La sentenza del TAR Lazio chiarisce che verande, pergotende e pensiline possono comportare demolizioni se realizzate senza permesso, ribadendo l’importanza del rispetto delle normative edilizie e urbanistiche.
Negli ultimi anni, sempre più cittadini hanno scelto di valorizzare balconi e terrazze con verande, pergotende o piccole tettoie, spesso nella convinzione che si tratti di “semplici migliorie” o di interventi in edilizia libera. Ma cosa succede quando il Comune ritiene queste opere abusive? E soprattutto: quali sono i limiti entro cui ci si può muovere senza rischiare sanzioni, o peggio, ordini di demolizione?
Una recente sentenza del TAR del Lazio ha fatto chiarezza su uno di questi casi, confermando l’obbligo di demolizione per alcune opere realizzate in assenza di titolo abilitativo, tra cui una veranda trasformata in salone, una pensilina, una pergotenda e perfino semplici elementi decorativi in legno. Un episodio che merita attenzione, perché ci mostra chiaramente dove finisca la libertà di “sistemare casa” e dove inizino le regole da rispettare.
Ti è mai capitato di pensare di chiudere un balcone per ricavarne un piccolo studio? O magari di installare una pergotenda per vivere meglio lo spazio esterno?
Ecco tutto quello che dovresti sapere prima di iniziare i lavori.
Sommario
Tutto nasce da un’ordinanza di demolizione emessa da Roma Capitale nel 2021, rivolta ai proprietari di un immobile in un quartiere residenziale della città. Dopo un sopralluogo tecnico, l’Amministrazione ha accertato la presenza di diverse opere edilizie realizzate senza alcun titolo abilitativo. Nello specifico, si trattava di una veranda di circa 26 metri quadri costruita sul terrazzo di copertura, strutturata con pali e travi in legno, copertura isolata e chiusura con vetrate, adibita a vero e proprio ambiente abitativo con angolo cottura e bagno. Accanto a questa, erano stati installati anche una pensilina, una pergotenda retrattile e modifiche decorative alla ringhiera del balcone.
Secondo l’Ufficio Tecnico del Comune, queste opere integravano un intervento edilizio di nuova costruzione e non potevano essere ricondotte né all’edilizia libera né a lavori di manutenzione straordinaria. Essendo state realizzate senza il prescritto permesso di costruire, l’unico esito possibile era l’ordine di ripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni, con l’abbattimento delle opere abusive.
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I proprietari hanno deciso di impugnare l’ordinanza davanti al TAR, sostenendo che le opere non comportassero alcun impatto volumetrico o urbanistico tale da richiedere un permesso e che, in ogni caso, fosse possibile valutare la loro sanabilità. Ma il Tribunale ha avuto un’altra opinione.
Advertisement - PubblicitàNel loro ricorso, i proprietari hanno sollevato numerose obiezioni, cercando di dimostrare che le opere realizzate non dovessero essere considerate abusivamente costruite. Innanzitutto, hanno sostenuto che l’ordinanza comunale fosse carente di motivazione, ovvero priva di una spiegazione sufficiente sulle ragioni dell’ingiunzione. In secondo luogo, hanno evidenziato la mancanza di istruttoria da parte del Comune, che non avrebbe valutato adeguatamente la possibilità di sanare gli interventi, magari con il pagamento di una sanzione pecuniaria anziché procedere alla demolizione.
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Dal punto di vista tecnico, i ricorrenti hanno cercato di ridimensionare la portata delle opere realizzate, inquadrando la veranda come una pertinenza e non come un nuovo volume, e quindi esonerata dal permesso di costruire. Anche per la pensilina, la pergotenda e le modifiche alla ringhiera hanno richiamato normative e sentenze che, in alcuni casi, ammettono simili strutture in edilizia libera, cioè senza necessità di autorizzazione.
L’intera difesa si è basata sull’idea che gli interventi fossero compatibili con la destinazione urbanistica della zona – un’area residenziale prevista dal Piano Regolatore – e che non avessero causato alcun incremento del carico urbanistico. Di conseguenza, i proprietari ritenevano che fosse più corretto applicare un regime edilizio semplificato, come la SCIA, anziché il più rigido permesso di costruire.
Advertisement - PubblicitàIl Tribunale Amministrativo Regionale con la sentenza n° 9810/2025 ha respinto tutte le doglianze dei ricorrenti, sottolineando come l’intervento edilizio, nella sua interezza, costituisse una trasformazione sostanziale dell’immobile, incompatibile con l’edilizia libera. La veranda – elemento centrale del ricorso – è stata ritenuta un’opera che modifica volume, sagoma e prospetto dell’edificio, trasformando un terrazzo in un nuovo ambiente abitabile dotato persino di cucina e bagno. Di conseguenza, non può essere considerata una semplice pertinenza o una manutenzione straordinaria, bensì un intervento di ristrutturazione edilizia pesante, soggetto a permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del Testo Unico Edilizia (DPR 380/2001).
Il TAR ha richiamato una giurisprudenza ormai consolidata secondo cui la chiusura di balconi o terrazzi con strutture stabili e infissi altera la fisionomia dell’edificio, richiedendo autorizzazione formale. Allo stesso modo, la pergotenda retrattile, pur potendo rientrare in edilizia libera in certi casi, non lo è automaticamente: se la struttura è ancorata stabilmente e modifica lo spazio in modo permanente, serve un titolo edilizio.
Nel caso specifico, i ricorrenti non hanno fornito alcuna prova concreta – come documentazione tecnica o fotografica – che potesse dimostrare il carattere temporaneo e leggero dell’installazione.
Anche per quanto riguarda la pensilina e le modifiche alla ringhiera, il TAR ha affermato che, in assenza di elementi che dimostrino la loro reversibilità e irrilevanza estetica, tali interventi sono soggetti a titolo abilitativo. In sostanza, il Tribunale ha confermato che quando si interviene sulla struttura o sull’aspetto esteriore di un edificio, anche con opere apparentemente minori, il rischio di incorrere in sanzioni è molto concreto.
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