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Decreto Salva Casa e cambio di destinazione d’uso: cosa succede davvero nei centri storici

Il cambio di destinazione d’uso nei centri storici resta soggetto a vincoli locali: il Decreto Salva Casa non supera automaticamente le norme regionali e comunali ancora vigenti.

Decreto Salva Casa e cambio di destinazione d’uso: cosa succede davvero nei centri storici Decreto Salva Casa e cambio di destinazione d’uso: cosa succede davvero nei centri storici
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Il Decreto “Salva Casa” è stato accolto da molti come una svolta epocale per l’edilizia, soprattutto sul tema del cambio di destinazione d’uso degli immobili. L’idea diffusa è che, grazie alle nuove regole, sia diventato più semplice trasformare magazzini, locali accessori o spazi inutilizzati in abitazioni, anche di piccole dimensioni. Ma è davvero così automatico?

Una recente sentenza del TAR Liguria mette un importante punto fermo su una questione tutt’altro che secondaria: le nuove norme statali possono davvero superare i vincoli urbanistici regionali e comunali, soprattutto nei centri storici? Oppure i Comuni conservano ancora un ampio margine per dire no?

Capire cosa ha deciso il giudice amministrativo è fondamentale non solo per i proprietari, ma anche per tecnici, progettisti e operatori del settore. Il Salva Casa semplifica davvero tutto o, come spesso accade in edilizia, la realtà è più complessa di quanto sembri?

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Il caso esaminato dal TAR: quando il Cambio d’Uso viene negato

La vicenda nasce dalla richiesta di un proprietario di trasformare un piccolo locale accessorio in un’unità abitativa, attraverso una SCIA alternativa al permesso di costruire. L’immobile, di dimensioni contenute, era originariamente accatastato come magazzino e si trovava all’interno del centro storico, in un ambito urbanistico sottoposto a regole particolarmente restrittive.

L’intervento proposto prevedeva il cambio di destinazione d’uso a residenziale per la realizzazione di un monolocale, senza modifiche all’aspetto esteriore dell’edificio e con il pagamento degli oneri di urbanizzazione. Secondo il proprietario, l’operazione rientrava pienamente nelle nuove possibilità offerte dall’art. 23-ter del Testo Unico dell’Edilizia, come modificato dal Decreto Salva Casa.

Approfondisci: Decreto Salva Casa: la guida completa, ecco cosa puoi sanare

Il Comune, però, ha rigettato la pratica. Alla base del diniego non vi erano problemi strutturali o igienico-sanitari, ma specifici vincoli urbanistici previsti dal piano comunale per i locali situati al piano terra del centro storico, soprattutto quando affacciano direttamente su spazi pubblici.

Da qui la decisione di impugnare il provvedimento davanti al giudice amministrativo.

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Perché il comune ha respinto la richiesta di Cambio di Destinazione d’uso

Il diniego del Comune non si è basato su valutazioni discrezionali o su presunti abusi edilizi, ma su precise norme urbanistiche locali. In particolare, l’immobile ricadeva in un ambito del centro storico per il quale il Piano Urbanistico Comunale prevede limitazioni specifiche al recupero dei locali posti al piano terra.

Secondo la disciplina comunale, infatti, non è consentito il cambio di destinazione d’uso a residenziale per quei locali che si trovano al piano terra e che presentano affacci esclusivi su spazi pubblici, una scelta motivata dall’esigenza di tutelare il tessuto urbano, la vitalità commerciale e l’equilibrio funzionale del centro storico.

A questo primo profilo se ne aggiungeva un secondo, di natura edilizia: il regolamento comunale stabilisce una superficie minima più elevata per le unità residenziali ricavate dall’edificato esistente, superiore a quella proposta nel progetto. Per l’amministrazione, tali regole restavano pienamente applicabili, nonostante le recenti modifiche normative introdotte a livello statale.

È proprio su questo punto che si è aperto il vero conflitto giuridico: le nuove norme sul cambio di destinazione d’uso possono davvero superare i limiti fissati dai Comuni nei propri strumenti urbanistici?

Leggi anche: Cambio di destinazione d’uso e sanatoria: le nuove regole del DL Salva Casa

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Il ricorso: perché il proprietario invocava il Decreto Salva Casa

Nel ricorso presentato al giudice amministrativo, il fulcro della contestazione era rappresentato dall’applicazione diretta del Decreto Salva Casa. Secondo la tesi difensiva, le modifiche introdotte all’art. 23-ter del Testo Unico dell’Edilizia avrebbero reso superabili le limitazioni comunali che ostacolavano il cambio di destinazione d’uso.

