Nel labirinto della normativa edilizia italiana, capita spesso che un intervento apparentemente banale – come la chiusura di una veranda – si trasformi in un contenzioso lungo e complesso. È quanto accaduto in un caso esaminato recentemente dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, in cui una proprietaria si è vista ordinare la demolizione di una parte della propria abitazione, nonostante interventi di ripristino eseguiti anni prima e persino una sentenza penale a lei favorevole.

Il cuore della vicenda è un’abitazione situata in una zona sottoposta a vincoli paesaggistici e sismici, dove modifiche edilizie non autorizzate – anche se risalenti a decenni prima – possono avere conseguenze gravi per il proprietario attuale.

La sentenza non solo conferma la validità dell’azione amministrativa intrapresa dal Comune, ma chiarisce anche un principio fondamentale: non basta aver “ereditato” una difformità per sottrarsi alle responsabilità edilizie.

Ma davvero un’opera realizzata prima dell’acquisto può ricadere sul nuovo proprietario? E un’assoluzione penale basta a evitare una demolizione?

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La veranda che diventa cucina: l’origine della contestazione

Tutto ruota attorno a una veranda trasformata in cucina. La proprietaria dell’immobile, sito a Santa Marina Salina – una località soggetta a vincoli paesaggistici e sismici – ha acquistato la casa nel 1990. A suo dire, al momento dell’acquisto, quel vano era già chiuso su tutti i lati e utilizzato a fini abitativi, come attestato dalla presenza di fornelli e lavandini. Undici anni dopo, nel 2011, presenta una Comunicazione di Edilizia (C.E. n. 66/2011) per avviare una ristrutturazione interna dell’edificio, allegando un progetto che identifica quel vano come “cucina” già esistente.

Ma nel 2013 qualcosa si inceppa. A seguito di un sopralluogo, l’Ufficio tecnico del Comune emette un’ordinanza che, pur non riscontrando difformità volumetriche, contesta l’uso di infissi in alluminio anodizzato di colore bianco nella cucina/veranda, in contrasto con quanto approvato. Il Comune impone alla proprietaria, entro 90 giorni, la rimozione degli infissi non conformi.

L’interessata esegue quanto richiesto, sostituendo gli infissi in alluminio con elementi in legno, rispettosi del vincolo paesaggistico.

Questa ottemperanza viene formalmente riconosciuta dal Comune con una nota del 2015. Inoltre, nel 2016, interviene una sentenza del Tribunale penale che assolve la proprietaria per le contestazioni edilizie, in parte per tenuità del fatto, in parte per intervenuta prescrizione. Sembrerebbe, a quel punto, che la vicenda sia chiusa.

Ma il colpo di scena arriva nove anni dopo.

Nel 2024, l’Ufficio tecnico comunale torna sul posto per un nuovo sopralluogo, inizialmente previsto solo per verificare il vano cucina. Tuttavia, l’accertamento viene esteso all’intero immobile. Il risultato è una nuova ordinanza, questa volta ben più articolata: si ordina la demolizione del vano cucina, ritenuto ancora abusivo, la rimozione di finestre ritenute non conformi, il ripristino di infissi originari trasformati in porte-finestre, l’abbattimento di un pergolato e persino la ricostruzione di un tramezzo interno.

Una doccia fredda per la proprietaria, che riteneva la situazione ormai sanata. Ma per il Comune le irregolarità erano tutt’altro che superate.

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Le nuove contestazioni del 2024 e l’ordinanza di demolizione

Il secondo sopralluogo effettuato nel luglio del 2024 cambia radicalmente la prospettiva. L’Ufficio tecnico comunale, dopo aver esteso l’accertamento a tutto l’immobile, redige una relazione in cui rileva numerose difformità rispetto al titolo edilizio originario del 2011. L’atto successivo è un’ordinanza dirigenziale di demolizione e ripristino, ben più severa della precedente.

Il provvedimento non si limita più alla sola tipologia di infissi: viene contestata l’intera esistenza del vano cucina, ritenuto il frutto di una chiusura abusiva della veranda, priva delle necessarie autorizzazioni paesaggistiche e sismiche. Nello specifico, il Comune contesta l’assenza del nulla osta da parte della Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali e la mancanza dell’autorizzazione del Genio Civile, obbligatoria per costruzioni in zona sismica ai sensi della Legge 64/1974.

Ma le contestazioni non si fermano lì. La nuova ordinanza impone anche:

  • La chiusura di finestre realizzate in difformità (con misure specifiche indicate per ogni lato dell’edificio);
  • Il ripristino di aperture sostituite con porte-finestre non previste nel progetto assentito;
  • La demolizione di un pergolato in legno con copertura in cannucciato;
  • La ricostruzione di un tramezzo interno eliminato tra soggiorno, camera da letto e bagno.

Parallelamente, anche il Genio Civile di Messina notifica un nuovo verbale di accertamento, ma limitato ad alcune difformità (le finestre). La proprietaria reagisce sostenendo che molte delle contestazioni siano frutto di errori tecnici o interpretazioni errate dei grafici progettuali presentati nel 2011. Tuttavia, queste argomentazioni non trovano accoglimento da parte dell’Amministrazione.

