Il TAR conferma la demolizione per abusi edilizi valutati nel loro insieme. Rilevanti anche i cambi d’uso e le pertinenze. Acquisizione comunale possibile in caso di inottemperanza.
Nel mondo dell’edilizia residenziale, la linea di confine tra ciò che è regolare e ciò che configura un abuso può essere molto più sottile di quanto si creda. Basta una pensilina leggermente più sporgente, una scala in ferro costruita senza autorizzazione, o una veranda trasformata in soggiorno per far scattare provvedimenti severi da parte delle amministrazioni comunali.
Lo ha ribadito una recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che ha confermato la piena legittimità di un’ordinanza di demolizione relativa a una serie di opere realizzate in assenza del necessario permesso di costruire.
Una decisione che offre importanti spunti di riflessione per tutti coloro che si trovano a intervenire su immobili esistenti o a sanare vecchie difformità. Quando un abuso è “sanabile”? E in quali casi si rischia davvero l’acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale?
Sommario
Il caso analizzato dal TAR nasce da un’ordinanza comunale di demolizione che contestava una serie di interventi edilizi realizzati su un immobile residenziale. Tra questi figuravano la costruzione di un portico e di un terrazzo sovrastante, collegati da una scala in ferro, una pensilina lunga oltre un metro, la trasformazione di una veranda e – punto particolarmente controverso – il cambio di destinazione d’uso di alcune porzioni interne dell’edificio da locali non residenziali a spazi abitativi.
Secondo il ricorrente, molte di queste opere non necessitavano di un permesso di costruire, trattandosi di elementi accessori o di semplice arredo, come nel caso della pensilina o della scala esterna. Altre ancora, come il cosiddetto “locale rustico”, sarebbero state compatibili con un uso occasionale, non stabile. Inoltre, era stata presentata una SCIA in sanatoria con contestuale richiesta di demolizione o adeguamento delle opere non regolarizzabili.
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Tuttavia, l’amministrazione ha ritenuto gli interventi realizzati come vere e proprie trasformazioni edilizie, sottoposte al regime autorizzativo ordinario. Di fronte alla pluralità degli abusi e al loro impatto complessivo, ha disposto l’ingiunzione alla demolizione, con la possibilità – in caso di inottemperanza – di acquisire gratuitamente le opere abusive e l’area di sedime al patrimonio comunale.
Advertisement - PubblicitàUno dei passaggi fondamentali della sentenza n. 9067/2025 del TAR Lazio è il richiamo a un principio ormai consolidato nella giurisprudenza amministrativa: quando ci si trova davanti a una pluralità di abusi edilizi, non è possibile valutarli singolarmente, ma bisogna considerarli nella loro globalità. Non conta tanto se una scala o una pensilina, prese isolatamente, possano rientrare in interventi minori o pertinenziali; ciò che rileva è l’effetto d’insieme che questi interventi generano sul territorio.
Il tribunale ha infatti ribadito che “laddove vengano in rilievo una serie di abusi, edilizi o paesaggistici, effettuati sul medesimo immobile, la loro valutazione […] richiede una visione complessiva e non atomistica delle opere eseguite”, con l’obiettivo di verificare se nel loro insieme producano “una stabile alterazione dello stato dei luoghi” (cfr. Cons. Stato, sez. II, sent. n. 494/2025; Cons. Stato, sez. III, n. 8795/2024; sez. VI, n. 7968/2024; n. 5331/2024; n. 4569/2024; sez. VII, n. 2990/2024; n. 5749/2023).
Nel caso esaminato, il TAR ha rilevato che l’insieme delle opere realizzate – tra cui un terrazzo di 56,25 mq, un portico di oltre 46 mq, una pensilina aggettante di 115 cm lungo due lati dell’edificio, una scala esterna e un manufatto autonomo in muratura con destinazione residenziale – ha determinato una “apprezzabile alterazione dello stato dei luoghi”.
