Il TAR Lazio conferma che anche piccoli interventi su immobili accessori possono comportare un cambio d’uso illegittimo e sanzionabile. Nessun affidamento è tutelabile in caso di abuso edilizio.

Quando un locale tecnico o accessorio viene trasformato, anche solo parzialmente, in un ambiente più confortevole e attrezzato, si rischia di sconfinare nel campo dell’abuso edilizio. È quanto emerge da una recente sentenza del TAR Lazio, che ha respinto il ricorso di alcune proprietarie contro un’ordinanza comunale di demolizione, confermando che un insieme di interventi apparentemente “minori” può di fatto determinare un cambio di destinazione d’uso dell’immobile. E quando ciò avviene senza un regolare permesso di costruire, l’intervento è da considerarsi illegittimo.
Il caso, discusso a Roma, ha riguardato un locale originariamente adibito a lavatoio che, nel tempo, era stato oggetto di una serie di modifiche – dall’installazione di una porta blindata a un impianto di riscaldamento – tali da suggerire una sua trasformazione in vano abitabile.
Ma davvero basta una porta o un termosifone per cambiare la funzione di un immobile? E fino a che punto è possibile “adattare” un ambiente senza scontrarsi con la normativa urbanistica?
Sommario
Tutto ha inizio nel gennaio 2021, quando la Polizia Locale di Roma effettua un sopralluogo in un immobile situato nella zona sud della Capitale. L’immobile, censito come lavatoio, presenta però una serie di interventi che destano sospetti: una porta blindata all’ingresso, videocitofono, impianti elettrico, idrico e TV, riscaldamento, piastrelle alle pareti e persino una lavatrice e una caldaia sistemate nella zona esterna di pertinenza.
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Secondo i verbali, si era ricavato all’interno un ambiente più simile a un bagno abitabile che a un semplice locale tecnico. E non solo: una parte del pavimento risultava anche rialzata, ulteriore indizio della volontà di rendere lo spazio più idoneo all’uso domestico.
Il Comune, dopo aver avviato il procedimento amministrativo, ha emesso una determinazione dirigenziale con cui imponeva la rimozione o demolizione delle opere considerate abusive. Le proprietarie hanno però deciso di opporsi, sostenendo che l’immobile era già in quello stato al momento dell’acquisto, tranne alcuni piccoli interventi (come la caldaia e la lavatrice) utili per “fare il bucato” e comunque compatibili con la destinazione a lavatoio.
Da qui è nato il ricorso al TAR Lazio, basato su cinque motivi principali, tra cui: assenza di abuso edilizio, travisamento dei fatti, disparità di trattamento e difetto di motivazione del provvedimento comunale.
Advertisement - PubblicitàUno degli snodi centrali della vicenda riguarda la trasformazione funzionale dell’immobile, ovvero il passaggio da locale accessorio a spazio abitabile. Su questo punto, la sentenza del TAR Lazio si allinea a un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato: il cambio di destinazione d’uso è rilevante e necessita di permesso di costruire quando avviene tra categorie edilizie non omogenee – ad esempio, da lavatoio a vano residenziale – perché tale trasformazione incide sul carico urbanistico dell’edificio e della zona circostante.
È un aspetto fondamentale: non serve necessariamente abbattere muri o costruire soppalchi per determinare un abuso edilizio. Quello che conta, come chiarito dai giudici, è l’effetto complessivo prodotto dagli interventi. In altre parole, non è il singolo impianto o la singola modifica a fare la differenza, ma l’insieme degli elementi che concorrono a mutare la finalità d’uso dell’ambiente.
Nel caso esaminato, il TAR ha ritenuto che la combinazione tra porta blindata, videocitofono, impianti elettrici e idrici, caldaia, lavatrice, rivestimenti in maiolica e presenza di un termosifone da parete configuri senza ambiguità una vocazione abitativa. Sono tutti interventi che rispondono a esigenze abitative e che vanno oltre la normale funzionalità di un lavatoio.
Inoltre, il rialzo parziale del pavimento è stato interpretato come ulteriore indizio della volontà di rendere lo spazio più confortevole e fruibile per permanenze più prolungate.
Alla luce di ciò, i giudici hanno affermato che la valutazione dell’amministrazione è stata corretta, perché effettuata tenendo conto del quadro d’insieme e non limitandosi alla descrizione atomistica dei singoli lavori. E proprio in virtù di questo principio, è stata confermata la necessità del permesso di costruire, in quanto l’intervento ha comportato una modifica sostanziale dell’immobile, non solo formale.
