolidato, gli interventi edilizi sui sottotetti sono ammessi solo se l’altezza interna non supera, in alcun punto, i 1,80 metri. Si tratta di un vincolo rigido, pensato per evitare che i sottotetti diventino strumenti per realizzare nuove superfici abitative in zone già fortemente urbanizzate.
Secondo la tesi della parte ricorrente, questa norma non dovrebbe essere applicata ai sottotetti non abitabili, come nel caso in esame. La società aveva sostenuto che il locale non era destinato alla permanenza di persone, ma a fini tecnici, e che quindi andava applicato l’art. 90 del Regolamento Edilizio, che consente altezze fino a 2,35 metri per sottotetti non abitabili.
In particolare, veniva proposta una classificazione tripartita dei sottotetti:
Il sottotetto in questione, secondo la proprietà, rientrava nella seconda categoria, per cui l’innalzamento della copertura sarebbe stato ammissibile. Inoltre, si sosteneva che la finalità tecnica dell’intervento (posa di impianti) lo rendesse compatibile con la normativa vigente.
Ma il TAR ha smentito questa interpretazione, chiarendo che l’art. 23, comma 7, non si riferisce solo ai casi di recupero abitativo, ma stabilisce un limite morfologico valido per tutti gli interventi sui sottotetti, indipendentemente dalla destinazione d’uso. Questo perché l’obiettivo della norma è contenere l’impatto edilizio visivo e strutturale, evitando alterazioni dell’equilibrio urbano in zone già completamente edificate.
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Advertisement - PubblicitàIl Tribunale Amministrativo con la sentenza n. 2859/2025 ha respinto il ricorso, ritenendo che la norma comunale fosse stata correttamente interpretata e applicata dall’amministrazione. Secondo il TAR, l’art. 23, comma 7, delle NTA non può essere letto in modo restrittivo né applicato solo ai casi di recupero abitativo: si tratta, invece, di una norma generale che regola ogni intervento sul sottotetto, anche quando non sia previsto l’uso residenziale.
Il giudice ha evidenziato come la finalità della disposizione sia quella di evitare l’alterazione dell’equilibrio urbanistico e morfologico in contesti urbani già densamente edificati, come il Tessuto Urbano Consolidato. In questi casi, anche modifiche apparentemente “tecniche”, come l’innalzamento di una copertura, possono avere un impatto significativo sull’assetto edilizio esistente, aprendo potenzialmente la strada a futuri ampliamenti o utilizzi impropri.
Il TAR ha inoltre ritenuto non irragionevole la previsione del limite di 1,80 m anche per locali non abitabili, sottolineando che tale soglia rappresenta un confine tecnico e giuridico chiaro per impedire trasformazioni che, di fatto, equivarrebbero a sopraelevazioni. A nulla è valsa l’insistenza del ricorrente sul fatto che l’intervento fosse destinato solo a fini impiantistici: la modifica sostanziale dell’altezza e della struttura rendeva comunque l’opera non compatibile con il quadro normativo locale.
Inoltre, trattandosi di un provvedimento plurimotivato, il rigetto su uno solo dei punti rilevanti (in questo caso, l’altezza del sottotetto) è stato ritenuto sufficiente a giustificare il diniego della sanatoria, rendendo superflua l’analisi degli altri motivi contestati, come la presenza di una scala non dichiarata o il mancato deposito di verifiche strutturali.
Advertisement - PubblicitàLa sentenza del TAR Lombardia ha un significato che va ben oltre il singolo caso. Ribadendo il valore generale del limite di 1,80 metri per i sottotetti, anche quando non destinati a usi abitativi, il giudice amministrativo offre un precedente chiaro per tutti i futuri interventi edilizi in contesti urbani consolidati.
Per i progettisti, ciò implica la necessità di valutare con attenzione le disposizioni urbanistiche locali, in particolare quelle contenute nelle NTA del PGT. Anche interventi che, dal punto di vista tecnico, possono apparire minimi o funzionali (come la posa di impianti o il consolidamento di strutture), se comportano un aumento dell’altezza del sottotetto, devono essere analizzati alla luce delle norme morfologiche e del contesto urbanistico.
Per i proprietari, invece, questa decisione rappresenta un avvertimento importante: non sempre è possibile “regolarizzare” a posteriori modifiche edilizie non conformi, anche se motivate da ragioni tecniche o di efficientamento. La strada della sanatoria edilizia, prevista dal Testo Unico dell’Edilizia (art. 36 d.P.R. 380/2001), richiede infatti che le opere siano conformi sia alla normativa vigente al momento della realizzazione, sia a quella attuale. In caso contrario, il Comune può legittimamente rigettare l’istanza e imporre il ripristino.
In un contesto normativo sempre più attento al contenimento del consumo di suolo e alla qualità dello spazio urbano, la gestione dei sottotetti – spesso percepiti come “zone grigie” – sta diventando un fronte cruciale di controllo urbanistico.
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