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Reverse charge: cos’è, quando si applica e come funziona

Reverse charge: cos’è, quando si applica e come funzionaReverse charge: cos’è, quando si applica e come funziona
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L’inversione contabile (reverse charge) è una procedura particolare di applicazione dell’IVA che permette l’inversione dell’imposta direttamente sui destinatari delle cessioni dei beni o delle prestazioni dei servizi, e non sui cedenti.

Una sorta di vera e propria deviazione rispetto alla normale contribuzione dell’imposta, che prevede che siano i committenti dei servizi a pagare l’IVA anziché i fornitori.

L’effetto principale dell’inversione contabile è quindi lo spostamento del carico tributario dai venditori agli acquirenti: l’onere dell’imposta viene spostato dai cedenti o prestatori ai cessionari o committenti. Ai fini dell’applicazione del meccanismo del reverse charge le parti coinvolte devono necessariamente essere soggetti passivi IVA e i destinatari risiedere nel territorio dello Stato.

Dopo la breve ma doverosa introduzione sull’argomento, nei paragrafi seguenti entriamo nei dettagli per capire cos’è, come funzione e quando applicare il meccanismo del reverse charge.

Reverse charge: Cos’è

Disciplinato dal D.P.R. 633/72 il reverse charge è dunque un meccanismo di funzionamento dell’IVA realizzato con lo scopo di fa applicare l’imposta non ai soggetti cedenti, ma ai cessionari o committenti.

Il reverse charge (inversione contabile) consente l’applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto in maniera tale da evitare manovre fraudolente. Un meccanismo impiegato per operazioni esterne ed interne ad alto rischio frode. Con il reverse charge i fornitori dei beni o i prestatori dei servizi non sono tenuti all’addebito dell’IVA in fattura.

Generalmente, nel corso di una transazione tra due soggetti, i fornitori dei beni o i prestatori dei servizi applicano l’IVA nelle fatture, addebitandola ai destinatari dei beni o dei servizi, e solo in un secondo momento tale somma viene versata allo Stato. Nei casi in cui non viene versata l’IVA, ecco che si configura il reato di evasione fiscale ai danni dello Stato.

Il reverse charge è stato introdotto proprio per contrastare efficacemente il fenomeno dell’evasione fiscale.

Reverse charge: come funziona

Il meccanismo del reverse charge costituisce una deroga ai principi di esigibilità e detrazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto. Infatti, di norma, la regola in tema di IVA prevede che coloro che effettuano le cessioni dei beni o delle prestazioni di servizi siano tenuti all’addebito dell’imposta ai cessionari.

In questa maniera sono i cedenti a restare debitori verso l’Erario, mentre i cessionari o committenti hanno il diritto della detrazione IVA, diventando creditori nei confronti dello Stato.

Con il meccanismo del reverse charge invece i cedenti dei beni o i prestatori dei servizi non espongono l’imposta in fattura, con i cessionari o i committenti che sono tenuti alla registrazione dell’IVA nei rispettivi registri delle fatture emesse e in quelli degli acquisti. Con l’annotazione doppia a debito e a credito, materialmente l’imposta non viene corrisposta all’Erario.

Ciò vuol dire che, con il funzionamento di un meccanismo simile, siamo di fronte a un’operazione neutra finanziariamente: le operazioni si neutralizzano contabilmente, a condizioni che in capo ai cessionari o ai committenti non siano presenti limiti alla detrazione (esempio: banche).

Ai fini dell’applicazione del reverse charge i soggetti coinvolti nelle operazioni devono essere entrambi soggetti passivi IVA e i committenti o cessionari devono avere la residenza nel territorio dello Stato.

A titolo esemplificativo e per essere ancora più chiari, ipotizzando una vendita, verrà emessa fattura dal venditore di 3.000 euro, senza addebito dell’imposta e con la registrazione del credito verso la società interessata per la cessione del bene.

A sua volta, l’acquirente, ricevuta la fattura da 3.000 euro, la registrerà con l’integrazione dell’imposta, pertanto di fatto registrando l’acquisto e l’autofattura. Con la registrazione dell’operazione in dare e avere, l’acquirente neutralizza l’operazione. Senza applicare il reverse charge l’imposta sarebbe stata versata al fornitore, con quest’ultimo obbligato a versarla all’Erario.

Con l’applicazione del meccanismo del reverse charge è dunque il committente tenuto all’applicazione dell’imposta (a debito e a credito) nell’operazione. La ragione principe di tale meccanismo è quella di contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale con un’azione efficace e preventiva.

Nella stragrande maggioranza dei casi il versamento dell’IVA non è dovuto, in quanto si applica una registrazione doppia della fattura di acquisto integrata debitamente nei rispettivi registri di vendite e acquisti. Per questa ragione, nei casi in cui la registrazione doppia avvenga contestualmente e si fruisca di un diritto alla detrazione, la somma dell’imposta a debito viene neutralizzata dalla somma dell’imposta a credito.

