Una sentenza del Consiglio di Stato chiarisce che l’Ecobonus non è applicabile retroattivamente a interventi già autorizzati come nuova costruzione, anche se la normativa successiva è più favorevole.
Negli ultimi anni, l’Ecobonus e il Sismabonus hanno rappresentato per migliaia di famiglie e imprese un’occasione irripetibile per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici e, allo stesso tempo, ottenere consistenti vantaggi fiscali. La possibilità di abbattere, ricostruire o riqualificare immobili esistenti beneficiando di agevolazioni fino al 110% ha creato una vera e propria “febbre del cantiere”.
Ma come spesso accade, tra il desiderio di accedere ai bonus e la rigidità delle norme urbanistiche e fiscali si apre un solco difficile da colmare. In particolare, uno dei nodi più delicati riguarda la qualificazione giuridica dell’intervento edilizio: un lavoro di demolizione e ricostruzione può essere considerato ristrutturazione edilizia (e quindi agevolabile) oppure nuova costruzione (e dunque escluso dai benefici)?
E se il titolo edilizio originario risale a diversi anni fa, è possibile chiedere una riqualificazione dell’intervento “a posteriori”, magari sulla base di normative sopravvenute più favorevoli?
A questa domanda ha risposto con chiarezza il Consiglio di Stato, offrendo spunti preziosi per capire quando l’Ecobonus si può davvero ottenere… e quando no.
Sommario
Tutto ha avuto origine da un intervento edilizio autorizzato diversi anni fa, con un regolare permesso di costruire rilasciato prima dell’entrata in vigore delle nuove norme in materia di ristrutturazione edilizia. Il progetto prevedeva la demolizione di un edificio esistente e la costruzione di un nuovo fabbricato bifamiliare, che è stato realizzato solo parzialmente a causa di ritardi dovuti – secondo quanto dichiarato – alla pandemia e all’aumento dei costi dei materiali.
Con l’introduzione dell’Ecobonus e del Sismabonus, l’impresa esecutrice ha cercato di riqualificare l’intervento già autorizzato e avviato come “ristrutturazione edilizia”, confidando nel fatto che la nuova definizione normativa – ampliata dal legislatore nel 2020 – consentisse di far rientrare anche questo caso tra quelli incentivabili.
Il ragionamento era semplice, ma rischioso: se l’intervento può essere “letto” alla luce della nuova normativa, allora è possibile accedere oggi a bonus nati dopo l’autorizzazione iniziale, modificando la qualificazione giuridica originaria.
L’amministrazione comunale competente, tuttavia, ha respinto la richiesta, sostenendo che l’intervento restava una nuova costruzione e che non vi fossero i presupposti per una “retrocessione” a ristrutturazione edilizia, né dal punto di vista normativo, né da quello tecnico.
Ne è nato un contenzioso amministrativo che è arrivato fino al Consiglio di Stato.
Advertisement - PubblicitàCon la sentenza n. 5520 del 2025, il Consiglio di Stato ha respinto in via definitiva il ricorso dell’impresa, tracciando una linea netta tra ciò che può essere oggetto di riqualificazione edilizia e ciò che invece resta cristallizzato nei titoli originari.
Secondo i giudici, l’intervento in questione era stato chiaramente qualificato come “nuova costruzione” sin dalla fase autorizzativa. Questo elemento risulta evidente non solo dalla documentazione progettuale, ma anche dalla tipologia di titolo edilizio rilasciato, che – nel caso dell’Emilia-Romagna – per una ristrutturazione sarebbe stato una SCIA, e non un permesso di costruire.
La richiesta successiva dell’impresa di riclassificare l’opera come “ristrutturazione edilizia” per accedere ai benefici fiscali, è stata ritenuta inammissibile, poiché non può l’amministrazione mutare retroattivamente un titolo edilizio già rilasciato, sulla base di una normativa sopravvenuta.
Inoltre, è stato sottolineato che la nota del Comune con cui si ribadiva la qualificazione originaria dell’intervento non rappresentava un nuovo provvedimento, ma era un atto meramente confermativo, privo di autonomia giuridica e quindi non impugnabile.
Infine, i giudici hanno evidenziato un aspetto tecnico cruciale: non essendo più presente l’edificio originario (demolito), non era tecnicamente possibile verificare la corrispondenza dei volumi tra vecchio e nuovo edificio. Tale requisito, invece, è essenziale – secondo la normativa vigente nel 2015 – per poter considerare un’opera come ristrutturazione edilizia.
Advertisement - PubblicitàL’Ecobonus – e ancor più il Superbonus – è strettamente legato alla natura dell’intervento edilizio. Ai fini fiscali, la distinzione tra “ristrutturazione edilizia” e “nuova costruzione” non è solo formale: comporta effetti concreti sulla possibilità di accedere o meno alle agevolazioni.
Secondo l’art. 3, comma 1, lettera d), del DPR 380/2001, nella versione in vigore nel 2015 (cioè al momento del rilascio del titolo edilizio originario), la ristrutturazione edilizia comprendeva anche gli interventi di demolizione e ricostruzione, ma solo a parità di volumetria, e con vincoli ben precisi su sagoma e struttura, soprattutto nel caso di edifici soggetti a vincoli paesaggistici.
È solo con le modifiche introdotte nel 2020 dal Decreto Semplificazioni (DL 76/2020, convertito nella Legge 120/2020), che la definizione è stata ampliata, includendo anche demolizioni e ricostruzioni con variazioni di sagoma, prospetti, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche.
Tuttavia, questa nuova definizione non può retroagire per interventi già autorizzati con titoli rilasciati in precedenza. La sentenza chiarisce che la normativa urbanistica vigente al momento del rilascio del titolo è quella che conta, e non quella successivamente modificata, a meno che non si tratti di opere non ancora realizzate e di modifiche apportate in corso d’opera con nuove autorizzazioni.
Nel caso analizzato, né le condizioni originarie né quelle attuali – aggravate dall’impossibilità di verificare i volumi demoliti – permettevano di ricondurre l’intervento all’interno della definizione di “ristrutturazione edilizia”, rendendo di fatto inapplicabile l’Ecobonus.
Advertisement - PubblicitàLa sentenza del Consiglio di Stato rappresenta un precedente importante per cittadini, imprese e tecnici del settore. Dimostra chiaramente che l’accesso all’Ecobonus e al Sismabonus non dipende solo dalla qualità o dalla finalità dell’intervento, ma anche – e soprattutto – dalla coerenza giuridica e formale del titolo edilizio con i requisiti previsti dalla normativa fiscale e urbanistica.
Chi presenta una domanda di permesso di costruire indicando una “nuova costruzione” non può, a distanza di anni, chiedere che quell’intervento venga riletto come “ristrutturazione edilizia” solo perché le regole sono cambiate e ci sono vantaggi economici da cogliere. La legge non consente riqualificazioni postume per adeguarsi a incentivi fiscali sopravvenuti.
Il messaggio è chiaro: per non perdere l’opportunità offerta dai bonus edilizi, è fondamentale impostare correttamente fin dall’inizio la pratica edilizia, verificando con attenzione il tipo di intervento, i volumi, i vincoli e la normativa in vigore. Una pianificazione superficiale o troppo ottimistica può tradursi, come in questo caso, in un nulla di fatto.
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