Una sentenza del TAR Lazio impone al Comune di Roma di riesaminare una pratica di condono edilizio, nominando un commissario ad acta a causa della persistente inerzia amministrativa.
 
 
Quando un cittadino o un’impresa ottiene una sentenza favorevole dal TAR, ci si aspetta che la pubblica amministrazione dia esecuzione a quanto stabilito dal giudice. Ma cosa succede se ciò non avviene? È possibile costringere l’ente pubblico a rispettare il giudicato? La recente decisione del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio rappresenta un caso emblematico di inottemperanza amministrativa: un condono edilizio ottenuto in sede giudiziaria è rimasto bloccato per mesi, finché il TAR non è dovuto intervenire nuovamente, nominando un commissario ad acta per superare l’inerzia del Comune.
Si tratta di un episodio che apre riflessioni importanti sull’effettività della giustizia amministrativa, soprattutto in materia edilizia, dove ritardi e omissioni possono danneggiare gravemente i cittadini.
Ma quali erano le opere oggetto del condono? E perché l’amministrazione si è rifiutata di agire?
Scopriamolo nei prossimi paragrafi.
Sommario
Tutto ha avuto origine da una domanda di condono edilizio presentata nel 2006, nell’ambito della sanatoria prevista dalla legge regionale del Lazio n. 12 del 2004. L’immobile oggetto della richiesta si trova nel cuore di Roma e gli interventi riguardavano la suddivisione di un appartamento in unità più piccole (frazionamento da maggiore consistenza) e la realizzazione di un soppalco, un tipo di modifica spesso utilizzato per ottimizzare gli spazi interni nelle abitazioni del centro storico.
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Nonostante il lungo tempo trascorso, è solo nel 2022 che l’Amministrazione comunale ha formalizzato il proprio rigetto dell’istanza, attraverso una serie di atti amministrativi. Tra questi figurano: una determinazione dirigenziale di diniego, una comunicazione di preavviso di rigetto, un’ordinanza di demolizione con obbligo di ripristino dello stato originario e relativi allegati tecnici.
In sintesi, non solo è stato negato il condono, ma si è anche imposto di rimuovere fisicamente le opere considerate abusive.
Le motivazioni addotte dal Comune facevano riferimento a presunte violazioni delle norme urbanistiche e all’incompatibilità degli interventi con il contesto edilizio. Tuttavia, la parte privata ha impugnato tutti i provvedimenti davanti al TAR Lazio, evidenziando numerosi vizi procedurali e sostanziali. Secondo la ricorrente, l’Amministrazione avrebbe rigettato la sanatoria senza considerare correttamente la documentazione e senza tener conto del lungo silenzio tenuto negli anni successivi alla presentazione della domanda, elemento che – in molti casi – può assumere valore di silenzio-assenso.
Advertisement - PubblicitàIl Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con sentenza n. 14225 del 25 settembre 2023, ha dato pienamente ragione al ricorrente, accogliendo il ricorso contro i provvedimenti adottati dal Comune di Roma. I giudici hanno ritenuto che il diniego del condono edilizio fosse viziato da illegittimità, poiché adottato senza una sufficiente istruttoria e in contrasto con i principi di correttezza e buona amministrazione.
Non solo. La sentenza ha anche annullato l’ordinanza di demolizione, che avrebbe imposto l’eliminazione delle opere realizzate. Secondo il TAR, l’Amministrazione avrebbe dovuto prima valutare in modo conforme la domanda di sanatoria, prima di intraprendere misure tanto drastiche come la demolizione. In particolare, il Tribunale ha sottolineato che, una volta riconosciuta l’illegittimità del rigetto, gli atti consequenziali, come l’ordine di demolizione, decadono automaticamente.
La pronuncia è particolarmente significativa perché richiama il principio secondo cui l’attività amministrativa, specie in materia urbanistica, deve essere esercitata nel rispetto delle regole procedurali e dei diritti del cittadino, evitando decisioni arbitrarie o formalistiche. La sentenza imponeva dunque al Comune di Roma di riesaminare l’intera pratica edilizia e di adottare un nuovo provvedimento motivato, tenendo conto delle indicazioni fornite dal giudice.
Tuttavia, nonostante l’obbligo derivante dal giudicato, l’Amministrazione è rimasta inerte. Ed è proprio qui che il contenzioso si è riaperto, portando a una seconda pronuncia del TAR.
