Sentenza chiarisce i poteri del giudice nelle urgenze condominiali: può scegliere la ditta e autorizzare lavori per evitare danni. Contestazioni senza prove concrete e risarcimenti non dimostrati vengono respinti.

Quando un edificio condominiale presenta infiltrazioni provenienti da una mansarda sottoposta a procedura esecutiva, stabilire chi decide i lavori, chi paga e chi risarcisce i danni può trasformarsi in un terreno complicato, dove si intrecciano norme del Codice Civile, competenze dell’assemblea condominiale e poteri del giudice dell’esecuzione. È ciò che emerge da una recente sentenza del Tribunale di Cagliari, che ha chiarito limiti e responsabilità quando la manutenzione urgente coinvolge un immobile pignorato e più unità immobiliari danneggiate.
Il caso solleva interrogativi importanti per chi vive o amministra un condominio: l’assemblea può imporre la propria ditta per i lavori? Il giudice può sostituirsi ai condomini quando c’è il rischio di aggravamento del danno? E quali prove servono per ottenere un risarcimento per infiltrazioni?
Domande tutt’altro che teoriche, che questa decisione prova a mettere in ordine.
Sommario
La vicenda trae origine da una situazione piuttosto complessa che coinvolge un condominio in cui una mansarda, da anni sottoposta a una procedura esecutiva immobiliare, versava in condizioni tali da compromettere l’integrità dell’intero edificio. La copertura risultava deteriorata, gli abbaini non erano adeguatamente protetti e la terrazza necessitava di interventi urgenti di impermeabilizzazione.
Le infiltrazioni d’acqua, infatti, non si limitavano a interessare l’unità in esecuzione, ma si propagavano ai piani inferiori, danneggiando più appartamenti e rendendo indispensabili lavori di risanamento strutturale e interno.
Di fronte a questa situazione, il giudice dell’esecuzione aveva disposto una serie di verifiche tecniche, nominando un consulente (CTU) incaricato di individuare gli interventi necessari e di quantificarne i costi. Il computo metrico predisposto dal tecnico aveva evidenziato lavori urgenti per decine di migliaia di euro, sia per eliminare le cause delle infiltrazioni sia per riparare i danni già prodotti agli appartamenti sottostanti.
Considerata la natura dell’immobile — inserito in una procedura giudiziaria e, quindi, non nella disponibilità diretta del proprietario esecutato — il giudice aveva autorizzato l’esecuzione dei lavori affidandoli a una ditta individuata tramite il CTU, ritenendo che non fosse possibile attendere i tempi e le decisioni dell’assemblea condominiale.
Contestualmente, aveva applicato i criteri di ripartizione delle spese previsti dal Codice Civile per le terrazze a uso esclusivo, stabilendo che una parte dei costi ricadesse sul proprietario della mansarda e la restante sul condominio.
Alcuni condomini, ritenendo che questa scelta avesse violato le prerogative dell’assemblea e pregiudicato il loro diritto di determinare a chi affidare i lavori, avevano proposto opposizione. Sostenevano, inoltre, che avrebbero dovuto loro stessi gestire i lavori di riparazione interna ai propri appartamenti danneggiati, incaricando imprese di fiducia, e chiedevano il riconoscimento di risarcimenti specifici calcolati sulla base delle valutazioni tecniche.
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Advertisement - PubblicitàI condomini che hanno promosso l’opposizione ritenevano che il decreto del giudice dell’esecuzione avesse inciso indebitamente sulle prerogative dell’assemblea condominiale. A loro avviso, infatti, sarebbe spettato esclusivamente ai proprietari delle unità immobiliari — e non all’autorità giudiziaria — scegliere la ditta incaricata di eseguire i lavori sulla terrazza e sugli abbaini della mansarda da cui provenivano le infiltrazioni.
Sostenevano che la valutazione dei preventivi e l’approvazione degli interventi dovessero rimanere nell’ambito delle ordinarie competenze assembleari.