L’ordinanza, dunque, colpisce nel suo complesso: non solo perché individua abusi edilizi formali e sostanziali, ma perché contesta la totale assenza dei necessari atti autorizzativi, fondamentali in zone sottoposte a vincoli urbanistici e ambientali particolarmente stringenti, come le isole Eolie.

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Le difese della proprietaria e la valutazione del TAR

Di fronte alla nuova ordinanza, la proprietaria impugna il provvedimento sostenendo l’illegittimità delle contestazioni. Le sue difese ruotano attorno a diversi punti cardine, tra cui spiccano: la preesistenza del vano cucina rispetto al suo acquisto dell’immobile, l’avvenuta regolarizzazione degli infissi nel 2015 e la sentenza penale del 2016 che l’aveva assolta. A ciò si aggiunge la denuncia di vizi procedurali, come l’estensione del sopralluogo a tutto l’immobile anziché limitarlo al solo vano cucina.

Uno degli argomenti principali è che l’opera contestata – la trasformazione della veranda in cucina – sarebbe avvenuta prima dell’acquisto e dunque non realizzata dalla ricorrente. Inoltre, afferma che si tratterebbe di semplici lavori di ristrutturazione interna, non soggetti né ad autorizzazione paesaggistica né a parere sismico, poiché non avrebbero comportato modifiche strutturali rilevanti. Su questa base, chiede anche l’annullamento in autotutela del verbale del Genio Civile, ritenendolo viziato da un errore materiale.

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Ma il TAR sconfessa punto per punto tali difese. In primo luogo, osserva come la mancanza di autorizzazioni paesaggistiche e sismiche sia dirimente: indipendentemente da chi abbia materialmente eseguito i lavori, il proprietario attuale è responsabile della conformità edilizia del bene. Inoltre, la presunta preesistenza del vano non è stata dimostrata con elementi oggettivi, mentre la sentenza penale – sebbene assolvendo la proprietaria – non ha alcun effetto “sanante” in sede amministrativa. Il giudice chiarisce infatti che l’assoluzione penale era fondata su motivi tecnici (come la prescrizione o la tenuità del fatto) e non sulla regolarità delle opere.

Persino la nota comunale del 2015, in cui si attestava l’avvenuta sostituzione degli infissi, viene ridimensionata: quel documento, osserva il TAR, non si esprimeva in alcun modo sulla legittimità urbanistica del vano cucina, ma si limitava a certificare l’ottemperanza all’ordine relativo al solo materiale degli infissi.

Infine, per quanto riguarda l’estensione del sopralluogo, il TAR afferma che non esiste alcun divieto normativo in tal senso. Anzi, considera l’ordinanza un atto con cui il dirigente ha, di fatto, ratificato l’intero operato dell’ufficio tecnico, sanando eventuali dubbi sull’estensione dell’accertamento.

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La sentenza del tar: responsabilità, autorizzazioni e il valore della regolarità formale

Con la sentenza n. 1261/2025, il TAR Sicilia afferma chiaramente un principio di grande rilevanza per l’edilizia e la gestione immobiliare: la responsabilità per gli abusi edilizi ricade sull’attuale proprietario dell’immobile, anche se le opere contestate sono state realizzate da altri in epoca precedente. È un orientamento consolidato, ma che in questo caso viene ribadito con forza, soprattutto in presenza di vincoli paesaggistici e sismici, che impongono un regime autorizzativo molto più stringente.

Il Tribunale smonta l’idea, ancora diffusa, secondo cui un’assoluzione penale o un’autorizzazione edilizia parziale possano automaticamente “sanare” situazioni di irregolarità. L’autorizzazione edilizia concessa nel 2011 non può coprire opere non previste nei grafici progettuali, né tantomeno sostituire i pareri obbligatori di altri enti – come il Genio Civile o la Soprintendenza – in zone sottoposte a tutela.

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L’assenza di tali atti rende le opere abusive, a prescindere dalla loro datazione o dalla loro percezione come semplici interventi migliorativi.

Altro punto di rilievo è il rigetto della tesi secondo cui le difformità contestate sarebbero rientrate nelle cosiddette “tolleranze costruttive” introdotte dal Decreto “Salva Casa”. Il TAR ricorda che anche per queste fattispecie, in zona sismica, è richiesto un iter autorizzativo specifico e rigoroso. Non basta dunque appellarsi genericamente alla nuova normativa: occorre dimostrare, progetto alla mano, che le opere rientrano nei limiti consentiti e sono state regolarmente autorizzate.

Infine, la sentenza sancisce un altro principio operativo importante: la funzione di vigilanza edilizia consente ai tecnici comunali di estendere i controlli a tutto l’immobile, anche se il sopralluogo iniziale era riferito a una sola parte. Il dirigente comunale, emanando l’ordinanza, può di fatto convalidare l’intera attività ispettiva.

Si tratta dunque di una decisione che mette in guardia tutti i proprietari di immobili – in particolare in aree soggette a vincoli – sull’importanza di una verifica accurata dello stato legittimo dell’edificio e della documentazione autorizzativa, soprattutto in caso di interventi successivi all’acquisto.