Una sanatoria edilizia annullata, opere modificate e area vincolata: il TAR Campania conferma la demolizione, ribadendo i limiti dell’affidamento e la natura vincolata delle sanzioni urbanistiche.

Quando un’opera edilizia è stata condonata, può davvero essere oggetto di demolizione anni dopo? E cosa succede se nel frattempo il proprietario, in buona fede, ha modificato l’immobile o ne ha semplicemente migliorato alcune parti?
La sentenza n. 7441/2025 del TAR Campania affronta una delle situazioni più complesse e frequenti in ambito urbanistico: quella di un condono edilizio prima concesso, poi annullato in autotutela, con conseguente diniego della sanatoria e successivo ordine di demolizione.
Il caso ha coinvolto una cittadina napoletana, comproprietaria di un appartamento, che ha visto respingersi tutte le sue difese — dalla regolarità delle opere, al legittimo affidamento, fino alla presenza di un procedimento penale pendente sulle stesse opere. Un articolato intreccio normativo e procedurale che ci consente di fare luce su molti aspetti chiave del diritto urbanistico.
Quali sono i limiti del potere di autotutela del Comune? Il proprietario può davvero sentirsi al sicuro dopo anni dalla presentazione di una domanda di condono? E ancora: l’amministrazione può agire anche se esiste un procedimento penale in corso?
Se vuoi capire cosa ha stabilito il TAR e quali sono le conseguenze concrete di questa sentenza per i cittadini, i tecnici e gli amministratori pubblici, continua a leggere.
Sommario
Tutto ha avuto origine da un appartamento situato a Napoli, acquistato nel 2013 da una coppia, con annessi giardino, cantinola e alcune pertinenze. Al momento dell’acquisto, l’immobile presentava alcune opere edilizie già eseguite: due verande, la trasformazione di vani finestra in balconi, una tettoia, un manufatto in muratura nel giardino, una pedana sopraelevata con scala e altri piccoli interventi di collegamento tra interno ed esterno.
Parte di queste opere era stata oggetto di una domanda di condono presentata nel lontano 1986, in base alla legge n. 47/1985, mai definitivamente evasa dal Comune. Altre opere erano invece state dichiarate come interventi di sistemazione esterna, eseguiti – secondo i proprietari – per ragioni di manutenzione e sicurezza, come evitare infiltrazioni d’acqua.
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Nel 2013, il Comune aveva rilasciato un provvedimento di condono edilizio “in autocertificazione”, apparentemente legittimando la situazione esistente. Tuttavia, nel 2019, la stessa amministrazione ha annullato in autotutela quel condono, sostenendo che l’immobile ricadeva in area vincolata e che vi erano state modifiche rilevanti alle opere dopo la presentazione dell’istanza.
Da lì è iniziata una lunga vicenda giudiziaria, che ha visto susseguirsi accertamenti tecnici, sopralluoghi, ordinanze di demolizione, motivi aggiunti, e nuove contestazioni tra le parti.
Il cuore della disputa? La legittimità del provvedimento di autotutela e la fondatezza dell’ordine di demolizione delle opere ritenute abusive.
Advertisement - PubblicitàNel 2013, a distanza di quasi trent’anni dalla presentazione della domanda di sanatoria edilizia ex legge 47/1985, il Comune aveva finalmente rilasciato un provvedimento di condono. Si trattava di una sanatoria emessa in autocertificazione, che sembrava concludere positivamente il lungo iter amministrativo e legittimare formalmente alcune delle opere realizzate sull’immobile.
Tuttavia, nel 2019, tutto è cambiato. Il Comune ha deciso di annullare quel titolo in autotutela, sostenendo che la sanatoria fosse stata concessa in assenza delle necessarie verifiche sui vincoli paesaggistici esistenti nella zona, che è infatti soggetta a una pluralità di tutele: vincolo paesaggistico del 1953 e Piano Territoriale Paesistico vigente.
