La Corte d’Appello di Roma richiama gli amministratori di condominio alla trasparenza, stabilendo che l’omessa comunicazione delle informazioni può giustificare la compensazione delle spese legali in giudizio.
Nel cuore del vivere condominiale, l’amministratore svolge un ruolo fondamentale: custodisce i conti, coordina i servizi comuni, gestisce le relazioni tra condomini e rappresenta l’intero stabile verso l’esterno. Eppure, troppo spesso si sottovaluta quanto le sue omissioni possano avere effetti concreti e pesanti sui diritti dei singoli proprietari.
Lo ha recentemente ribadito una sentenza della Corte d’Appello di Roma, che ha riportato all’attenzione il tema della trasparenza e della corretta comunicazione tra amministrazione e condomini, soprattutto nei casi di subentro nella proprietà.
Cosa accade se un nuovo proprietario non riesce a contattare l’amministratore per chiarimenti sui debiti del condominio? È lecito procedere con un decreto ingiuntivo senza prima aver fornito le informazioni necessarie? E, soprattutto, cosa comporta questa mancanza sul piano giuridico?
Sommario
Tutto ha avuto origine da una situazione purtroppo comune: una società acquista due appartamenti all’interno di un condominio e, qualche mese dopo, si ritrova destinataria di un decreto ingiuntivo per oltre 6.500 euro di spese condominiali arretrate.
La somma comprendeva oneri che risalivano anche a prima dell’acquisto, relativi a esercizi precedenti, e non solo a quelli dell’anno in corso e di quello precedente, come stabilito dalla legge.
La società acquirente decide di opporsi al decreto, sostenendo di non aver mai ricevuto, prima della notifica, alcuna richiesta di pagamento, né tantomeno la documentazione necessaria per verificare la correttezza delle somme richieste. E non per sua negligenza: l’amministratore del condominio, come emerso in giudizio, non aveva affisso all’ingresso dello stabile i suoi contatti, come previsto dalla normativa, e aveva ignorato ogni tentativo di comunicazione.
Una gestione opaca, che ha costretto la nuova proprietaria ad agire solo dopo essere stata formalmente coinvolta in un procedimento giudiziario.
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Advertisement - PubblicitàIl caso affrontato dalla Corte d’Appello di Roma ruota attorno a due norme fondamentali del diritto condominiale. La prima è l’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile, secondo cui il nuovo proprietario di un immobile in condominio è obbligato in solido con il precedente al pagamento delle spese relative all’anno in corso e a quello precedente.
Un principio chiaro, ma spesso dimenticato o ignorato.
La seconda è l’articolo 1175 del Codice Civile, che impone alle parti di comportarsi secondo correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori. È proprio su questo punto che si è concentrata la critica più forte al comportamento dell’amministratore: pur sapendo della recente acquisizione degli immobili da parte della società, non ha messo a disposizione alcuna documentazione contabile né ha fornito informazioni utili a chiarire la reale situazione debitoria.
Questo comportamento, ha sottolineato la Corte, ha impedito al nuovo proprietario di adempiere spontaneamente e tempestivamente, costringendolo a farlo solo dopo la notifica del decreto ingiuntivo.
Una condotta che, pur non rendendo formalmente invalida l’azione legale dell’amministratore, viene giudicata in contrasto con i principi fondamentali del diritto civile.
Advertisement - PubblicitàNel corso del giudizio è emerso un elemento rivelatore: l’amministratore non aveva affisso nell’atrio del condominio alcuna targa con i propri recapiti, in violazione dell’obbligo previsto dal regolamento di attuazione della riforma del condominio (art. 1129 c.c., comma 5). Una mancanza solo apparentemente formale, ma che nella pratica ha impedito al nuovo proprietario di ottenere la documentazione utile per saldare correttamente quanto dovuto.
Non solo: nonostante le ripetute richieste, anche tramite il portiere, l’amministratore avrebbe sistematicamente evitato il confronto, rifiutando di fornire chiarimenti o copia dei bilanci. Eppure, la possibilità per ogni condomino – anche subentrante – di accedere in maniera semplice alle informazioni contabili è un diritto garantito per legge.
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Il risultato? Una gestione opaca e chiusa che ha aggravato la posizione della proprietà, rendendo inevitabile un contenzioso giudiziario. La Corte ha giudicato questa condotta incompatibile con i doveri minimi di collaborazione e lealtà, su cui si fonda ogni corretto rapporto condominiale.
Un richiamo importante a tutte le figure che ricoprono questo incarico: la trasparenza non è una cortesia, è un obbligo giuridico.
Advertisement - PubblicitàLa Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 2756/2025 ha riformato parzialmente la sentenza di primo grado, confermando la revoca del decreto ingiuntivo nei confronti del nuovo proprietario, ma soprattutto intervenendo sulla questione delle spese legali, punto su cui si era concentrato il ricorso.
Il Tribunale, infatti, aveva condannato la società opponente al pagamento delle spese del giudizio, ritenendo che il saldo fosse avvenuto solo dopo la notifica del decreto ingiuntivo.
I giudici d’appello, però, hanno ricostruito il contesto in modo più completo: se il pagamento era avvenuto tardivamente, ciò non dipendeva da una volontà inadempiente, ma da un comportamento ostativo da parte dell’amministratore, che non aveva favorito il dialogo né fornito i documenti necessari. È in questa mancanza che risiede – secondo la Corte – la causa dell’intero contenzioso, e dunque anche della successiva spesa per azionare il procedimento.
Da qui la scelta di compensare integralmente le spese legali sia del primo che del secondo grado: un segnale chiaro che, nel rapporto tra amministrazione condominiale e condomini, la responsabilità non è solo in capo a chi riceve una richiesta di pagamento, ma anche (e soprattutto) a chi la formula.