A ciò si aggiunge il cambio d’uso di alcune superfici interne da non residenziali a residenziali, avvenuto in assenza di titolo e documentato da un sopralluogo comunale corredato da relazione tecnica e fotografie (prot. n. 32846 del 18.06.2018 e integrazione prot. n. 35960 del 5.07.2018).
Di fronte a un tale impatto sull’assetto urbanistico, non sono bastate le giustificazioni del ricorrente – che parlava di uso “transitorio” o di arredi temporanei – né l’invocazione della natura “pertinenziale” di alcune opere. Il TAR ha considerato immune da vizi l’istruttoria dell’amministrazione e ha confermato la legittimità dell’ordinanza di demolizione, ritenendo fondato l’intervento repressivo del Comune di Velletri.
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Advertisement - PubblicitàUno degli aspetti più delicati affrontati nella sentenza riguarda il cambio di destinazione d’uso di alcuni ambienti dell’immobile, che da locali accessori o non residenziali (deposito, cantina, veranda) sono stati trasformati in spazi abitativi. Questo tipo di intervento, spesso sottovalutato dai proprietari, ha invece una rilevanza edilizia ben precisa e richiede – nella maggior parte dei casi – un titolo abilitativo, come previsto dall’art. 23-ter del DPR 380/2001.
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Nel caso specifico, il TAR ha respinto le argomentazioni difensive secondo cui la presenza di arredi o di un bagno non sarebbe sufficiente a configurare un cambio d’uso stabile. A sostegno della propria decisione, il tribunale ha richiamato la relazione tecnica comunale redatta a seguito di un sopralluogo effettuato nel giugno 2018, che documentava in modo dettagliato l’effettiva trasformazione degli spazi interni.
Le fotografie allegate al verbale mostravano ambienti completamente arredati e strutturati per un uso abitativo permanente, a dispetto della destinazione assentita originariamente con il permesso in sanatoria rilasciato nel 2007.
Particolarmente rilevante è stata anche la valutazione del cambio d’uso della veranda, la cui trasformazione – pur se formalmente presente nei grafici allegati al condono – non è stata ritenuta idonea a giustificare l’assenza di un nuovo titolo edilizio, in mancanza di una variazione conforme alle norme tecniche e agli standard urbanistici.
Il TAR ha quindi ribadito che, per qualificare correttamente un intervento edilizio, non basta l’intenzione soggettiva del proprietario, ma occorre verificare l’effettiva destinazione funzionale degli spazi, anche alla luce dell’organizzazione degli ambienti e delle opere accessorie realizzate.
Advertisement - PubblicitàIl cuore del provvedimento impugnato – e confermato dal TAR – è rappresentato dall’ordine di demolizione delle opere abusive, accompagnato dall’avvertimento che, in caso di mancata ottemperanza, sarebbe scattata l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere stesse e dell’area di sedime, come previsto dall’art. 31, commi 2 e 3 del DPR 380/2001. Un passaggio tutt’altro che formale, poiché comporta la perdita definitiva della disponibilità dell’immobile.
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Nel ricorso, era stato sollevato anche un terzo motivo, in via subordinata, con cui si chiedeva di applicare l’art. 33 dello stesso decreto, che prevede la possibilità di una sanzione pecuniaria per alcuni tipi di ristrutturazione edilizia abusiva, alternativa alla demolizione o all’acquisizione.
Tuttavia, il TAR ha ritenuto la doglianza inammissibile per difetto di interesse attuale, chiarendo che essa potrà essere eventualmente proposta solo in un momento successivo, e cioè qualora il Comune proceda effettivamente con l’acquisizione dell’area per inottemperanza.
La sentenza si conclude dunque con il rigetto integrale del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Un esito che rafforza il principio di legalità urbanistica e conferma l’orientamento secondo cui anche modifiche apparentemente marginali, se prive di autorizzazione e non valutabili singolarmente, possono condurre a gravi conseguenze sul piano patrimoniale e giuridico.