La sentenza conferma la demolizione di un’opera abusiva sul terrazzo condominiale per infiltrazioni e mancata abitabilità. Il condominio ha avuto un ruolo decisivo nel far rispettare legalità e sicurezza.

Costruire sul terrazzo può sembrare una soluzione pratica per ampliare casa. Ma cosa succede quando quell’intervento danneggia l’edificio e provoca infiltrazioni d’acqua agli appartamenti sottostanti? Una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 8534/2025) ha confermato l’ordine di demolizione di un manufatto abusivo realizzato su un lastrico condominiale a Napoli. Non solo per l’irregolarità edilizia, ma anche perché l’opera aveva aggravato la tenuta del fabbricato, causando problemi alle parti comuni e violando i requisiti igienico-sanitari.
Il proprietario aveva chiesto il condono edilizio, sostenendo che l’intervento fosse minimo e risalente. Ma la giustizia ha dato ragione al Comune e al Condominio.
Quali sono i limiti del condono edilizio? Quando un abuso diventa anche un problema strutturale? E cosa può fare un condominio per opporsi a simili interventi?
Lo scopriamo in questo approfondimento.
Sommario
Tutto parte da una situazione che può sembrare comune in molti contesti urbani: un piccolo locale – circa 20 mq – realizzato sul terrazzo condominiale, in aderenza alla scala. Un intervento che, a detta del proprietario, risaliva addirittura agli anni ’60 e che, con la domanda di condono presentata nel 1986, si cercava di regolarizzare. Nel tempo, quella struttura era stata trasformata in una “casa vacanza”, affittata a turisti e accatastata come unità abitativa autonoma (categoria A14).
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Ma le cose si sono complicate quando il Condominio, venuto a conoscenza della situazione, ha iniziato a segnalare gravi criticità legate proprio a quell’opera: in particolare, infiltrazioni d’acqua rilevate nell’appartamento immediatamente sottostante al terrazzo, lamentate dalla condomina proprietaria. Le infiltrazioni, come spesso accade in questi casi, erano accompagnate da un progressivo deterioramento della tenuta strutturale del lastrico e del solaio, generando preoccupazione sia per i danni economici che per la sicurezza statica dell’edificio.
Le segnalazioni hanno attivato un iter complesso: oltre al procedimento amministrativo da parte del Comune di Napoli, sono stati avviati un giudizio civile per danno temuto e persino un procedimento penale, a riprova della gravità della situazione. In giudizio, il Condominio ha sostenuto – e documentato – come il manufatto avesse compromesso non solo la salubrità degli ambienti sottostanti, ma anche l’equilibrio dell’intero edificio, aggravando condizioni già precarie e generando un serio conflitto tra vicini.
Da parte del Comune è arrivata una risposta chiara: diniego del condono edilizio e ordine di demolizione per l’intero manufatto e per le ulteriori opere accessorie prive di titolo. Una posizione poi confermata sia dal TAR che dal Consiglio di Stato, i quali hanno ritenuto prevalenti le ragioni di tutela dell’interesse pubblico e della sicurezza del fabbricato.
Advertisement - PubblicitàIl proprietario aveva presentato domanda di condono edilizio ai sensi della Legge n. 47/1985, sostenendo che il piccolo locale fosse una pertinenza dell’immobile principale e che fosse stato realizzato prima dell’entrata in vigore del D.M. 5 luglio 1975, il decreto che stabilisce i requisiti minimi igienico-sanitari per le abitazioni. In particolare, l’opera in questione aveva una superficie di appena 20 mq, inferiore alla soglia minima di 28 mq prevista per poter considerare un ambiente abitabile.
Il Comune di Napoli ha rigettato la richiesta ritenendo che:
Sulla questione della pertinenzialità, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8534/2025, ha richiamato un principio chiave della giurisprudenza amministrativa: un manufatto può essere considerato pertinenza solo se ha modeste dimensioni, è privo di autonomia funzionale ed economica, e non genera carico urbanistico. Nel caso in esame, il locale aveva invece un valore commerciale autonomo, era utilizzato come casa vacanza, e aveva un impatto evidente sulla struttura condominiale. Di fatto, era un’unità indipendente, non un semplice annesso all’abitazione.
