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Piscine interrate e fuori terra: tutte le autorizzazioni necessarie

Piscine interrate e fuori terra richiedono autorizzazioni diverse in base a vincoli, durata e tipo di installazione. Normativa complessa, è fondamentale rivolgersi al Comune e a un tecnico.

Piscine interrate e fuori terra: tutte le autorizzazioni necessarie Piscine interrate e fuori terra: tutte le autorizzazioni necessarie
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In un contesto in cui la valorizzazione degli spazi esterni è diventata sempre più importante, la realizzazione di una piscina rappresenta una delle soluzioni più ambite per chi desidera comfort, relax e un valore aggiunto per la propria abitazione. Tuttavia, quando si parla di piscine — siano esse interrate o fuori terra — ci si imbatte inevitabilmente in una serie di normative e adempimenti burocratici che variano a seconda delle caratteristiche dell’intervento e del regolamento urbanistico del Comune di riferimento.

Ma quali autorizzazioni servono realmente per costruire una piscina? Serve sempre un permesso di costruire o in certi casi basta una comunicazione di inizio lavori? Quali differenze esistono tra una piscina interrata e una fuori terra dal punto di vista normativo?

Scopriamolo insieme, passo dopo passo.

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Differenze normative tra piscine interrate e fuori terra

La distinzione tra piscina interrata e piscina fuori terra comporta conseguenze sostanziali dal punto di vista delle autorizzazioni urbanistiche. Le piscine interrate, in quanto opere che richiedono scavi permanenti, movimenti di terra, impianti fissi e alterazioni del suolo, sono generalmente inquadrate come nuove costruzioni secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 1, lettera e) del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia).

Questo implica l’obbligo di richiedere un permesso di costruire, che dev’essere rilasciato dal Comune previa verifica della conformità urbanistica e catastale dell’immobile.

Va tenuto conto anche della presenza di vincoli paesaggistici (D.lgs. 42/2004), ambientali o idrogeologici: in questi casi è necessario ottenere ulteriori nulla osta dagli enti preposti (come la Soprintendenza, nel caso di beni paesaggistici). Nelle zone agricole o soggette a tutela speciale, può persino essere vietata la costruzione di piscine interrate, salvo eccezioni puntualmente motivate.

Leggi anche: Condono edilizio negato: il ruolo dei vincoli paesaggistici nella sanatoria

Le piscine fuori terra, invece, hanno un diverso trattamento normativo.

Essendo strutture temporanee, prefabbricate o facilmente rimovibili, sono in alcuni casi considerate interventi di edilizia libera, come stabilito dal Glossario dell’edilizia libera (D.M. 2 marzo 2018). Tuttavia, se la piscina rimane installata per periodi prolungati, se richiede opere accessorie fisse (es. piattaforme, impianti idraulici interrati), oppure se occupa permanentemente suolo pubblico o privato, può essere necessario presentare una CILA o una SCIA.

Anche qui la discrezionalità comunale gioca un ruolo importante: in alcune realtà locali è richiesta una comunicazione anche per piscine smontabili se superano determinate dimensioni o restano installate oltre la stagione estiva.

In sintesi: la differenza tra temporaneità e permanenza, impatto sul suolo e vincoli urbanistici determina il tipo di autorizzazione richiesta. Una verifica preliminare presso l’ufficio tecnico comunale è sempre il primo passo consigliato.

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Quali autorizzazioni servono per una piscina interrata

La realizzazione di una piscina interrata è considerata a tutti gli effetti un intervento edilizio rilevante, poiché modifica in maniera permanente il territorio e richiede opere murarie strutturali. Per questo motivo, nella maggior parte dei casi, è necessario ottenere un permesso di costruire, come previsto dall’art. 10 del D.P.R. 380/2001. Questo titolo abilitativo comporta la presentazione di un progetto firmato da un tecnico abilitato (geometra, architetto o ingegnere), l’attestazione della conformità urbanistica ed edilizia dell’intervento, e la verifica di eventuali vincoli.

I passaggi principali per ottenere il permesso:

  • Progetto tecnico completo con relazione descrittiva, planimetrie, sezioni, computo metrico e relazione strutturale.
  • Richiesta del permesso di costruire all’ufficio edilizia privata del Comune.
  • Parere preventivo di enti terzi, se presenti vincoli paesaggistici, idrogeologici o archeologici.
  • Pagamento degli oneri concessori, calcolati in base alla superficie, al volume della piscina e alla zona urbanistica.
  • Eventuale aggiornamento catastale al termine dei lavori.