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I condomini chiedevano inoltre che il giudice riconoscesse la validità di una delibera assembleare che aveva già individuato un’impresa e stabilito i criteri di ripartizione delle spese. Secondo la loro ricostruzione, i lavori dovevano essere suddivisi applicando l’art. 1126 del Codice Civile: una quota a carico del proprietario della mansarda e la restante parte a carico del condominio. Contestavano poi che alcune spese — come quelle relative alla chiusura delle aperture degli abbaini — dovessero ricadere interamente sulla procedura esecutiva, in quanto attinenti alla manutenzione straordinaria di un bene esclusivo.
Articolo n° 1126 Codice Civile
Lastrici solari di uso esclusivoQuando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non e’ comune a tutti i condomini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.
Un altro punto centrale riguardava il risarcimento dei danni sofferti negli appartamenti ai piani inferiori. I condomini lamentavano che le infiltrazioni avessero causato danni quantificabili e documentati, e chiedevano che tali somme fossero riconosciute come credito nei confronti della procedura esecutiva. Rivendicavano, inoltre, il diritto di affidare autonomamente i lavori di ripristino interno alle loro abitazioni, senza essere vincolati alla ditta incaricata dal giudice per gli interventi esterni sulla mansarda.
In sintesi, le loro pretese ruotavano attorno a tre aspetti fondamentali: la competenza a scegliere l’impresa, la corretta ripartizione delle spese e il risarcimento dei danni derivanti dalle infiltrazioni.
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Advertisement - PubblicitàIl Tribunale di Cagliari, tramite la sentenza n. 1855 del 20/11/2025, ha respinto integralmente l’opposizione, ritenendo che le doglianze dei condomini non fossero supportate da alcun interesse concreto né da elementi di prova idonei a dimostrare un pregiudizio effettivo. La sentenza sottolinea come le critiche mosse al decreto del giudice dell’esecuzione fossero formulate in modo solo astratto e ipotetico, senza indicare in che modo la scelta della ditta o la gestione dei lavori potesse arrecare un danno reale agli opponenti.
Uno dei punti centrali evidenziati dal Tribunale riguarda la mancanza di qualsiasi preventivo alternativo: i condomini non avevano presentato offerte più vantaggiose né dimostrato che il costo indicato dal CTU fosse eccessivo. Anzi, avevano quantificato il risarcimento richiesto proprio basandosi sulle stime del consulente nominato dal giudice dell’esecuzione, mostrando in pratica di accettarne la congruità. Ciò ha reso evidente, agli occhi del Tribunale, che non vi fosse alcuna contestazione seria sul costo dei lavori o sulla loro necessità.
Un altro elemento decisivo riguarda il potere del giudice dell’esecuzione di intervenire al posto dell’assemblea condominiale quando ciò sia necessario per evitare l’aggravarsi di un danno. Quando l’unità da cui provengono le infiltrazioni è parte di una procedura giudiziaria, i tempi e le modalità decisionali condominiali non possono bloccare interventi urgenti. Il Tribunale richiama il principio generale secondo cui chi è responsabile — o, come in questo caso, chi gestisce il bene nell’ambito dell’esecuzione — ha il dovere di attivarsi per prevenire ulteriori danni, anche incaricando direttamente un’impresa.
È stata respinta anche la pretesa dei condomini di scegliere autonomamente le ditte per i lavori interni ai loro appartamenti: il Tribunale ha chiarito che, pur avendo diritto al risarcimento, ciò non significa poter imporre all’altra parte il proprio fornitore di fiducia. La libertà di scelta della ditta, infatti, non rientra nei diritti del danneggiato quando l’obbligato si attiva comunque per eliminare le cause del danno.
In conclusione, il Tribunale ha rilevato che l’azione era priva sia di interesse concreto sia di fondamento giuridico, ribadendo che il processo non può essere utilizzato per ottenere risposte meramente teoriche o per prevenire eventuali scenari futuri non dimostrati. Da qui il rigetto totale dell’opposizione.