In particolare, veniva sostenuto che il legislatore statale avesse voluto favorire il recupero del patrimonio edilizio esistente, consentendo il passaggio tra diverse categorie funzionali – come da locale accessorio a residenziale – anche senza opere edilizie rilevanti. In quest’ottica, i vincoli posti dal piano comunale sarebbero risultati non più attuali e comunque in contrasto con una normativa di rango superiore.

Un ulteriore profilo di censura riguardava le dimensioni minime dell’alloggio. Il ricorso richiamava i parametri nazionali in materia igienico-sanitaria, sostenendo che una superficie inferiore a quella prevista dal regolamento comunale non potesse, di per sé, giustificare il rigetto della domanda. Al più, tali limiti inciderebbero sul numero di occupanti consentiti, ma non sulla possibilità di autorizzare il cambio d’uso.

Su queste basi, il proprietario chiedeva l’annullamento del diniego, ritenendo che il Comune avesse applicato in modo rigido e non aggiornato una disciplina ormai superata dalla nuova normativa statale.

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La decisione del TAR: il Salva Casa non annulla i vincoli locali

Il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso chiarendo un principio fondamentale: il Decreto Salva Casa non cancella automaticamente le normative regionali e comunali in materia urbanistica. Le nuove disposizioni sul cambio di destinazione d’uso fissano infatti criteri generali, ma non eliminano la competenza delle Regioni e dei Comuni nel dettare regole di dettaglio.

Secondo il TAR, la materia dell’urbanistica rientra nella competenza legislativa concorrente. Questo significa che allo Stato spetta individuare i principi fondamentali, mentre alle Regioni è affidata la disciplina concreta, compresa la possibilità di introdurre limiti e condizioni. Di conseguenza, fino a quando la normativa regionale non viene adeguata alle nuove regole statali, continuano ad applicarsi le disposizioni già vigenti.

Nel caso esaminato, il giudice ha ritenuto pienamente legittime le previsioni del piano comunale che escludono il cambio di destinazione d’uso dei locali al piano terra con affaccio su spazi pubblici nel centro storico. Tali limitazioni non sono state considerate in contrasto con il Salva Casa, ma anzi coerenti con il ruolo attribuito agli strumenti urbanistici locali.

In sostanza, il TAR ha affermato che il nuovo art. 23-ter del Testo Unico Edilizia non può essere utilizzato per aggirare i vincoli urbanistici comunali, almeno finché la Regione non interviene con una disciplina aggiornata.

Leggi anche: Decreto Salva Casa e cambio d’uso: attenti ai limiti reali

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L’errore procedurale: impugnazione delle norme del PUC e omessa notifica

Un altro aspetto cruciale della decisione riguarda un errore procedurale che ha reso inammissibile una parte del ricorso. Il ricorrente, infatti, ha chiesto l’annullamento non solo del provvedimento di diniego, ma anche delle norme urbanistiche contenute nel Piano Urbanistico Comunale (PUC), che stabilivano le limitazioni al cambio di destinazione d’uso.

Tuttavia, il TAR ha evidenziato che per impugnare le norme del PUC, che sono atti amministrativi di tipo complesso, era necessario notificare il ricorso anche alla Regione Liguria, in quanto soggetto di interesse per tali atti. In questo caso, la notifica alla Regione non è stata effettuata, rendendo l’impugnazione delle norme di piano inammissibile.

La decisione è importante anche per chi, in futuro, dovesse voler contestare le norme di un piano regolatore: in casi simili, la corretta notifica alla Regione diventa un passaggio fondamentale per la validità del ricorso. L’omissione di questa notifica può compromettere l’intero processo, come è accaduto in questo caso.

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Una sentenza che ridimensiona il “mito” del Salva Casa

La decisione del TAR Liguria ridimensiona in modo netto l’idea che il Decreto Salva Casa rappresenti una soluzione universale per superare vincoli e limiti urbanistici. Il giudice ha chiarito che la semplificazione introdotta dal legislatore statale non svuota il ruolo delle Regioni e dei Comuni, soprattutto quando si tratta di tutelare contesti delicati come i centri storici.

Il cambio di destinazione d’uso resta uno strumento importante per il recupero del patrimonio edilizio, ma continua a muoversi all’interno di un sistema di regole multilivello, dove la pianificazione locale mantiene un peso decisivo. Ignorare questo equilibrio significa esporsi a dinieghi legittimi e a contenziosi destinati a fallire.

In definitiva, la sentenza ricorda che, anche dopo il Salva Casa, la pianificazione urbanistica non è un ostacolo superabile con una semplice SCIA, ma un elemento centrale con cui ogni intervento deve fare i conti.



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Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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