Quanto alla superficie insufficiente, i giudici hanno ribadito l’inderogabilità delle norme igienico-sanitarie previste dal D.M. 1975, in quanto derivanti da fonti normative primarie (art. 218 del Testo Unico delle leggi sanitarie del 1934).
Questo significa che neanche il condono può sanare un immobile che non rispetti i requisiti minimi per la salute e la vivibilità, come nel caso della metratura troppo ridotta.
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Advertisement - PubblicitàUno degli argomenti più ricorrenti nei ricorsi contro ordini di demolizione riguarda il tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera abusiva. In questo caso, infatti, l’abuso risaliva – secondo le dichiarazioni del proprietario – agli anni ’60. Ciò nonostante, il Comune ha ordinato la demolizione nel 2019, e il Consiglio di Stato, con la sentenza del 2025, ha confermato che il provvedimento è pienamente legittimo, anche se adottato decenni dopo i fatti.
Il motivo? La giurisprudenza – e in particolare la sentenza n. 9/2017 dell’Adunanza Plenaria – è chiara: l’ordine di demolizione di un’opera abusiva è un atto amministrativo vincolato, cioè obbligatorio, che il Comune deve adottare una volta accertata l’illegittimità dell’intervento edilizio. Non si tratta di una sanzione discrezionale, né punitiva: ha una funzione ripristinatoria, serve cioè a riportare il territorio alla legalità.
Secondo il Consiglio di Stato, non serve una motivazione rafforzata, né una valutazione sull’interesse pubblico specifico: il solo fatto che l’opera sia abusiva e priva di titolo abilitativo basta a legittimare la demolizione. Inoltre, non rileva se l’attuale proprietario non sia l’autore dell’abuso: l’ordine può essere legittimamente rivolto anche a chi ha acquistato successivamente, proprio perché l’abuso grava sull’immobile, non sulla persona.
Nel caso specifico, l’opera non solo era abusiva e priva dei requisiti igienico-sanitari, ma aveva anche causato danni reali e attuali al condominio. Dunque, il Comune non solo poteva, ma doveva intervenire, e l’inerzia precedente non può essere invocata per legittimare una situazione irregolare.
Advertisement - PubblicitàUn elemento centrale di questa vicenda è l’intervento del Condominio, che non è rimasto spettatore passivo ma ha partecipato attivamente al procedimento, opponendosi sia all’istanza di condono sia al ricorso del privato. In giudizio, è stato proprio il condominio a fornire una parte decisiva della documentazione e delle motivazioni che hanno condotto al rigetto della sanatoria e al mantenimento dell’ordine di demolizione.
In particolare, i giudici hanno riconosciuto la legittimità dell’intervento ad opponendum del Condominio, sulla base di un principio fondamentale: quando un abuso edilizio incide direttamente sulle parti comuni, come il lastrico solare o la struttura portante dell’edificio, il condominio ha un interesse giuridicamente rilevante a intervenire in giudizio.
Nel caso specifico, il manufatto abusivo aveva determinato infiltrazioni d’acqua negli appartamenti sottostanti e un aggravio della situazione statica del fabbricato. Inoltre, il Comune ha accertato che il locale era stato trasformato in casa vacanza, aumentando il carico urbanistico e l’utilizzo delle parti comuni (scale, impianti, terrazzo). Tutti elementi che hanno legittimato l’intervento condominiale.
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È utile ricordare che l’amministratore di condominio può agire in giudizio – anche senza autorizzazione assembleare preventiva – per tutelare la cosa comune e chiedere la rimozione di abusi che compromettano l’integrità dell’edificio. Anzi, secondo la giurisprudenza, non solo può, ma deve farlo, in quanto rientra tra gli atti conservativi a cui è tenuto per legge.
Questa sentenza rafforza il principio secondo cui il condominio non solo ha il diritto di opporsi agli abusi, ma può essere determinante nel far rispettare le regole urbanistiche, specialmente quando gli interventi realizzati da un singolo compromettano la sicurezza, la salubrità e il valore dell’edificio intero.
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