Una sentenza del TAR Lazio chiarisce i limiti dell’accesso agli atti edilizi in ambito condominiale, legittimando la trasparenza amministrativa anche in presenza di opposizioni motivate da privacy.
Nel vivere quotidiano all’interno di un condominio, è normale condividere spazi, responsabilità e, talvolta, anche tensioni. Ma cosa succede quando un condomino sospetta che ci siano abusi edilizi e chiede di consultare i documenti urbanistici che riguardano l’abitazione di un altro? È un suo diritto oppure invade la privacy altrui?
Questo è il cuore della vicenda affrontata nella sentenza n. 2028/2025 del TAR Lazio, pubblicata il 30 gennaio 2025. Il caso nasce dalla richiesta, da parte di un condomino (che però non risiede nel palazzo, ma ha un diritto reale su un appartamento), di accedere a due relazioni tecniche riguardanti presunti abusi edilizi commessi all’interno dello stesso complesso.
I diretti interessati, contrari all’accesso, si sono opposti sostenendo che la richiesta fosse persecutoria e priva di un vero interesse, e che i documenti contenessero dati personali riservati.
Nonostante le proteste, il Municipio VIII di Roma ha autorizzato l’accesso. I destinatari si sono quindi rivolti al giudice amministrativo, chiedendo l’annullamento del provvedimento e un risarcimento per danni alla reputazione e alla privacy.
Ma davvero basta segnalare un abuso per ottenere accesso a documenti riservati? E quando si può parlare di legittimo interesse?
La risposta è arrivata con una sentenza che fa chiarezza su un tema sempre più attuale nei rapporti di vicinato.
Sommario
In Italia, il diritto di accedere agli atti della pubblica amministrazione è tutelato dalla Legge n. 241 del 1990, che disciplina l’accesso documentale, e dal D.P.R. n. 184 del 2006, che ne regola le modalità attuative. Questo tipo di accesso è riconosciuto a chi dimostra un interesse diretto, concreto e attuale, finalizzato alla tutela di una posizione giuridicamente rilevante.
Diverso è l’accesso civico, introdotto più di recente dal D.Lgs. n. 33 del 2013, che consente a chiunque di accedere a dati e documenti pubblici, ma con limiti stringenti in caso di presenza di dati personali o riservati.
Nel contesto edilizio, l’accesso agli atti può riguardare, ad esempio, permessi di costruire, relazioni tecniche, autorizzazioni e determinazioni dirigenziali. Tuttavia, quando tali documenti contengono informazioni sensibili o riferimenti alla sfera privata delle persone, è necessario trovare un equilibrio tra il principio di trasparenza e quello della tutela della privacy, protetto non solo dalla normativa nazionale, ma anche dal Regolamento UE 679/2016 (GDPR).
La giurisprudenza amministrativa ha spesso dovuto bilanciare questi due interessi contrapposti, chiarendo che la trasparenza non può trasformarsi in controllo indiscriminato e che la privacy non può diventare uno scudo per impedire la verifica di eventuali illeciti edilizi, soprattutto quando questi riguardano le parti comuni di un condominio.
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Advertisement - PubblicitàLa vicenda esaminata dal TAR del Lazio prende avvio da una richiesta di accesso a due relazioni tecniche edilizie depositate presso il municipio competente. A presentarla è stato un soggetto titolare di un diritto reale su un appartamento situato all’interno di un complesso condominiale, lo stesso in cui si trovava l’immobile oggetto dei documenti.
L’interesse era chiaro: verificare la presenza di presunti abusi edilizi segnalati alla pubblica amministrazione e che avrebbero potuto riguardare anche parti comuni dell’edificio.
A questa richiesta si sono opposti due residenti del condominio, destinatari – diretti o indiretti – delle contestazioni edilizie, sostenendo che il richiedente non avesse alcuna legittimazione ad accedere a quei documenti. Hanno accusato il comportamento dell’istante di essere mosso da intento persecutorio e hanno sollevato il rischio di una grave lesione della propria privacy, in quanto i documenti avrebbero contenuto informazioni personali irrilevanti rispetto all’interesse dichiarato.
Nonostante l’opposizione, l’amministrazione comunale ha concesso l’accesso, ritenendo che vi fossero le condizioni previste dalla normativa. Da qui il ricorso al TAR, con richieste di annullamento degli atti amministrativi e risarcimento dei danni.
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Advertisement - PubblicitàIl Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto il ricorso, ritenendo pienamente legittima la condotta dell’amministrazione. Secondo il TAR, il richiedente aveva sia la legittimazione giuridica sia un interesse concreto e attuale a ottenere i documenti richiesti. La titolarità di un diritto reale su un’unità immobiliare all’interno del condominio – unita al fatto di aver presentato le segnalazioni che hanno portato all’emissione degli atti edilizi contestati – era sufficiente a giustificare l’accesso.
Il TAR ha inoltre evidenziato che gli abusi edilizi segnalati riguardavano parti comuni dell’edificio, e dunque coinvolgevano direttamente anche il richiedente, in quanto comproprietario di quegli spazi. L’accesso alla documentazione era, quindi, funzionale alla tutela di una posizione giuridica soggettiva ben individuata.
Rilevante è anche la posizione del Tribunale in merito alla presunta violazione del termine di “stand still” di 15 giorni, che – secondo i ricorrenti – avrebbe dovuto intercorrere tra la comunicazione dell’accoglimento della richiesta di accesso e la consegna dei documenti. Il TAR ha chiarito che tale termine, previsto in materia di accesso civico, non si applica all’accesso documentale disciplinato dalla L. 241/1990, che ha una sua disciplina autonoma e completa. La normativa, infatti, prevede solo un termine di dieci giorni per eventuali opposizioni da parte dei controinteressati, senza alcuna sospensione automatica del procedimento.
Infine, anche la domanda di risarcimento è stata rigettata: in assenza di illegittimità dell’atto amministrativo, non può esservi responsabilità della pubblica amministrazione, né diritto al ristoro di eventuali danni patrimoniali o morali.
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