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Demolizione di opere abusive in condominio: quando la CILA non basta a salvarle

Il TAR Campania ha confermato la legittimità di un’ordinanza di demolizione per abusi edilizi, chiarendo i limiti della CILA, dei vincoli paesaggistici e delle responsabilità condominiali.

Demolizione di opere abusive in condominio: quando la CILA non basta a salvarle Demolizione di opere abusive in condominio: quando la CILA non basta a salvarle
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Negli ultimi anni, il tema dell’abusivismo edilizio è tornato al centro dell’attenzione giurisprudenziale, soprattutto quando si tratta di interventi su parti comuni condominiali o su immobili soggetti a vincoli paesaggistici e sismici. In un contesto urbano denso e complesso come quello campano, una recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania ha riaffermato principi fondamentali in materia di repressione degli abusi edilizi e notifiche degli atti.

Il caso ha avuto origine da una doppia ordinanza di demolizione emessa da un Comune vesuviano, che aveva ordinato la rimozione di una serie di opere edilizie giudicate abusive: modifiche strutturali a un sottotetto, installazioni su terrazzi, realizzazione di cancelli su aree condominiali. I destinatari delle ordinanze hanno impugnato i provvedimenti sostenendo, tra le altre cose, di non essere più legittimati a ricevere la notifica o di aver sanato le opere con CILA e domande di conformità paesaggistica.

Ma qual è il vero peso giuridico della carica di amministratore condominiale rispetto agli abusi? È possibile evitare la demolizione con una CILA postuma? E quali sono i limiti alla libertà d’intervento su terrazzi e sottotetti, specie in presenza di vincoli paesaggistici?

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Il caso: ordinanze di demolizione e ricorsi al TAR

Tutto nasce da un’ordinanza di demolizione adottata da un Comune della provincia di Napoli, che aveva rilevato la presenza di opere edilizie eseguite senza i necessari titoli abilitativi su un immobile situato in una zona vincolata. Il provvedimento, notificato inizialmente all’amministratore del condominio e successivamente anche a un rappresentante legale di una società immobiliare, imponeva la rimozione di diverse strutture: un cancello in ferro installato all’interno dell’androne condominiale, un altro posto all’ingresso delle scale comuni, e numerosi interventi all’ultimo piano, tra cui il cambio di destinazione d’uso di un sottotetto, l’aggiunta di pergotende, una vasca idromassaggio, un bancone con lavello e altri arredi da esterno.

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Ritenendo i provvedimenti ingiustificati e viziati da errori procedurali, i destinatari hanno presentato due distinti ricorsi davanti al TAR: il primo puntava sull’errata individuazione del soggetto destinatario dell’ordinanza, il secondo contestava nel merito la natura abusiva delle opere, sostenendo che molte di esse fossero in realtà soggette a edilizia libera o già oggetto di sanatoria tramite CILA e richiesta di autorizzazione paesaggistica.

In prima battuta, il TAR aveva accolto in via cautelare la sospensione dell’efficacia dell’ordinanza, ritenendo fondato il dubbio sulla legittimazione del soggetto destinatario. Tuttavia, giunto il momento della decisione di merito, il tribunale ha riconsiderato la questione alla luce di nuovi documenti e chiarimenti presentati dalle parti.

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Chi è il vero destinatario delle ordinanze di demolizione condominiali? il TAR fa chiarezza

Uno degli aspetti più controversi della vicenda riguardava la figura dell’ex amministratore di condominio, al quale era stata notificata una delle ordinanze di demolizione. Il ricorrente sosteneva di non essere più in carica al momento della notifica e, quindi, di non poter essere considerato legittimo destinatario dell’atto. In effetti, risultava che le dimissioni fossero state formalizzate diversi mesi prima della comunicazione ufficiale del provvedimento.

Il TAR, tuttavia, ha adottato un approccio più sostanziale che formale. Ha osservato che il destinatario dell’ordinanza non era stato individuato esclusivamente in qualità di amministratore, ma anche come committente diretto delle opere contestate e come condomino, quindi in parte proprietario degli spazi interessati.

Di conseguenza, la notifica è stata ritenuta legittima.