Advertisement - PubblicitàUno dei passaggi più rilevanti della sentenza riguarda la legittimità dell’intervento del giudice dell’esecuzione in sostituzione dell’assemblea condominiale. In genere, infatti, la scelta dell’impresa per lavori sulle parti comuni rientra nelle competenze dell’assemblea. Tuttavia, il Tribunale ha chiarito che questo principio non è assoluto: quando l’unità immobiliare coinvolta è parte di una procedura esecutiva e la sua incuria sta producendo danni agli altri condomini, l’autorità giudiziaria può e deve intervenire senza attendere i tempi — spesso lunghi — del condominio.
La decisione si fonda sul principio generale di non aggravamento del danno, che impone al soggetto responsabile o alla persona che, come nel caso della procedura esecutiva, ha il controllo del bene, di agire con tempestività per impedire ulteriori pregiudizi. In situazioni di urgenza, il giudice dell’esecuzione è pienamente legittimato ad adottare misure anche operative, come individuare una ditta e autorizzarne l’intervento.
Il Tribunale ha ricordato che questo potere non rappresenta una sottrazione arbitraria delle competenze assembleari, ma una tutela necessaria dell’interesse collettivo, soprattutto quando l’immobile da cui provengono i danni non è nella disponibilità del proprietario e l’inerzia potrebbe arrecare conseguenze più gravi ai condomini. In altre parole, l’obiettivo non è sostituire la volontà del condominio, ma evitare che la burocrazia condominiale o la mancanza di accordo impediscano interventi indispensabili.
La sentenza, quindi, ribadisce un concetto chiave: nei casi in cui il ritardo possa comportare ulteriori danni, il giudice dell’esecuzione può assumere decisioni operative che normalmente competerebbero all’assemblea, purché finalizzate alla tutela dell’edificio e dei suoi occupanti.
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Advertisement - PubblicitàLa decisione del Tribunale offre anche un importante chiarimento sul tema del risarcimento dei danni da infiltrazioni. I condomini danneggiati avevano chiesto che la procedura esecutiva fosse condannata a rimborsare le spese necessarie per ripristinare gli interni dei loro appartamenti, indicando cifre precise ricavate dal computo del CTU. Tuttavia, il Tribunale ha osservato che tale richiesta non poteva essere accolta perché mancavano elementi essenziali: non era stato provato alcun danno ulteriore rispetto a quanto già accertato nella fase esecutiva, né era stata dimostrata la necessità di affidare i lavori a ditte differenti da quella individuata dal giudice.
La sentenza evidenzia un principio spesso trascurato: il danneggiato ha diritto al risarcimento, ma non può imporre la propria impresa a chi è ritenuto responsabile del danno. Se il soggetto obbligato — o chi gestisce l’immobile durante l’esecuzione — si attiva per eliminare le cause del pregiudizio e provvede ai necessari interventi, non è tenuto a seguire le preferenze del danneggiato sulla scelta dei professionisti.
Inoltre, il Tribunale ha rilevato che gli opponenti non avevano dimostrato l’esistenza di offerte più vantaggiose o interventi qualitativamente migliori rispetto a quelli proposti dalla ditta selezionata dal CTU. Senza una prova concreta di un maggior danno economico, la richiesta di risarcimento non poteva essere accolta. È un passaggio che conferma ancora una volta la linea della giurisprudenza: un risarcimento non può basarsi su ipotesi o stime unilaterali, ma deve poggiare su una dimostrazione oggettiva del pregiudizio subito.
Il messaggio della sentenza è chiaro: nelle controversie condominiali per infiltrazioni, occorre documentare con precisione l’entità del danno e l’effettiva necessità di interventi diversi da quelli programmati dal responsabile. In assenza di tali prove, il giudice difficilmente potrà riconoscere ulteriori somme.
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