Una sopraelevazione contestata viene giudicata legittima dal TAR Sicilia, che chiarisce i limiti del diritto alla luce, alle distanze tra edifici e alla vista panoramica.
La convivenza tra immobili confinanti, soprattutto in centri urbani costieri e turistici, è spesso terreno fertile per controversie legate alla luce, alla vista panoramica e al rispetto delle distanze. È il caso di una recente sentenza del TAR Sicilia – Sezione di Catania – che ha rigettato il ricorso presentato da alcuni proprietari contrari alla sopraelevazione di un edificio vicino al loro.
Il cuore della disputa: un permesso di costruire rilasciato dal Comune, contestato per presunta illegittimità, oscuramento di aperture, compromissione della salubrità e perdita della vista sul mare.
Ma cosa dice davvero la normativa sulle distanze tra edifici? È possibile tutelare il diritto alla luce o alla veduta? E fino a che punto un Comune è tenuto a intervenire?
Sommario
Il caso trae origine da un conflitto tra confinanti, come spesso accade nei piccoli centri costieri ad alta densità edilizia, dove ogni modifica strutturale può incidere sull’equilibrio tra gli immobili. I ricorrenti – comproprietari di un’abitazione adiacente al fabbricato oggetto dell’intervento – si sono accorti dei lavori di sopraelevazione solo dopo l’inizio del cantiere. L’attività edilizia, autorizzata con permesso di costruire dal Comune, prevedeva l’aggiunta di nuovi piani a un edificio precedentemente ristrutturato.
Una volta ottenuti i progetti tramite accesso agli atti, gli stessi proprietari hanno presentato ricorso al TAR, contestando in primo luogo la legittimità originaria dell’immobile su cui era stata autorizzata la sopraelevazione. Sostenevano che il fabbricato fosse stato trasformato con una SCIA edilizia che, a loro avviso, avrebbe richiesto invece un vero e proprio permesso di costruire, trattandosi di un intervento di ristrutturazione edilizia con cambio di destinazione d’uso e impatto sul carico urbanistico.
Secondo questa ricostruzione, l’intervento era da considerarsi abusivo e dunque non suscettibile di ulteriori ampliamenti.
A ciò si aggiungevano contestazioni tecniche: violazione delle distanze minime tra edifici (previste dall’art. 9 del D.M. 1444/1968 per le zone B e dal Regolamento edilizio comunale), oscuramento di aperture esistenti, compromissione della salubrità degli ambienti interni, e un presunto danno al “diritto alla vista panoramica”. Secondo i ricorrenti, il nuovo volume edificato avrebbe infatti impedito l’affaccio verso la baia e ridotto l’apporto di luce naturale, violando le regole di buona progettazione e le Norme Tecniche di Attuazione del piano regolatore generale.
Infine, i proprietari lamentavano l’inerzia del Comune, accusandolo di non aver esercitato i dovuti poteri di controllo e vigilanza nonostante le numerose diffide protocollate prima e durante i lavori.
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Advertisement - PubblicitàIl cuore del ricorso ruotava attorno a uno dei temi più delicati dell’edilizia urbana: il rispetto delle distanze tra costruzioni e la tutela delle vedute. I ricorrenti lamentavano che la sopraelevazione realizzata dal vicino violasse le distanze minime previste dall’art. 9 del D.M. 1444/1968, il quale impone, per le zone B (aree edificate), una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate. A supporto di questa tesi, avevano documentato con fotografie la presenza di finestre e portefinestre nel proprio immobile, sostenendo che queste aperture garantivano luce e vista, elementi compromessi dalla nuova costruzione.
Tuttavia, il TAR ha rigettato queste contestazioni, sulla base di un’analisi normativa precisa. In particolare, ha rilevato che le aperture oscurate non fossero vedute vere e proprie, bensì “luci”, cioè semplici aperture che permettono il passaggio di luce e aria, ma non affacci o prospetti diretti verso la proprietà altrui. Secondo l’art. 904 del Codice Civile, la presenza di una luce non impedisce al vicino di costruire anche in aderenza, purché l’apertura sia chiusa da grata fissa, come nel caso esaminato. Le vedute, invece, richiedono distanze precise e la possibilità di “affacciarsi” – condizione che, secondo i giudici, non ricorreva.
Inoltre, il TAR ha confermato che la cosiddetta porta-finestra su cui si basava gran parte della contestazione, dava accesso a un disimpegno e non a un vano abitabile. Il Regolamento Edilizio Comunale, infatti, all’art. 42, esclude l’obbligo di distanza minima per finestre che si aprono su locali tecnici come corridoi, bagni o scale. Anche questa interpretazione è stata ritenuta coerente con la normativa vigente.
Quanto al “giunto tecnico” realizzato tra i due edifici, i ricorrenti ne denunciavano la pericolosità e l’impatto sulla salubrità degli ambienti. Ma il Tribunale ha respinto anche questa censura, chiarendo che il giunto era non solo legittimo, ma necessario secondo la normativa antisismica, in quanto garantisce l’oscillazione differenziata tra fabbricati contigui in caso di evento sismico.
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Advertisement - PubblicitàDopo un’attenta disamina degli atti, delle memorie delle parti e della normativa applicabile, il TAR Sicilia con la sentenza n. 1542/2025 ha deciso di rigettare il ricorso in toto, confermando la piena legittimità del permesso di costruire rilasciato dal Comune. Il punto chiave della decisione sta nella distinzione tra il diritto a costruire e il diritto alla luce o alla veduta, che spesso viene rivendicato in modo improprio dai proprietari confinanti.
Secondo il giudice amministrativo, non erano emerse violazioni urbanistiche o edilizie rilevanti: il precedente intervento realizzato tramite SCIA non era più impugnabile, essendosi consolidato per decorso dei termini (art. 21-nonies della legge 241/1990), e il cambio di destinazione d’uso era avvenuto all’interno della medesima categoria funzionale, quindi senza necessità di un nuovo permesso. Non si trattava dunque di un immobile abusivo, come sostenuto dai ricorrenti.
Riguardo alle presunte violazioni delle distanze, il TAR ha chiarito che le aperture oscurate erano luci e non vedute, e che la costruzione in aderenza era perfettamente legittima. Anche la pretesa lesione del “diritto alla vista panoramica” è stata respinta con fermezza: il giudice ha ricordato che, in assenza di una specifica servitù di veduta o vincoli imposti da piani urbanistici, non esiste un diritto soggettivo a mantenere una visuale libera sul mare o sul paesaggio.
Infine, la denuncia di inerzia da parte del Comune è stata ritenuta infondata: il permesso di costruire e l’autorizzazione sismica erano stati regolarmente rilasciati e depositati in atti, e non risultavano obblighi omessi o controlli elusi da parte dell’amministrazione locale.
Alla luce di tutto ciò, il Tribunale ha confermato la validità del titolo edilizio e rigettato il ricorso, disponendo la compensazione delle spese processuali, vista la complessità delle questioni trattate.
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