Reverse charge: quando si applica

Il meccanismo dell’inversione contabile si divide in due diversi campi di applicazione:

  • esterno: l’applicazione del reverse charge nelle operazioni con controparti UE oppure extra UE;
  • interno: l’applicazione del reverse charge in operazioni in cui sono coinvolti operatori commerciali nazionali.

L’inversione contabile di tipo esterno si applica alle operazioni IVA rilevanti territorialmente nel nostro Paese, svolte da soggetti non residenti nei riguardi di soggetti passivi italiani (ex articolo 17, c. 2, DPR 633/1972).

Con il reverse charge gli obblighi impositivi vengono trasferiti dai soggetti non residenti nei riguardi dei cessionari o committenti delle operazioni, che invece sono soggetti passivi ai fini IVA nel nostro Paese. Nel campo dell’inversione contabile di tipo esterno rientrano pure gli acquisti di beni intracomunitari, per i quali i cessionari sono debitori IVA.

Un meccanismo esterno, a sua volta, applicato tramite due modalità operative:

  • integrazione delle fatture ricevute dai cedenti o prestatori che non riportano l’applicazione dell’IVA grazie al reverse charge. L’integrazione si concretizza con il riporto in fattura dell’importo imponibile e dell’imposta dovuta: tali somme sono da registrare nei registri IVA. Tale modalità applicativa interessa le operazioni intracomunitarie e interne ricevute da soggetti passivi nazionali;
  • autofattura: in questi casi i cessionari sono tenuti all’emissione dell’autofattura, un documento che riprende fedelmente la fattura ricevuta integrandola con l’imponibile IVA: tali importi sono da riportare nei registri IVA. Tale modalità applicativa interessa le operazioni ricevute con prestatori con residenza in Paesi extra UE.

Sia l’integrazione delle fatture che l’autofattura sono modalità che prevedono l’annotazione doppia dell’imposta nei registri delle fatture emesse e nei registri acquisti.

Il reverse interno interessa invece determinate operazioni imponibili IVA nel nostro Paese come:

  • le cessioni di oro industriale e da investimento;
  • le prestazioni di servizi nel campo edile;
  • le cessioni di fabbricati per le quali i cedenti hanno optato per applicare l’IVA;
  • le prestazioni di servizi di demolizione, di pulizia e di installazione impianti;
  • le cessioni di cellulari, PC, tablet, console da gioco, microprocessori per server e computer;
  • le cessioni di energia elettrica e gas a rivenditori (soggetti passivi);
  • le cessioni di pallet recuperati e rottami.

Reverse charge: fatturazione elettronica

Con circolare n. 14/E del 2019, l’Agenzia delle Entrate ha fatto chiarezza sulle regole dell’inversione contabile relativamente alla fatturazione elettronica. L’Agenzia delle Entrate ha infatti chiarito che per gli acquisti di servizi extracomunitari e per gli acquisti intracomunitari l’obbligo della fattura elettronica non sussiste, ma esiste l’obbligo di trasmettere l’esterometro mensile.

Per gli acquisti interni in regime di reverse charge l’invio della fattura elettronica è facoltativo e non c’è l’obbligo di invio dell’autofattura al SdI (Sistema di Interscambio).
In sintesi e per riepilogare:

  • per il reverse charge interno è permessa l’integrazione su carta, senza alcun obbligo di invio del documento tramite il Sistema di Interscambio (SdI);
  • parallelamente ci si comporta nei casi di applicazione del meccanismo reverse charge intracomunitario, salvo naturalmente l’obbligo della segnalazione della fattura dell’esterometro;
  • Nei casi di inversione contabile per acquisti territoriali da extra UE si procede invece con l’emissione dell’autofattura, con la possibilità dell’emissione dell’autofattura elettronica, come previsto dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 14/E del 2019.

Reverse charge: conclusioni

L’applicazione dell’inversione contabile da parte degli operatori italiani è vincolata alle operazioni disciplinate dal D.P.R. n. 633/1972 per le operazioni interne, e dal Decreto Legge n. 331/1993 per le operazioni intracomunitarie. Diversamente dai casi previsti dal D.P.R. e dal Decreto Legge, il reverse charge non trova applicazione e l’imposta viene applicata come consuetudine da parte dei cedenti di beni o prestatori di servizi.

Il reverse charge è un meccanismo contabile e fiscale nato con lo scopo di eliminare, o quanto meno limitare, l’evasione dell’IVA. Uno strumento che è stato cioè pensato per impedire a coloro che effettuano le cessioni di beni o a coloro che li acquistano, di non versare l’IVA allo Stato o di chiederne il rimborso. Nei rapporti intracomunitari la finalità del reverse charge è invece quella di evitare la detrazione dell’imposta applicata da fornitori esterni e incassata da Stati stranieri.

Per concludere, ricordiamo che nei casi di applicazione errata dell’inversione contabile, sono previste delle pesanti sanzioni anche fino a 10mila euro. Mentre nei casi di omissione del meccanismo del reverse charge le sanzioni possono arrivare fino a 20mila euro. Naturalmente, fermo restando, l’opportunità da parte dei soggetti interessati del ravvedimento operoso.

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TAGS: esterometro, inversione imposta, iva, reverse charge

Autore: Redazione Online

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