Advertisement - PubblicitàNella sua decisione, il TAR Lazio ha dato pieno riconoscimento alla correttezza dell’operato del Comune, sottolineando un aspetto spesso poco noto ai cittadini: l’amministrazione, in presenza di un abuso edilizio, ha un potere vincolato di intervento, cioè è obbligata ad agire, senza bisogno di ulteriori valutazioni discrezionali.
Nel caso esaminato, il Comune ha agito secondo una procedura regolare e documentata: è stato effettuato un sopralluogo, sono stati notificati gli atti alle proprietarie, è stata avviata la fase di contraddittorio (in cui le interessate hanno potuto presentare osservazioni) e infine è stata emessa la determinazione dirigenziale con l’ingiunzione alla demolizione delle opere abusive.
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Il TAR ha ritenuto che l’istruttoria sia stata completa ed equilibrata, con una valutazione attenta dei fatti e delle controdeduzioni delle ricorrenti. È stato evidenziato, inoltre, che l’attività repressiva dell’abuso edilizio non richiede una motivazione ulteriore legata a un interesse pubblico diverso dal semplice ripristino della legalità violata. Non c’è dunque spazio per valutazioni soggettive, tolleranze o sanatorie “automatiche”: una volta accertato l’abuso, l’ordine di demolizione è un atto dovuto.
Da segnalare, infine, che l’amministrazione aveva anche tentato una verifica dell’avvenuta demolizione, ma l’accesso agli operatori comunali era stato impedito. Questo elemento ha rafforzato la legittimità della successiva ingiunzione alla demolizione d’ufficio, sempre confermata dal giudice amministrativo.
Advertisement - PubblicitàTra le argomentazioni principali delle ricorrenti vi era l’idea che, avendo acquistato l’immobile nello stato di fatto in cui si trovava, non potesse essere loro imputata la responsabilità per le opere abusive. In altre parole, si invocava una sorta di “buona fede” immobiliare, basata sull’affidamento nella legittimità della situazione esistente.
Il TAR, tuttavia, ha respinto con decisione questo tipo di difesa, ribadendo un principio molto chiaro: in materia edilizia non esistono affidamenti tutelabili in presenza di un abuso, nemmeno se risalente nel tempo o non eseguito direttamente dal proprietario attuale. La responsabilità, infatti, grava sempre su chi beneficia concretamente dell’immobile, ossia sul proprietario che continua a utilizzare un bene in violazione delle norme urbanistiche.
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A rafforzare questa posizione è intervenuto anche un ulteriore elemento: le stesse opere oggetto della demolizione erano già state oggetto di procedimento penale, conclusosi con una sentenza di non doversi procedere per particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis del Codice penale.
Ma contrariamente a quanto spesso si crede, questa formula non equivale a un’assoluzione: il giudice penale, infatti, riconosce comunque la responsabilità dell’imputato, pur ritenendo che la violazione sia talmente modesta da non meritare una sanzione. Per il TAR, ciò costituisce un ulteriore conferma della fondatezza dell’abuso accertato, che resta tale dal punto di vista amministrativo e giustifica pienamente il provvedimento sanzionatorio.
Advertisement - PubblicitàLa sentenza del TAR Lazio rappresenta un monito molto chiaro per chiunque possieda, acquisti o intenda ristrutturare un immobile: anche interventi apparentemente modesti possono comportare un cambio di destinazione d’uso e trasformarsi, a tutti gli effetti, in abusi edilizi.
L’errore più comune è pensare che, in assenza di ampliamenti volumetrici o lavori strutturali, non servano autorizzazioni. In realtà, la funzione dell’ambiente è un parametro determinante: se con l’installazione di impianti, sanitari, infissi e rifiniture si rende un locale idoneo all’abitazione – anche se originariamente era un deposito, un lavatoio o un garage – allora si entra nel campo dell’edilizia soggetta a permesso di costruire.
Un altro errore frequente è confidare nella buona fede o nella preesistenza dell’abuso. Ma la legge non tutela chi eredita un immobile irregolare: la responsabilità amministrativa è oggettiva, e spetta sempre al proprietario dimostrare la regolarità del bene.
Infine, la sentenza conferma che le amministrazioni comunali non solo possono, ma devono intervenire in presenza di irregolarità, anche quando non ci siano segnalazioni da parte di terzi. E in caso di mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, possono procedere d’ufficio, con costi e conseguenze a carico del proprietario.
Una vicenda come questa, quindi, dovrebbe spingere proprietari, tecnici e professionisti del settore a verificare attentamente lo stato urbanistico e catastale degli immobili prima di ogni intervento, anche il più banale.
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