Una cooperativa edilizia ha perso il diritto al risarcimento per espropriazione a causa dell’assenza di prove attuali sulla proprietà dei terreni, nonostante anni di contenziosi giudiziari.
Nel complesso mondo delle espropriazioni per pubblica utilità, la giurisprudenza continua a ribadire un principio fondamentale: nessuna pretesa risarcitoria può essere accolta senza una solida e dimostrabile titolarità del bene. È quanto emerge da una recente sentenza del Consiglio di Stato, che ha chiuso un lungo contenzioso tra un ente locale e una società cooperativa, rigettando definitivamente la richiesta di indennizzo per l’occupazione di alcuni terreni destinati a opere pubbliche.
Il cuore della vicenda non sta tanto nella legittimità o meno dell’occupazione – avvenuta a seguito di un regolare decreto comunale – quanto nella proprietà effettiva dei suoli nel momento in cui sono stati acquisiti dalla pubblica amministrazione. Una proprietà che, secondo i giudici, la cooperativa non è riuscita a dimostrare in modo concreto, nonostante decenni di azioni legali, ricorsi e perizie.
Ma cosa succede quando si rivendica un risarcimento per un bene che si è già ceduto a terzi? E quali sono le conseguenze giuridiche di un’assenza di documentazione aggiornata?
Sommario
Tutto ha inizio alla fine degli anni ’90, quando un Comune campano avvia una procedura di occupazione temporanea d’urgenza su alcuni terreni situati in prossimità di un complesso edilizio. L’obiettivo era quello di realizzare opere di sistemazione urbanistica, tra cui aree di accesso e spazi antistanti. Le particelle interessate dall’occupazione furono oggetto di un decreto comunale e l’immissione in possesso avvenne regolarmente nel gennaio del 2000.
La cooperativa edilizia che aveva inizialmente sviluppato il comparto edilizio si dichiarò proprietaria dei suoli e, rilevando che entro i cinque anni successivi non era stato emesso alcun decreto di esproprio definitivo, avviò un’azione legale per ottenere il risarcimento del danno derivante – a suo dire – da una occupazione divenuta illegittima.
La richiesta includeva:
Nel frattempo, però, lo stesso Comune risultava aver già corrisposto una somma a un altro soggetto, un condominio, che a sua volta si dichiarava proprietario degli stessi terreni.
Da qui, una catena di contenziosi incrociati, tra giudici ordinari e amministrativi, con una questione di fondo che emergeva con sempre maggiore forza: chi era davvero titolato a ricevere l’indennizzo per l’occupazione?
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Advertisement - PubblicitàIl cuore della decisione del Consiglio di Stato ruota attorno a un principio basilare ma spesso trascurato nei contenziosi legati all’espropriazione: la necessità di provare la titolarità del bene oggetto della richiesta risarcitoria. È proprio su questo punto che la cooperativa ricorrente è inciampata irrimediabilmente.
Secondo i giudici, al momento dell’adozione del decreto di occupazione (novembre 1999) e anche alla data in cui sarebbe dovuto essere emanato il decreto di esproprio (gennaio 2005), la cooperativa non era più proprietaria dei terreni. La documentazione acquisita in giudizio ha dimostrato infatti che, mesi prima dell’occupazione formale, la stessa cooperativa aveva venduto l’intero complesso immobiliare – inclusi i terreni oggetto dell’occupazione – a una società terza.
Non solo: tale cessione era avvenuta nell’ambito della procedura di liquidazione della cooperativa stessa, disposta dal Ministero del Lavoro già nel lontano 1985. Con quell’atto, tutti i diritti reali, comprese le aree di urbanizzazione e gli spazi comuni, erano stati trasferiti in modo pieno e definitivo.
La cooperativa, dunque, non poteva più considerarsi legittimata a rivendicare un danno su un bene che, di fatto e di diritto, non le apparteneva più. Né è servito allegare comportamenti ambigui da parte del Comune, né contestare i pagamenti effettuati a favore del condominio: senza la prova della titolarità, l’azione legale è risultata priva di uno degli elementi costitutivi essenziali.
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Advertisement - PubblicitàLa sentenza del Consiglio di Stato n. 4501/2025 è stata netta: l’appello della cooperativa è stato respinto integralmente. I giudici amministrativi hanno confermato quanto già stabilito dal TAR in primo grado: l’assenza di prova certa e attuale della proprietà dei terreni comporta l’impossibilità di accedere a qualsiasi forma di indennizzo o risarcimento.
Nel dispositivo si legge chiaramente come la cooperativa, pur avendo promosso numerosi procedimenti giudiziari nel corso degli anni, non abbia mai fornito una documentazione catastale aggiornata né dimostrato con certezza la titolarità dei beni al momento dell’occupazione e della mancata espropriazione. L’atto di vendita dell’intero compendio immobiliare, risalente al 1999, era sufficiente a escludere ogni diritto futuro da parte della cooperativa, ormai sciolta e in fase di liquidazione da tempo.
Il Consiglio di Stato ha sottolineato anche che la mancanza di titolarità è un ostacolo insormontabile, che non può essere superato neppure invocando errori procedurali del Comune o presunte violazioni di legge nella gestione dell’occupazione.
Infine, la cooperativa è stata condannata anche al pagamento delle spese legali, per un importo complessivo di 5.000 euro, oltre accessori di legge.
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