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Il Decreto Salva Casa non è un condono: un caso emblematico

Il Consiglio di Stato conferma la demolizione di un abuso edilizio non sanabile, escludendo l’applicazione del Decreto Salva Casa e ribadendo il valore del giudicato e delle norme urbanistiche.

Il Decreto Salva Casa non è un condono: un caso emblematico Il Decreto Salva Casa non è un condono: un caso emblematico
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In Italia, il tema dell’abusivismo edilizio è da sempre al centro del dibattito pubblico e giuridico. Tra regolamenti urbanistici, tentativi di sanatoria e normative sempre più complesse, capita spesso che i cittadini si trovino coinvolti in lunghi contenziosi con l’amministrazione. È il caso di una recente sentenza del Consiglio di Stato, che ha fatto chiarezza su un punto fondamentale: cosa succede quando un abuso edilizio viene qualificato come “nuova costruzione” e non vi è alcun permesso a legittimarlo?

Il caso, che ha avuto origine nel 2014 e si è concluso solo nel 2025, ruota attorno alla realizzazione di un intervento edilizio privo di titolo abilitativo. Il Comune ha ordinato la demolizione, ma il proprietario ha cercato in tutti i modi di evitare l’abbattimento, sostenendo la possibilità di sanare l’opera o, in subordine, di sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria.

Ma quali sono i limiti reali della sanatoria edilizia? È sempre possibile evitare la demolizione con una multa? E cosa cambia con il cosiddetto “Decreto Salva Casa”?

Continua a leggere per scoprire cosa ha deciso il Consiglio di Stato e quali implicazioni può avere questa sentenza per chi si trova in situazioni simili.

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Il caso: una costruzione senza permesso e una lunga battaglia legale

Tutto ha inizio nel 2014, quando il Comune di Roma accerta la realizzazione di opere edilizie su un immobile, in assenza di qualsiasi titolo abilitativo. Le autorità qualificano l’intervento come una “nuova costruzione”, in quanto comporta un aumento volumetrico superiore al 20% rispetto all’edificio esistente, come previsto dall’art. 3, comma 1, lett. e.6 del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001).

Approfondisci: Terzo condono edilizio: la Cassazione sui due limiti volumetrici

Segue una determinazione dirigenziale con cui viene ordinata la demolizione delle opere abusive. Contestualmente, viene anche irrogata una sanzione pecuniaria. Il proprietario dell’immobile impugna i provvedimenti sostenendo che l’opera fosse una ristrutturazione edilizia e, quindi, sanabile tramite SCIA o con accertamento di conformità (ex art. 37 DPR 380/2001).

Nel tempo si susseguono diversi ricorsi, fino ad arrivare a una prima sentenza del Consiglio di Stato che, nel 2022, conferma la legittimità dell’ordine di demolizione e la natura abusiva dell’intervento. Tuttavia, il proprietario tenta un nuovo ricorso, contestando il mancato esame di una richiesta di sanatoria e sollevando dubbi sulla legittimità dell’azione repressiva del Comune.

Questo secondo giudizio è quello conclusosi nel maggio 2025 con la sentenza definitiva.

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Cosa ha stabilito il consiglio di stato: niente sanatoria, demolizione confermata

Con la sentenza n. 4382 del 2025, il Consiglio di Stato ha confermato in via definitiva l’illegittimità dell’intervento edilizio, ribadendo che si trattava di una nuova costruzione realizzata in assenza di permesso di costruire, e non di una semplice ristrutturazione. La distinzione è fondamentale: mentre le ristrutturazioni leggere possono essere regolarizzate con una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), le nuove costruzioni richiedono necessariamente un permesso di costruire, pena la demolizione obbligatoria.

Leggi anche: Obbligo demolizione abuso edilizio: quando la SCIA non basta e serve il permesso di costruire?

Il proprietario dell’immobile aveva tentato di sostenere che l’opera fosse sanabile tramite l’art. 37 del DPR 380/2001, norma che prevede la possibilità di pagare una sanzione pecuniaria in luogo della demolizione per alcune irregolarità minori. Tuttavia, questa tesi è stata completamente respinta.

Secondo i giudici, l’intervento era talmente rilevante (con incremento volumetrico superiore al 20%) da rientrare pienamente nel regime delle nuove costruzioni. Questo tipo di abuso non rientra tra quelli sanabili con una semplice sanzione amministrativa.

Un altro punto centrale della sentenza riguarda l’autorità del giudicato: il Consiglio di Stato aveva già deciso nel 2022 che l’intervento era abusivo e non regolarizzabile. Di conseguenza, qualsiasi tentativo di riaprire la discussione su questi aspetti è stato considerato inammissibile. Come specificano i giudici, “l’autorità del giudicato copre sia il dedotto che il deducibile”, ovvero anche ciò che avrebbe potuto essere eccepito ma non lo è stato nel giudizio precedente.

