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Cosa si rischia alterando l’immobile in attesa del condono? la sentenza del TAR

Il TAR Campania ha respinto il condono per trasformazioni edilizie successive alla domanda, ribadendo l’obbligo di conservare lo stato originario e l’insanabilità di abusi stratificati nel tempo.

Cosa si rischia alterando l’immobile in attesa del condono? la sentenza del TAR Cosa si rischia alterando l’immobile in attesa del condono? la sentenza del TAR
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Il condono edilizio rappresenta, per molti proprietari, un’ultima possibilità per regolarizzare situazioni costruite ai margini della legalità. Tuttavia, come stabilisce chiaramente la giurisprudenza amministrativa, questa possibilità non è illimitata né incondizionata. A ricordarlo con fermezza è il TAR Campania, che con la sentenza n. 4591/2025 ha confermato il rigetto da parte del Comune di una domanda di condono edilizio presentata nel 1995.

Il punto centrale? Le opere abusive erano state profondamente trasformate dopo il termine ultimo fissato dalla legge, il 31 dicembre 1993. Per il TAR, chi attende il condono ha il dovere di conservare inalterati i manufatti abusivi, pena la perdita del diritto a sanare l’abuso. Nessuna deroga, neppure se le modifiche fossero “migliorative” o reversibili.

Ma quali trasformazioni sono considerate “alterazioni gravi”? È davvero vietato qualsiasi intervento? E quali responsabilità ha la pubblica amministrazione nel valutare queste situazioni complesse?

Vediamolo nel dettaglio.

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Il caso concreto: tra baracche, forni e villette

Nel cuore della penisola sorrentina, un cittadino aveva presentato nel 1995 una domanda di condono edilizio per tre manufatti realizzati senza titolo su un fondo agricolo. Si trattava di opere apparentemente modeste: un primo corpo ad uso abitativo, un secondo – più semplice – destinato a cucina rustica con annesso bagno, e infine un forno tradizionale con tettoia. Le costruzioni risalivano, secondo quanto dichiarato, ad epoca anteriore al 31 dicembre 1993, termine ultimo per accedere al condono secondo l’articolo 39 della Legge 724/94.

Ma da allora, anziché attendere l’esito della pratica, il richiedente ha continuato a intervenire sui manufatti, trasformandoli profondamente. Il secondo fabbricato – in origine una struttura mista lamiera/muratura di appena 33 mq – è stato demolito e sostituito con un edificio in muratura, disposto su due livelli, completo di impianti, infissi e rifiniture, con volumetria aumentata a oltre 420 metri cubi.

Il forno tradizionale, invece, è stato sostituito da una moderna zona attrezzata esterna con cucina in muratura, tettoie, pavimentazioni in calcestruzzo e legnaia.

Queste trasformazioni non sono sfuggite al Comune, che ha eseguito numerosi sopralluoghi e rilievi aerofotogrammetrici, evidenziando una progressiva e radicale alterazione dello stato dei luoghi successivamente al 1993. La conseguenza? La domanda di condono è stata respinta: i manufatti esistenti non corrispondono più a quelli originari. E il TAR ha confermato: il condono edilizio non può trasformarsi in un “ombrello” che legittima trasformazioni postume. Una volta cambiata la natura dell’abuso, la pratica perde validità, anche se inizialmente ammissibile.

legalità. Tuttavia, come stabilisce chiaramente la giurisprudenza amministrativa, questa possibilità non è illimitata né incondizionata. A ricordarlo con fermezza è il TAR Campania, che con la sentenza n. 4591/2025 ha confermato il rigetto da parte del Comune di una domanda di condono edilizio presentata nel 1995.

Il punto centrale? Le opere abusive erano state profondamente trasformate dopo il termine ultimo fissato dalla legge, il 31 dicembre 1993. Per il TAR, chi attende il condono ha il dovere di conservare inalterati i manufatti abusivi, pena la perdita del diritto a sanare l’abuso. Nessuna deroga, neppure se le modifiche fossero “migliorative” o reversibili.

Ma quali trasformazioni sono considerate “alterazioni gravi”? È davvero vietato qualsiasi intervento? E quali responsabilità ha la pubblica amministrazione nel valutare queste situazioni complesse?

Vediamolo nel dettaglio.

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Le motivazioni del TAR: condono e principio di buona fede

Nella motivazione della sentenza, il TAR Campania richiama in modo chiaro e puntuale un principio cardine in materia di condono edilizio: l’obbligo, da parte del richiedente, di mantenere inalterato l’immobile durante l’attesa dell’esito della sanatoria. Qualsiasi modifica, anche minima, deve limitarsi a interventi strettamente necessari per la sicurezza o la manutenzione ordinaria. Tutto il resto – soprattutto se comporta un incremento di volumetrie o un mutamento funzionale – è vietato.

