Un parere negativo informale del Comune su un intervento edilizio non è impugnabile. Solo un atto formale può essere contestato. Serve avviare l’iter corretto con documentazione completa.
Negli ultimi anni, la demolizione e ricostruzione degli edifici è diventata una delle pratiche edilizie più diffuse, soprattutto per chi intende recuperare ruderi, fabbricati fatiscenti o immobili di scarsa qualità edilizia. Tuttavia, prima di avviare l’iter burocratico vero e proprio, molti cittadini e tecnici preferiscono “tastare il terreno” chiedendo al Comune un parere preventivo sulla fattibilità dell’intervento.
Una forma di cautela comprensibile, soprattutto nei casi complessi in cui si tratta di determinare volumi, altezze e vincoli urbanistici o paesaggistici.
Ma che valore ha realmente questo tipo di parere? È vincolante? E, soprattutto, se è negativo, può essere impugnato davanti a un giudice? Un recente pronunciamento del TAR Toscana ha fatto chiarezza su questi aspetti, offrendo spunti importanti per cittadini, professionisti e operatori del settore.
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Sommario
La vicenda prende avvio da una richiesta presentata al Comune da parte dei proprietari di un edificio ormai diruto. L’intenzione era quella di procedere a un intervento di demolizione e successiva ricostruzione dell’immobile, secondo quanto previsto dalla normativa vigente in materia di ristrutturazione edilizia. Invece di depositare direttamente una SCIA o richiedere un permesso di costruire, i richiedenti hanno deciso di inoltrare una domanda preliminare, chiedendo all’amministrazione comunale un parere sulla fattibilità dell’intervento.
Il Comune ha risposto in modo negativo, motivando il diniego con l’impossibilità di accertare con precisione la consistenza dell’edificio preesistente, in particolare ai fini della determinazione della volumetria assentibile. Una risposta che, di fatto, avrebbe reso inutile ogni successiva richiesta di titolo edilizio.
A questo punto, i proprietari hanno deciso di impugnare il parere dinanzi al TAR, ritenendolo lesivo dei propri diritti. Il fulcro del contenzioso si è dunque spostato su un aspetto tutt’altro che secondario: un parere informale espresso dal Comune può davvero bloccare l’iniziativa edilizia? E può essere oggetto di ricorso?
Advertisement - PubblicitàIl Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana con la sentenza n° 1027/2025 ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La motivazione è netta: il parere espresso dal Comune non costituisce un vero e proprio provvedimento amministrativo, ma ha natura meramente accertativa. In altri termini, si tratta di una valutazione preliminare e informale, priva di effetti giuridici diretti e quindi non lesiva, dunque non può essere impugnata davanti al giudice amministrativo.
Secondo il TAR, un Comune può esprimere valutazioni tecniche o urbanistiche solo nell’ambito dei poteri che la legge gli attribuisce, e sempre attraverso atti tipici previsti dalla normativa – come il permesso di costruire, la SCIA o l’autorizzazione paesaggistica. Non esiste, invece, un potere “consultivo” generale in capo al Comune che permetta di esprimere pareri vincolanti sulla futura approvabilità di un progetto edilizio, se non nei casi espressamente disciplinati dalla legge.
In questo caso, quindi, non vi era alcuna lesione effettiva della posizione giuridica dei richiedenti, perché nessuna richiesta ufficiale era stata respinta: semplicemente, non era mai stata formalmente presentata. Di conseguenza, il TAR ha rilevato il difetto di interesse dei ricorrenti e ha dichiarato il ricorso inammissibile.
Advertisement - PubblicitàLa normativa nazionale e regionale in materia edilizia è chiara nel definire gli strumenti attraverso cui è possibile avviare interventi sul patrimonio edilizio esistente. L’articolo 3, comma 1, lettera d) del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001) identifica come “ristrutturazione edilizia” anche gli interventi di demolizione e ricostruzione, purché venga rispettata la volumetria preesistente, salvo incrementi ammessi dalle normative urbanistiche locali.
La Legge Regionale Toscana 65/2014, invece, fornisce ulteriori dettagli sui criteri per il calcolo delle volumetrie e sulle modalità di intervento nei contesti soggetti a specifica disciplina urbanistica o paesaggistica. In particolare, l’art. 133 della legge regionale stabilisce che gli interventi di ristrutturazione edilizia debbano essere valutati sulla base di documentazione adeguata e completa, proprio per evitare incertezze sulla consistenza originaria dell’immobile.
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Nel caso esaminato dal TAR, i ricorrenti avevano lamentato la violazione di queste disposizioni, ritenendo che il Comune avesse travisato i fatti e omesso una corretta istruttoria. Tuttavia, come ha chiarito il Tribunale, l’assenza di una richiesta formale di permesso di costruire o di una SCIA impedisce di parlare di un diniego vero e proprio, perché l’amministrazione non ha esercitato alcun potere tipico previsto dalla legge.
Importante anche il riferimento all’art. 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 42/2004), che disciplina l’autorizzazione paesaggistica: un parere che ha valore solo nei casi in cui l’immobile ricade in zona vincolata, e che deve comunque precedere – non sostituire – l’iter edilizio ordinario.
Advertisement - PubblicitàQuesta sentenza rappresenta un importante campanello d’allarme per tecnici, progettisti e proprietari: chiedere un parere preventivo informale al Comune potrebbe rivelarsi non solo inutile, ma anche fuorviante. Infatti, se tale parere è negativo, non ha valore giuridico e non può essere impugnato, lasciando il cittadino in una sorta di “limbo” burocratico senza possibilità di tutela.
Per evitare situazioni di incertezza, il consiglio pratico è chiaro: seguire la procedura ordinaria, presentando una SCIA o una richiesta formale di permesso di costruire, anche se l’intervento appare complesso o dubbio. Solo in questo modo l’amministrazione sarà obbligata a esprimersi attraverso un atto provvedimentale vero e proprio, che potrà – se del caso – essere impugnato davanti al TAR.
Un altro elemento fondamentale è la documentazione tecnica: in particolare nei casi di edifici diruti o parzialmente crollati, è essenziale fornire rilievi, fotografie, estratti catastali storici e ogni altro elemento utile a dimostrare la consistenza preesistente. Questo vale sia per la determinazione delle volumetrie, sia per dimostrare la legittimità dell’intervento richiesto.
Infine, va ricordato che in zona vincolata l’iter passa obbligatoriamente per il parere della Commissione per il Paesaggio e l’autorizzazione paesaggistica ai sensi del Codice dei beni culturali. Ma anche in questo caso, tali atti sono propedeutici e non sostitutivi del titolo edilizio.
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