Con un’analisi giurisprudenziale approfondita, il Tribunale ha anche richiamato l’orientamento secondo cui l’amministratore non può essere destinatario esclusivo di un’ordinanza di demolizione relativa a parti comuni, poiché il condominio non è un soggetto giuridico autonomo distinto dai singoli condomini. Tuttavia, laddove sia possibile individuare uno o più soggetti responsabili delle opere abusive, come nel caso in esame, l’ordinanza può essere correttamente notificata a questi ultimi, anche se non più formalmente incaricati della gestione condominiale.

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Sottotetti abitabili, vasche idromassaggio e pergotende: cosa è abuso edilizio secondo il TAR

Le opere oggetto di contestazione riguardavano tanto le parti comuni dell’edificio quanto spazi di proprietà esclusiva. Tra gli interventi ritenuti abusivi, il Comune aveva individuato: la trasformazione di un sottotetto non abitabile in spazio residenziale completo di bagno, cucina e arredi; la realizzazione di strutture fisse su un terrazzo, tra cui pergotende di grandi dimensioni, una vasca idromassaggio e un bancone con lavello; e infine, l’installazione di cancelli in ferro in aree comuni come l’androne e le scale condominiali.

Il TAR ha confermato la valutazione dell’amministrazione comunale, sostenendo che si trattava di interventi riconducibili alla cosiddetta “ristrutturazione edilizia pesante”, soggetta all’obbligo di permesso di costruire. L’aggravante, in questo caso, è stata la presenza di vincoli paesaggistici e sismici sull’intero territorio comunale, che impongono ulteriori autorizzazioni, come quella paesaggistica e la comunicazione al Genio Civile.

Significativo è stato il ragionamento del giudice amministrativo: anche opere apparentemente minori – come una vasca da esterno o una struttura ombreggiante – possono costituire nuovo volume edilizio o modifica dell’aspetto architettonico, se installate stabilmente e non amovibili, e dunque richiedono un titolo edilizio formale. Inoltre, nel caso di immobili vincolati, qualunque intervento che impatti sul decoro o sull’assetto complessivo dell’edificio deve essere autorizzato in via preventiva, pena l’illegittimità.

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CILA e autorizzazione paesaggistica: strumenti insufficienti per evitare la demolizione

Uno degli argomenti principali avanzati dai ricorrenti per contestare l’ordinanza comunale era l’avvenuta presentazione, dopo l’emissione del provvedimento, di una CILA in sanatoria e di una richiesta di accertamento di conformità paesaggistica. Secondo la loro tesi, questi adempimenti avrebbero dovuto sospendere o addirittura annullare l’obbligo di demolizione, poiché finalizzati al ripristino della legalità urbanistica.

In particolare, nella CILA si dichiarava l’intenzione di rimuovere gli impianti e gli arredi installati nel sottotetto (come bagno, cucina, impianto TV, climatizzazione e canna fumaria), con interventi di ripristino anche sulle pareti, per far tornare l’ambiente alla destinazione d’uso originaria.

Allo stesso modo, con l’istanza paesaggistica si chiedeva la regolarizzazione di alcune opere visibili dal terrazzo, come le pergotende, il lavello da esterno e la vasca idromassaggio.

Il TAR Campania ha respinto queste difese con motivazioni nette. In primo luogo, ha chiarito che la CILA è un titolo abilitativo adatto per opere di manutenzione straordinaria o interventi minori, ma non può mai sanare interventi che, per natura e consistenza, ricadono tra quelli soggetti a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. c) del D.P.R. 380/2001. Questo è particolarmente vero quando si parla di ristrutturazioni “pesanti”, che comportano cambi di destinazione d’uso, modifiche alla volumetria o trasformazioni funzionali di locali non abitabili.

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In secondo luogo, il giudice ha sottolineato che la sola presentazione dell’istanza di autorizzazione paesaggistica non sospende automaticamente i procedimenti sanzionatori, né può neutralizzare un ordine di demolizione già emanato, in mancanza di una risposta positiva dell’amministrazione. Anzi, la mancata pronuncia dell’ente entro i termini previsti può al più dar luogo a un “silenzio-inadempimento”, che tuttavia deve essere impugnato con un ricorso autonomo – cosa che nel caso di specie non era avvenuta correttamente.

Infine, il TAR ha osservato che la presentazione tardiva di questi atti non dimostra la legittimità delle opere, ma piuttosto ne conferma l’illiceità originaria. Solo un provvedimento espresso di sanatoria o autorizzazione paesaggistica può eventualmente far venir meno l’efficacia dell’ordinanza; in assenza di ciò, la demolizione resta un obbligo pienamente valido.