Infine, il Consiglio ha chiarito che il Comune non era tenuto a rispondere formalmente all’istanza di sanatoria presentata dal proprietario nel 2014. Trattandosi di un intervento manifestamente abusivo e incompatibile con le regole urbanistiche, il silenzio dell’amministrazione equivale a un rigetto tacito.

Questa posizione è stata anche confermata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 42/2023, che riconosce al silenzio un valore di diniego in assenza di una motivazione espressa entro 60 giorni.

Leggi anche: Condono e silenzio-assenso: cosa succede se l’amministrazione è in ritardo?

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Il decreto Salva Casa non si applica sempre: ecco perché è stato escluso

Nel corso del giudizio, il ricorrente aveva chiesto al Consiglio di Stato di considerare l’eventuale applicazione del cosiddetto “Decreto Salva Casa” (DL 69/2024), recentemente approvato con l’obiettivo di semplificare la regolarizzazione di piccole difformità edilizie. L’art. 34-bis del Testo Unico Edilizia, modificato dal decreto, amplia infatti le “tolleranze costruttive” ammissibili, permettendo in alcuni casi la sanatoria di interventi non autorizzati ma non sostanzialmente incompatibili con il progetto originario.

Tuttavia, il Consiglio di Stato ha rigettato senza esitazione la richiesta di applicare la nuova disciplina. Secondo i giudici, il decreto non può essere retroattivo, né tantomeno applicabile a giudizi già definiti o coperti da sentenza passata in giudicato.

Inoltre, le opere oggetto del contenzioso non rientravano comunque tra quelle sanabili: non si trattava, infatti, di lievi difformità o variazioni interne, ma di un vero e proprio aumento volumetrico superiore al 20%, che configura una nuova costruzione a tutti gli effetti.

Leggi anche: Decreto Salva-Casa 2024: Sanatoria per difformità edilizie, tolleranze e edilizia libera

Il “Decreto Salva Casa” mira a risolvere situazioni di irregolarità formale o tecnica in edifici esistenti – come piccoli scostamenti rispetto al progetto autorizzato, errori grafici o variazioni non sostanziali – ma non può essere utilizzato come strumento per legittimare abusi strutturali rilevanti. In altre parole, non si tratta di un condono edilizio, ma di una misura correttiva limitata a casi specifici e recenti.

Questo chiarimento rappresenta un precedente importante: chi spera di “sanare tutto” grazie alla nuova normativa deve sapere che l’eventuale applicabilità del decreto dipende dalla natura dell’abuso e dallo stato del procedimento amministrativo o giudiziario in corso.

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Sanzione pecuniaria o demolizione? non sempre si può scegliere

Una delle strategie difensive più frequentemente adottate nei contenziosi edilizi è quella di chiedere, in alternativa alla demolizione, l’applicazione di una sanzione pecuniaria, cioè una multa. È quanto previsto dall’art. 33, comma 2, del DPR 380/2001: se le opere abusive non possono essere rimosse senza compromettere la parte legittima dell’edificio, è possibile sostituire l’ordine di demolizione con il pagamento di una somma di denaro.

Nel caso in esame, il proprietario ha sostenuto proprio questo: l’impossibilità tecnica di procedere alla demolizione senza arrecare danni strutturali all’edificio regolare. Ma anche su questo punto, il Consiglio di Stato è stato molto netto. I giudici hanno ricordato che la valutazione sull’eventuale sostituzione della demolizione con una sanzione pecuniaria non incide sulla legittimità dell’ordine stesso di demolizione, ma riguarda una fase successiva e distinta: quella esecutiva.

In altre parole, l’ordine di demolizione resta perfettamente valido anche se, in un secondo momento, si dovesse accertare l’impossibilità materiale di eseguire l’abbattimento. Solo in quella sede – e con adeguate perizie tecniche – si potrà eventualmente valutare se sussistono i presupposti per convertire la sanzione. Ma ciò non può costituire un motivo per bloccare o annullare l’ordinanza.

Inoltre, il Consiglio ha sottolineato che questa deroga alla demolizione è eccezionale e va dimostrata in modo rigoroso: serve la prova concreta che la demolizione inciderebbe sulla stabilità dell’intero edificio, e non è sufficiente un generico riferimento a potenziali difficoltà tecniche o economiche.

Questo chiarimento rafforza un principio fondamentale in materia urbanistica: la demolizione è la regola, la sanzione pecuniaria è l’eccezione. E le eccezioni, in diritto, devono essere sempre giustificate con precisione.



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TAGS: abuso edilizio, decreto salva-casa, demolizione, DPR 380/2001, edilizia urbanistica, giudicato amministrativo, nuove costruzioni, permesso di costruire, sanatoria edilizia, sentenza Consiglio di Stato

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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