Una sentenza del TAR Lombardia chiarisce i limiti dell’opposizione dei privati alle SCIA edilizie, confermando la validità di perizie asseverate e strumenti urbanistici comunali in deroga.
A Milano, in un quartiere residenziale caratterizzato da edifici bassi e tessuto urbano consolidato, l’avvio dei lavori per la realizzazione di una torre di 24 piani ha scatenato una battaglia legale che arriva fino al TAR. Una cittadina, proprietaria di un appartamento esattamente di fronte al nuovo cantiere, ha impugnato gli atti comunali che hanno autorizzato l’edificazione dell’edificio, sostenendo che la nuova costruzione compromette irrimediabilmente la sua visuale, la luminosità, l’accesso all’aria e alla luce naturale.
Secondo la ricorrente, la SCIA alternativa al permesso di costruire sarebbe viziata da diverse illegittimità urbanistiche e paesaggistiche, oltre che da una presunta mancanza di trasparenza da parte dell’amministrazione comunale. Nonostante ciò, la sentenza del TAR ha deciso di respingere integralmente il ricorso.
Ma davvero un cittadino non ha strumenti per opporsi a edificazioni così impattanti? E fino a che punto il diritto alla luce e alla salubrità domestica può prevalere sulla libertà edificatoria?
Scopriamolo analizzando nel dettaglio la vicenda e la motivazione della sentenza.
Sommario
La controversia nasce dall’approvazione, da parte del Comune di Milano, di un progetto edilizio che prevede la realizzazione di un grattacielo residenziale di 24 piani in un’area precedentemente occupata da un edificio basso, destinato a funzioni terziarie. L’intervento è stato autorizzato attraverso una SCIA alternativa al permesso di costruire, strumento previsto dal DPR 380/2001, che consente l’avvio di determinati lavori edilizi mediante semplice segnalazione al Comune, anziché con un’autorizzazione formale.
Approfondisci:
Il progetto è stato qualificato come ristrutturazione edilizia con demolizione e ricostruzione, sebbene prevedesse un radicale mutamento della sagoma e del sedime del fabbricato preesistente. A sostegno della legittimità volumetrica dell’intervento, il soggetto attuatore ha depositato una perizia asseverata, prevista dalla disciplina urbanistica locale, che attestava l’esistenza di una superficie lorda preesistente compatibile con quanto richiesto.
Tuttavia, il progetto ha sollevato l’allarme di una proprietaria confinante, la quale ha denunciato un forte impatto negativo sulla propria abitazione e una serie di possibili violazioni urbanistiche e ambientali.
Da qui la decisione di attivare la procedura di verifica comunale prevista dall’art. 19, comma 6-ter, della legge 241/1990, e successivamente di ricorrere al giudice amministrativo.
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Advertisement - PubblicitàLa proprietaria confinante ha fondato il proprio ricorso su un principio tanto semplice quanto cruciale: il diritto alla salubrità dell’abitazione, tutelato dalla legge anche attraverso parametri come la distanza tra edifici, l’accesso alla luce naturale, la ventilazione e il rispetto delle vedute.
Secondo la ricorrente, l’imponente costruzione avrebbe oscurato completamente la visuale e ridotto drasticamente l’irraggiamento solare del proprio appartamento, compromettendo la qualità della vita domestica.
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Ma non solo. La cittadina ha sollevato diverse obiezioni tecnico-giuridiche riguardo alla legittimità della SCIA presentata per il nuovo grattacielo:
Tutte queste questioni sono state formalmente sottoposte al Comune con un’istanza di verifica preventiva. Ricevuto un riscontro giudicato insoddisfacente, la ricorrente ha impugnato la risposta dell’amministrazione davanti al TAR, chiedendone l’annullamento.
Advertisement - PubblicitàNel suo riscontro formale all’istanza della cittadina, il Comune di Milano ha rigettato tutte le doglianze sollevate, basandosi su un insieme di norme urbanistiche, regolamenti edilizi e prassi operative. L’intervento è stato inquadrato come ristrutturazione edilizia ai sensi degli articoli 3 e 10 del Testo Unico Edilizia (DPR 380/2001), nonostante le trasformazioni radicali, e ritenuto conforme agli strumenti urbanistici vigenti, tra cui il Piano delle Regole (PdR) del PGT e il Regolamento Edilizio.
In particolare, il Comune ha riconosciuto come legittima la documentazione prodotta dal costruttore, inclusa la perizia stragiudiziale che asseverava la consistenza volumetrica preesistente. Tale procedura è espressamente ammessa dalla determinazione dirigenziale n. 112/2018, adottata proprio per far fronte all’irreperibilità di alcuni titoli edilizi storici, e che consente di attestare lo stato legittimo anche tramite atti sostitutivi, come dichiarazioni tecniche o documentazione d’archivio.
Sul fronte paesaggistico e morfologico, il Comune ha riconosciuto che il progetto si discosta dagli allineamenti degli edifici circostanti, ma ha giustificato questa deroga con il parere favorevole della Commissione per il Paesaggio, espresso dopo un articolato iter tecnico. L’edificio a torre, infatti, sarebbe stato ritenuto coerente con la volontà del PGT di promuovere un modello di “edilizia aperta” e con le trasformazioni urbane in atto nella zona, al confine con aree direzionali ad alta densità.
Anche le osservazioni sulla bonifica ambientale e sulle distanze sono state rigettate, con la motivazione che i procedimenti istruttori si erano svolti correttamente e nel rispetto delle norme. Secondo il Comune, quindi, non sussistevano i presupposti per esercitare alcun potere repressivo o di autotutela.
Advertisement - PubblicitàIl TAR Lombardia, con la sentenza n. 3105/2025, ha respinto integralmente il ricorso, motivando la propria decisione su una serie di considerazioni sia procedurali che sostanziali. In primo luogo, il Tribunale ha chiarito che, trattandosi di una SCIA alternativa al permesso di costruire, non si è in presenza di un vero e proprio “provvedimento amministrativo”, ma di un atto soggetto a verifica da parte del Comune. Di conseguenza, l’unica via per impugnarlo è presentare un’espressa istanza di verifica (come previsto dall’art. 19, comma 6-ter, della legge 241/1990), e poi eventualmente impugnare il riscontro ottenuto. Ed è proprio qui che, secondo i giudici, il ricorso è venuto meno.
Molti dei motivi presentati dalla ricorrente sono stati dichiarati inammissibili, perché non erano stati indicati nell’istanza originaria presentata al Comune: in altre parole, il TAR ha ritenuto che non sia possibile ampliare a posteriori l’oggetto della contestazione, portando nuovi motivi che non erano stati oggetto di esame nella fase amministrativa.
Altri motivi, come quelli relativi alla bonifica ambientale o alla distanza tra edifici, sono stati dichiarati improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, perché la stessa ricorrente aveva successivamente rinunciato a sostenerli in giudizio. Infine, quelli residui sono stati ritenuti infondati: il TAR ha confermato la validità della perizia asseverata, la legittimità dell’utilizzo della SCIA e la correttezza del parere della Commissione Paesaggio, ritenuto espressione di discrezionalità tecnica e non sindacabile in assenza di errori macroscopici.
In sostanza, la sentenza ha delineato con nettezza i limiti entro cui un cittadino può opporsi a un intervento edilizio altrui: solo se dimostra di avere un interesse diretto e attuale e solo nei limiti degli aspetti già sollevati nell’istanza iniziale, senza trasformarsi in una sorta di “ispettore urbanistico” generalista.
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