In alcune Regioni o Comuni, esistono modelli semplificati di permesso per piscine di dimensioni ridotte, ma si tratta di eccezioni. È anche possibile che l’intervento venga inserito in un piano di miglioramento aziendale se l’immobile ricade in zona agricola, ma solo se previsto dagli strumenti urbanistici locali.

Infine, per le piscine interrate in abitazioni in condominio, è obbligatorio ottenere l’approvazione dell’assemblea condominiale, in quanto si tratta di un’opera che può influire sulle parti comuni e sul decoro dell’edificio.

Leggi anche: Piscina interrata: serve il permesso di costruire? non conta la superficie, ma la diagonale

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Piscine fuori terra: quando servono autorizzazioni

Le piscine fuori terra vengono spesso percepite come soluzioni “leggere” dal punto di vista burocratico, ma anche in questo caso non tutto è così semplice. Sebbene molte tipologie rientrino tra gli interventi di edilizia libera, ciò non significa che possano essere installate ovunque e comunque.

Secondo il Glossario dell’edilizia libera allegato al D.M. 2 marzo 2018, rientrano tra gli interventi non soggetti ad autorizzazioni edilizie:

“le opere temporanee per attività ludico-ricreative o didattiche, che siano rimosse al termine della stagione o dell’utilizzo, e non comportino trasformazioni permanenti del suolo.”

Dunque, una piscina fuori terra può essere liberamente installata se:

  • è completamente smontabile e rimovibile;
  • viene mantenuta per un periodo temporaneo e stagionale (es. solo mesi estivi);
  • non richiede opere murarie accessorie (basamenti in cemento, impianti fissi);
  • non insiste su aree vincolate o soggette a limitazioni paesaggistiche o ambientali.

Se anche solo una di queste condizioni viene meno, è molto probabile che sia necessario presentare una CILA o una SCIA, soprattutto quando:

  • la piscina resta installata per più di 180 giorni all’anno;
  • sono previste pedane in muratura, pergolati fissi, docce o locali tecnici interrati;
  • l’installazione incide sulla volumetria dell’edificio o su aree comuni (nei condomini).

Attenzione anche alle dimensioni: alcuni Comuni stabiliscono limiti precisi (es. max 30 mq o altezza max 1 metro) oltre i quali anche le piscine fuori terra devono essere autorizzate. In zone vincolate, può essere necessario richiedere l’autorizzazione paesaggistica anche per strutture temporanee.

Leggi anche: Come camuffare una piscina fuori terra

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Piscine in zone vincolate e agricole: cosa dice la normativa

Quando si progetta l’installazione di una piscina all’interno di zone sottoposte a vincoli, come quelle paesaggistici, ambientali, archeologici o idrogeologici, oppure in zona agricola (E), le maglie normative si fanno molto più strette. In questi contesti, anche una semplice piscina fuori terra potrebbe richiedere autorizzazioni complesse, o essere del tutto inammissibile.

Nel caso di vincolo paesaggistico, disciplinato dal D.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), è obbligatoria l’autorizzazione paesaggistica rilasciata dalla Soprintendenza, in seguito a parere espresso dalla Commissione per il paesaggio del Comune. Questa autorizzazione è necessaria per qualunque intervento che alteri in modo visibile il paesaggio: una piscina, per quanto possa essere mimetizzata, è quasi sempre considerata un elemento di impatto.

Nelle zone agricole, le possibilità di costruzione sono limitate alle esigenze dell’imprenditore agricolo. In linea generale, l’edificazione di piscine a servizio di una civile abitazione privata in zona agricola è vietata, salvo che non venga inserita all’interno di un piano aziendale o piano di miglioramento agricolo presentato da un imprenditore agricolo professionale (IAP). Anche in questi casi, tuttavia, i Comuni possono porre limiti molto rigidi: ad esempio, autorizzando solo vasche di raccolta ad uso irriguo che non abbiano finalità ricreative.

Va ricordato che l’assenza di autorizzazione paesaggistica o edilizia in zone vincolate comporta sanzioni gravi, tra cui l’ordine di demolizione, il ripristino dello stato dei luoghi e, in alcuni casi, la denuncia penale per abuso edilizio.



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Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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