Il TAR Lombardia riconosce la prevalenza della normativa nazionale sulla pianificazione locale, consentendo impianti fotovoltaici su suolo agricolo entro 500 metri da stabilimenti industriali.
La transizione ecologica è una delle sfide centrali del nostro tempo, e le fonti rinnovabili giocano un ruolo cruciale in questo percorso. Tuttavia, la realizzazione di impianti fotovoltaici in aree agricole spesso si scontra con limiti urbanistici e opposizioni da parte delle amministrazioni locali.
Una recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, la n. 550 del 2025, ha stabilito un principio rilevante: quando una zona agricola rientra nei criteri di “area idonea” previsti dalla legge nazionale, i Comuni non possono opporsi all’installazione degli impianti.
Questa decisione mette in luce uno scontro sempre più evidente tra le competenze locali e la normativa statale (ed europea), ponendo interrogativi fondamentali: fino a che punto un Comune può fermare un progetto legato alle energie rinnovabili?
E quale valore hanno oggi i vincoli paesaggistici o le previsioni dei Piani di Governo del Territorio?
Advertisement - PubblicitàIl contenzioso nasce da un progetto presentato da una società attiva nel settore delle energie rinnovabili, che aveva avviato una Procedura Abilitativa Semplificata (PAS) per installare un impianto fotovoltaico con pannelli a terra su un terreno agricolo situato all’interno del territorio comunale. L’area in questione, pur essendo agricola, si trova a meno di 500 metri da due insediamenti industriali attivi, condizione che – secondo l’art. 20, comma 8, del D.Lgs. 199/2021 – la rende automaticamente idonea per la realizzazione di impianti da fonti rinnovabili, senza necessità di ulteriori valutazioni discrezionali da parte dell’ente locale.
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Il Comune ha tuttavia respinto l’istanza, sostenendo che l’impianto, occupando circa un terzo della superficie totale del fondo, avrebbe compromesso la vocazione agricola dell’area. A detta dell’amministrazione, ciò costituirebbe un cambiamento sostanziale della destinazione d’uso del terreno – da agricola a produttiva – in contrasto con le previsioni del Piano di Governo del Territorio (PGT), in particolare per quanto riguarda l’ambito territoriale T5, classificato come area a “significativa naturalità” e rilevante sotto il profilo paesaggistico.
A rafforzare la propria posizione, il Comune ha fatto leva su criteri di tutela ambientale e sul rispetto delle funzioni originarie del suolo agricolo, giudicando incompatibile l’intervento fotovoltaico con la disciplina urbanistica locale.
Questo approccio, tuttavia, è stato duramente contestato dalla società ricorrente, che ha denunciato l’illegittimità del diniego, sostenendo che la normativa statale, derivante anche da direttive europee, prevale sulle disposizioni comunali quando si tratta di individuare le aree idonee all’installazione di impianti da energie rinnovabili.
Advertisement - PubblicitàIl cuore della decisione del TAR risiede nella netta affermazione del primato della normativa nazionale – e, per estensione, europea – rispetto alla regolamentazione urbanistica locale. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che l’art. 20, comma 8, lettera c-ter) del D.Lgs. 199/2021 stabilisca in modo inequivocabile che le aree agricole poste entro 500 metri da stabilimenti industriali siano da considerarsi “idonee ex lege” all’installazione di impianti da fonti rinnovabili.
Questa disposizione, che recepisce la Direttiva UE 2018/2001 sulla promozione dell’energia da fonti rinnovabili, ha carattere vincolante e non può essere disapplicata o limitata da norme locali.
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Secondo il TAR, la ratio della norma è chiara: accelerare la transizione energetica e garantire l’approvvigionamento da fonti rinnovabili, obiettivo considerato di interesse pubblico primario, anche in chiave costituzionale. In quest’ottica, il legislatore ha già effettuato un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti – tutela ambientale, salvaguardia del paesaggio, sviluppo sostenibile – lasciando agli enti locali un margine estremamente ridotto d’intervento.
I Comuni, quindi, non possono introdurre criteri restrittivi o vincoli che vanifichino le scelte compiute dal legislatore nazionale in nome di un interesse sovraordinato.
La sentenza richiama anche altri precedenti giurisprudenziali, sottolineando come in presenza di un’area considerata idonea per legge, l’amministrazione comunale perda ogni potere discrezionale in merito alla localizzazione degli impianti. Il principio è netto: non è possibile aggirare la normativa nazionale invocando vincoli urbanistici, ambientali o paesaggistici locali se questi entrano in contrasto con il dettato legislativo superiore.
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