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L’annullamento ha avuto effetto retroattivo, riportando la situazione giuridica dell’immobile alla fase precedente alla concessione della sanatoria. Una decisione pesante, che ha colpito i proprietari anche sotto il profilo della certezza del diritto: per oltre sei anni, quelle opere erano state considerate legittime.
Ma la questione si è complicata ulteriormente. Nel frattempo, le opere originarie — in particolare le verande — erano state modificate: nuove murature, diversi materiali, ampliamenti e rimozione di elementi precedenti. Per il Comune, si trattava di un cambiamento sostanziale, incompatibile con la domanda di condono del 1986. Da qui il definitivo diniego della sanatoria nel 2024 e il successivo ordine di demolizione del 2025.
Una situazione paradossale per i proprietari: prima una sanatoria, poi il suo annullamento, poi il diniego, infine la demolizione. Il tutto in un arco temporale che ha attraversato decenni.
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Advertisement - PubblicitàDi fronte alla decisione dell’amministrazione di annullare la sanatoria e ordinare la demolizione delle opere, la proprietaria ha scelto di reagire sul piano giudiziario, impugnando i provvedimenti comunali davanti al TAR. Le sue argomentazioni hanno toccato più aspetti cruciali, sia di merito che di forma.
Innanzitutto, ha denunciato la mancata notifica del provvedimento di autotutela, che secondo la sua difesa era stato comunicato solo al marito comproprietario e non anche a lei, violando così il principio del contraddittorio e del diritto alla difesa sancito dalla legge 241/1990. Da ciò deriverebbe, a suo avviso, la tardività del provvedimento di annullamento del condono e, quindi, la sua illegittimità.
Inoltre, ha sollevato un tema particolarmente delicato: il legittimo affidamento. A suo dire, l’amministrazione non avrebbe potuto annullare un titolo edilizio dopo oltre sei anni senza tenere conto del tempo trascorso e degli effetti giuridici e patrimoniali ormai consolidati. La sanatoria del 2013, secondo la proprietaria, aveva prodotto effetti validi e vincolanti fino al 2019, rendendo dunque ingiustificato un successivo diniego basato su presunte modifiche sopravvenute.
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Un altro punto forte della sua difesa ha riguardato la natura delle opere contestate: secondo la ricorrente, si trattava in molti casi di interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, finalizzati al miglioramento della vivibilità dell’immobile, come la sistemazione delle superfici esterne per prevenire infiltrazioni. In quest’ottica, le opere non avrebbero avuto carattere abusivo o trasformativo tale da giustificare l’ordine di demolizione.
Infine, la proprietaria ha evidenziato la pendenza di un procedimento penale sulle stesse opere edilizie, sostenendo che il Comune avrebbe dovuto sospendere il procedimento amministrativo in attesa della conclusione del giudizio penale, onde evitare un possibile conflitto tra autorità.
Tuttavia, nessuna di queste doglianze ha convinto il giudice amministrativo.
Advertisement - PubblicitàCon la sentenza n. 7441/2025, il TAR Campania ha rigettato integralmente le pretese della ricorrente. Una decisione netta, articolata e fondata su principi giurisprudenziali consolidati in materia urbanistica.
Innanzitutto, il tribunale ha dichiarato improcedibile il ricorso principale, in quanto l’ordinanza di demolizione originaria del 2019 era stata superata da un nuovo provvedimento emesso nel 2025, che rinnovava l’ordine di abbattimento a seguito del diniego definitivo del condono.
Il primo ricorso per motivi aggiunti, quello contro l’annullamento in autotutela della sanatoria, è stato invece ritenuto irricevibile per tardività. Il TAR ha stabilito che la notifica del provvedimento, avvenuta nel 2019 al marito convivente, doveva ritenersi valida anche per la proprietaria, rendendo quindi il ricorso del 2023 fuori termine.
Il cuore della sentenza, però, sta nella valutazione del secondo ricorso per motivi aggiunti, quello contro il diniego del condono e il conseguente nuovo ordine di demolizione. Il TAR ha confermato la legittimità degli atti adottati dal Comune, ritenendo che:
La sentenza si chiude con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite, quantificate in 3.000 euro.
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