Il Tribunale ha sottolineato come l’istituto del condono sia “eccezionale e straordinario”, concesso dallo Stato per sanare abusi commessi entro limiti temporali rigorosi. Interventi successivi a tali limiti, anche se sull’apparente base dell’attesa di regolarizzazione, compromettono irrimediabilmente la sanabilità dell’abuso. In altre parole, il proprietario non può “approfittare” della pendenza di una domanda per completare o trasformare le opere: questo comportamento, secondo il TAR, viola i principi di lealtà, trasparenza e buona fede nei confronti della pubblica amministrazione, come sancito anche dal comma 2-bis dell’art. 1 della Legge 241/1990.

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Non è tutto.

Il TAR ha ribadito anche l’importanza dell’attività istruttoria comunale: nel caso in esame, la decisione di rigetto si fonda su documentazione dettagliata, rilievi grafici, foto e mappe catastali, che testimoniano in maniera inequivocabile la trasformazione dei manufatti. Questo ha consentito all’Amministrazione di escludere qualsiasi possibilità di ripristino o di “riaggancio” alla domanda originaria. In presenza di un abuso “stratificato”, ossia modificato nel tempo, l’intero intervento diventa insanabile.

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L’irrilevanza del vincolo paesaggistico nel caso specifico

Uno dei punti sollevati nel ricorso era il fatto che l’area su cui insistono i manufatti fosse sottoposta a vincolo paesaggistico, rientrando nella “Zona Territoriale 1b” del P.U.T. (Piano Urbanistico Territoriale) per l’area Sorrentina-Amalfitana, ai sensi della Legge Regionale Campania n. 35/1987. Secondo il ricorrente, questo vincolo avrebbe dovuto costituire un elemento da valutare con maggiore attenzione, o addirittura un ostacolo alla trasformazione dell’area, ma anche un potenziale elemento a favore del ripristino.

Tuttavia, il TAR ha chiarito che il diniego non si fonda su questo aspetto. Pur riconoscendo l’importanza del vincolo ambientale e paesaggistico, il Tribunale ha stabilito che in questo caso non è stato determinante, perché la motivazione principale del rigetto risiede nella profonda trasformazione urbanistica e funzionale dei manufatti dopo il termine del 31 dicembre 1993. In sintesi, anche senza il vincolo, l’esito non sarebbe cambiato: la trasformazione dei manufatti è stata tale da impedire qualsiasi condono.

Questa precisazione è significativa: il TAR ha voluto escludere che la decisione si potesse leggere come una censura paesaggistica, per concentrarsi sul vero punto dirimente, ossia l’incompatibilità cronologica e sostanziale delle nuove opere con la richiesta di sanatoria. Il vincolo, pur rilevante sotto altri profili, resta in questo caso irrilevante ai fini della legittimità del diniego.

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Le implicazioni giuridiche e pratiche per chi presenta domanda di condono

La sentenza del TAR Campania offre spunti importanti per comprendere i limiti e le responsabilità di chi decide di presentare una domanda di condono edilizio. Prima di tutto, emerge chiaramente un principio: la domanda di sanatoria non congela il tempo. Chi ha costruito abusivamente e chiede di regolarizzare, non può in alcun modo proseguire i lavori, ampliare, rifinire o trasformare le strutture esistenti, nemmeno se lo fa con l’intenzione – apparente – di completare le opere secondo standard abitativi migliori.

Inoltre, il proprietario ha un preciso dovere di custodia e conservazione dello stato dei luoghi. Qualsiasi intervento, anche modesto, può compromettere la possibilità di ottenere il condono. Il TAR lo dice chiaramente: se il manufatto cambia, non è più quello oggetto della domanda. E, in questo caso, l’abuso diventa “nuovo”, cioè non condonabile secondo i termini di legge.

Sul piano pratico, la sentenza invia un messaggio anche alle amministrazioni comunali: per evitare contestazioni, è fondamentale che il diniego sia basato su accertamenti precisi, documentati e trasparenti. Solo così l’amministrazione potrà resistere a eventuali ricorsi. Il Comune di Sorrento, in questa vicenda, ha seguito correttamente la procedura, motivando il rigetto con rilievi fotografici, aerofotogrammetrici e catastali, utilizzati per dimostrare il mutamento sostanziale dei luoghi.

In definitiva, la pronuncia ribadisce una linea interpretativa severa, ma coerente con l’idea che il condono non sia uno strumento automatico di regolarizzazione, bensì un provvedimento eccezionale e vincolato a rigorosi presupposti di legge.



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Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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