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Advertisement - PubblicitàNonostante la chiarezza della sentenza del TAR del 2023, il Comune di Roma non ha dato seguito a quanto ordinato dal giudice. Il termine per riesaminare la domanda di condono e adottare un nuovo provvedimento era ben definito: 150 giorni dalla comunicazione della decisione. Tuttavia, l’Amministrazione non ha emesso alcun atto formale, limitandosi – solo diversi mesi dopo – a trasmettere una richiesta di integrazione documentale, giudicata tardiva e insufficiente.
Nel frattempo, si sono succeduti rinvii su rinvii in sede giudiziaria, concessi per permettere al Comune di mettersi in regola. Ma nulla è accaduto. A distanza di quasi un anno dalla sentenza, nessun nuovo provvedimento è stato adottato, né in senso favorevole né contrario. Un comportamento che il TAR ha interpretato come una forma di elusione del giudicato, ossia una resistenza passiva all’esecuzione di una sentenza definitiva.
La parte ricorrente, esasperata da questa inattività, ha quindi presentato una nuova istanza al TAR, chiedendo che venisse dichiarata la nullità del comportamento omissivo del Comune e che venisse nominato un commissario ad acta, cioè un soggetto terzo incaricato di sostituire l’amministrazione nel compiere gli atti dovuti.
Advertisement - PubblicitàCon l’ordinanza n. 16484 del 2025, il TAR Lazio ha preso atto della perdurante inerzia dell’Amministrazione comunale e ha accolto l’istanza presentata dalla parte ricorrente. I giudici hanno rilevato come, nonostante le proroghe e i numerosi rinvii concessi nel corso dell’anno, nessun provvedimento fosse stato adottato dal Comune per dare esecuzione alla precedente sentenza. Neppure dopo la comunicazione ufficiale, né dopo la diffida notificata tramite PEC.
Di fronte a questo atteggiamento, il Tribunale ha deciso di nominare un commissario ad acta: una figura prevista dall’art. 114 del Codice del Processo Amministrativo, che interviene in sostituzione della pubblica amministrazione quando questa non rispetta una sentenza passata in giudicato. Nello specifico, il TAR ha individuato il commissario nel Direttore della Direzione regionale urbanistica e politiche abitative della Regione Lazio, che avrà il compito di concludere il procedimento di condono entro 45 giorni dal suo insediamento.
L’ordinanza rappresenta un segnale forte, perché riafferma il principio secondo cui le sentenze dei giudici amministrativi devono essere rispettate. Non solo: stabilisce anche una scadenza precisa e indica un soggetto pubblico competente e terzo, capace di concludere un iter che si era arenato tra omissioni, ritardi e incertezze.
Una misura necessaria per ripristinare la legalità, ma anche per garantire concretamente i diritti di chi ha ottenuto una decisione favorevole in tribunale.
Advertisement - PubblicitàIl commissario ad acta è una figura che entra in gioco quando la pubblica amministrazione non esegue spontaneamente una sentenza, come previsto dal Codice del Processo Amministrativo. Non si tratta di un ruolo politico, né di un intervento arbitrario: è, al contrario, uno strumento di garanzia e tutela dei diritti dei cittadini, attivato solo in casi limite di inottemperanza.
Nel caso analizzato, il TAR ha scelto una figura pubblica esperta e competente: un dirigente regionale con competenze specifiche in urbanistica e politiche abitative. Il suo compito sarà concludere il procedimento amministrativo rimasto bloccato, cioè valutare nel merito la domanda di condono edilizio, alla luce delle indicazioni fornite dal giudice nella prima sentenza. Non si tratta, quindi, di “decidere d’ufficio in favore del cittadino”, ma di fare ciò che il Comune avrebbe dovuto fare per legge: istruire correttamente la pratica e adottare un provvedimento espresso.
Il commissario agirà in piena autonomia e avrà un termine preciso: 45 giorni dal momento in cui entrerà in carica. Se l’Amministrazione comunale non si attiverà nemmeno dopo quest’ulteriore ordinanza, sarà lui a chiudere la questione. Una procedura che restituisce certezza e concretezza al principio di legalità, mostrando come il sistema giudiziario, pur con tempi non sempre brevi, disponga di strumenti efficaci per contrastare l’inerzia amministrativa.
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