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Vincoli paesaggistici e silenzio dell’amministrazione: perché la sanatoria non basta

Un altro tentativo dei ricorrenti di ottenere l’annullamento dell’ordinanza di demolizione è stato quello di far valere il silenzio dell’amministrazione comunale sull’istanza di accertamento di conformità paesaggistica. A distanza di mesi dalla presentazione della richiesta, il Comune non aveva ancora adottato alcun provvedimento formale, inducendo i ricorrenti a sostenere che si fosse formato un silenzio significativo – in particolare, un “silenzio-inadempimento” ai sensi della legge sul procedimento amministrativo.

Il TAR ha però chiarito che l’inerzia dell’amministrazione non è sufficiente, da sola, a rendere illegittima un’ordinanza di demolizione già emessa su presupposti giuridici corretti. La mancata definizione dell’iter paesaggistico non equivale a un’autorizzazione tacita e, soprattutto, non può bloccare l’esecuzione di un ordine repressivo, quando sono state accertate violazioni edilizie in un’area sottoposta a vincolo.

Nel caso specifico, l’immobile si trovava in una zona classificata sismica di categoria 2 e contemporaneamente sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.Lgs. 42/2004). Secondo la normativa vigente, qualsiasi intervento, anche se modesto, che incida sull’estetica, la sagoma o la fruizione di un edificio, deve essere preventivamente autorizzato, salvo ricadere in una delle specifiche eccezioni previste dal D.P.R. 31/2017 (che però non erano applicabili nel caso in esame).

Il Tribunale ha quindi ritenuto pienamente legittima l’azione dell’amministrazione comunale, che aveva basato l’ordinanza di demolizione su una triplice motivazione autonoma: l’assenza del permesso di costruire, la mancata comunicazione al Genio Civile e la carenza dell’autorizzazione paesaggistica. Secondo un principio costante della giurisprudenza amministrativa, basta che uno solo di questi motivi sia fondato per confermare la validità del provvedimento, rendendo irrilevante l’eventuale fondatezza parziale di alcune doglianze.

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La decisione finale: ordinanza legittima e condanna alle spese

Con la sentenza n. 4117/2025, il TAR Campania ha rigettato entrambi i ricorsi, riconoscendo la piena legittimità dell’ordinanza di demolizione emessa dal Comune. Il Tribunale ha sottolineato come le opere contestate – analizzate sia singolarmente sia nel loro complesso – costituiscano un intervento edilizio significativo, non autorizzato, e realizzato in un contesto urbanistico vincolato, il che giustifica l’adozione di una misura sanzionatoria di tipo ripristinatorio.

Particolarmente rilevante è il richiamo, contenuto in motivazione, al principio secondo cui la valutazione degli abusi edilizi non può essere frammentaria. L’impatto sull’ambiente e sul decoro urbano deve essere valutato nel suo insieme, e anche piccoli manufatti, se combinati tra loro, possono alterare l’assetto edilizio del territorio in modo rilevante. In questo caso, il cambiamento della destinazione d’uso del sottotetto, le installazioni fisse sul terrazzo e le modifiche alle parti comuni del fabbricato hanno determinato un’alterazione significativa dell’edificio, non giustificabile né compatibile con la disciplina urbanistica vigente.

Alla luce di ciò, il TAR ha respinto ogni eccezione sollevata dai ricorrenti, ritenendo infondate anche le doglianze sulla mancata comunicazione preventiva ai sensi dell’art. 10-bis della legge 241/1990, in quanto il provvedimento impugnato era un atto vincolato e non discrezionale, come previsto dalla normativa in materia di abusi edilizi.

Infine, come accade nei procedimenti amministrativi in cui una delle parti risulta soccombente, il Tribunale ha disposto anche la condanna alle spese legali, imponendo ai ricorrenti il pagamento di un importo complessivo pari a 2.500 euro a favore del Comune, quale parte resistente.



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TAGS: abusi edilizi, autorizzazione paesaggistica, CILA sanatoria, demolizione opere abusive, edilizia condominiale, ordinanza demolizione, pergotenda, sottotetto abitabile, tar campania, vincolo paesaggistico

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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