Il TAR Lazio conferma la sospensione cautelativa degli incentivi fotovoltaici in presenza di condanna penale non definitiva, tutelando le risorse pubbliche e bilanciando la presunzione d’innocenza con l’interesse erariale.
Una società titolare di un impianto fotovoltaico incentivato dal Terzo Conto Energia si è vista sospendere l’erogazione degli incentivi a seguito di una condanna penale di primo grado che aveva disposto, fra le altre sanzioni, anche il divieto di contrarre con le Pubbliche Amministrazioni e la revoca delle agevolazioni già ottenute. Nonostante la sentenza non fosse ancora definitiva, il Gestore dei Servizi Energetici ha ritenuto di dover interrompere i pagamenti per tutelare l’interesse pubblico e scongiurare ulteriori erogazioni indebite.
La società ha impugnato la sospensione sostenendo che fosse illegittima in quanto basata su una decisione penale non definitiva, invocando il principio costituzionale di presunzione d’innocenza. Tuttavia, il TAR Lazio ha confermato la legittimità della sospensione cautelativa, ritenendo prevalente la necessità di proteggere le risorse pubbliche.
Quali ricadute potrà avere questa decisione per le aziende del settore fotovoltaico? È giusto fermare gli incentivi già assegnati in presenza di condanne non definitive?
Sommario
Il sistema degli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, introdotto con il cosiddetto Terzo Conto Energia (D.M. 6 agosto 2010), ha rappresentato uno degli strumenti più importanti per sostenere la diffusione del fotovoltaico in Italia. Grazie a tariffe incentivanti garantite per lunghi periodi, molti operatori hanno potuto investire nella costruzione di impianti ad alta potenza, favorendo la transizione energetica e la riduzione delle emissioni.
È importante ricordare che il Terzo Conto Energia non è più attivo per nuovi accessi dal 2012, in quanto sostituito da regimi incentivanti successivi. Tuttavia, gli impianti che hanno già ottenuto l’ammissione al Terzo Conto Energia continuano a beneficiare dei contributi per tutta la durata prevista dal contratto di incentivazione, solitamente ventennale, purché rispettino le condizioni stabilite dalla normativa.
Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico controllato dal Ministero dell’Economia, è incaricato di erogare questi incentivi, nonché di verificare la regolarità degli impianti e il rispetto delle condizioni di legge. Ove emergano situazioni di irregolarità o il rischio di indebite percezioni di contributi, il GSE può intervenire sospendendo o revocando i pagamenti per tutelare l’erario e la corretta gestione delle risorse pubbliche.
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Advertisement - PubblicitàIl contesto penale alla base della vicenda riguardava l’emissione di una sentenza di condanna di primo grado a carico di alcune persone fisiche legate alla gestione dell’impianto fotovoltaico, per reati connessi alla fruizione degli incentivi pubblici. Oltre alle pene detentive, il tribunale penale aveva disposto misure interdittive nei confronti della società proprietaria dell’impianto, prevedendo espressamente il divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione e la revoca di contributi, agevolazioni e sussidi già riconosciuti.
Sulla base di questo dispositivo, pur in assenza di una condanna definitiva, il Gestore dei Servizi Energetici ha scelto di sospendere in via cautelativa l’erogazione degli incentivi, giustificando la decisione con la necessità di tutelare il denaro pubblico. Il ragionamento del GSE si è fondato sul fatto che la prosecuzione dei pagamenti avrebbe potuto aggravare la situazione qualora la condanna fosse stata poi confermata in via definitiva, costringendo la Pubblica Amministrazione a recuperare somme già versate.
Un ulteriore elemento rilevante è rappresentato dal fatto che il provvedimento penale aveva comportato anche la confisca dell’impianto fotovoltaico, circostanza che aveva modificato il quadro complessivo della gestione, facendo venir meno, secondo il GSE, la garanzia di corretta conduzione dell’impianto stesso.
In questo scenario, l’ente erogatore ha ritenuto opportuno applicare la sospensione cautelativa degli incentivi fino alla definizione completa del procedimento penale, appellandosi al principio di salvaguardia dell’interesse pubblico previsto dall’articolo 21-quater della legge 241/1990.
Advertisement - PubblicitàLa società, colpita dalla sospensione degli incentivi, ha deciso di impugnare i provvedimenti del GSE sostenendo che fossero illegittimi sotto diversi profili. In primo luogo, ha fatto leva sul principio costituzionale di presunzione d’innocenza sancito dall’articolo 27 della Costituzione, contestando il fatto che la sospensione fosse stata disposta sulla base di una condanna penale non ancora definitiva.
Secondo la ricorrente, la semplice lettura del dispositivo di condanna in primo grado non poteva giustificare l’anticipazione degli effetti sanzionatori, i quali avrebbero dovuto essere applicati solo a sentenza passata in giudicato.
Inoltre, la società ha denunciato un difetto di motivazione da parte del GSE: secondo la propria tesi, l’amministrazione non avrebbe adeguatamente valutato l’impossibilità di contestare la sentenza penale senza avere a disposizione le motivazioni complete, depositate in una fase successiva. Un altro punto sollevato riguardava la durata della sospensione, definita dalla società come eccessivamente vaga e tale da generare incertezza nei rapporti giuridici e imprenditoriali. A detta della ricorrente, collegare la sospensione alla generica “definizione del processo penale” equivaleva a imporre un blocco potenzialmente indeterminato, in violazione dei principi di certezza e proporzionalità.
Advertisement - PubblicitàCon la sentenza n. 12819/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio ha respinto integralmente il ricorso proposto dalla società titolare dell’impianto fotovoltaico. I giudici amministrativi hanno confermato la legittimità della sospensione cautelativa degli incentivi disposta dal GSE, sottolineando che non si trattava di un’anticipazione automatica della revoca definitiva, ma di una misura temporanea, motivata dall’urgenza di tutelare l’interesse pubblico.
Il TAR ha ritenuto che la condanna penale di primo grado, pur non definitiva, costituisse un elemento oggettivo di rischio tale da giustificare la sospensione degli incentivi, soprattutto considerando che la stessa sentenza penale aveva previsto misure interdittive contro la società. Secondo i giudici, la presenza di tali provvedimenti interdittivi, sommata al rischio di dover procedere in futuro al recupero di importi ingenti già erogati, configurava le “gravi ragioni” richieste dall’articolo 21-quater della legge 241/1990 per esercitare il potere di autotutela sospensiva.
Il tribunale ha inoltre chiarito che il termine finale indicato dal GSE — coincidente con la definizione del processo penale — non doveva considerarsi arbitrario né illimitato. Pur non essendo ancorato a una data precisa, il riferimento al termine del procedimento penale costituiva un limite chiaro, idoneo a salvaguardare la certezza dei rapporti giuridici.
Infine, il TAR ha ribadito che la presunzione di innocenza prevista dall’articolo 27 della Costituzione non impedisce, nei procedimenti amministrativi, l’adozione di misure cautelari quando la salvaguardia delle risorse pubbliche sia in pericolo.
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