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Veranda chiusa sul balcone: il TAR conferma l’ordine di demolizione, abuso edilizio anche dopo decenni

Il TAR conferma la demolizione di una veranda su balcone, dichiarata abuso edilizio. Respinti i motivi del ricorrente, irrilevanti tolleranze costruttive e legittimo affidamento. Nessuna sanatoria automatica.

Veranda chiusa sul balcone: il TAR conferma l’ordine di demolizione, abuso edilizio anche dopo decenni Veranda chiusa sul balcone: il TAR conferma l’ordine di demolizione, abuso edilizio anche dopo decenni
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Quando una veranda diventa un abuso edilizio? E può davvero essere demolita anche se esiste da decenni? Con la sentenza n. 13598 del 2025, il TAR Lazio affronta un caso emblematico che coinvolge la chiusura con infissi di un balcone – una situazione diffusa nei centri urbani, spesso considerata di poca rilevanza.

Ma il Tribunale ha confermato l’ordine di demolizione emesso da Roma Capitale, respingendo il ricorso del proprietario che invocava il legittimo affidamento e la tolleranza costruttiva.

Quali sono le motivazioni alla base della decisione? E quali insegnamenti offre per chi possiede o intende realizzare interventi simili?

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Una veranda contestata e la difesa del proprietario

La vicenda ruota attorno a un piccolo manufatto, una veranda vetrata chiusa su un balcone, posta all’angolo di un fabbricato residenziale romano. Secondo Roma Capitale, l’intervento è stato realizzato senza alcun titolo edilizio, in violazione della normativa urbanistica vigente, e per questo è stato oggetto di un’ordinanza di demolizione notificata nell’agosto 2021. Il proprietario ha reagito con un ricorso al TAR, sostenendo che non si trattasse affatto di un abuso edilizio.

Secondo la tesi difensiva, infatti, la veranda era presente fin dall’origine dell’edificio, costruito negli anni Cinquanta con regolare licenza edilizia e abitabilità. A supporto di ciò, il ricorrente ha prodotto vecchi elaborati grafici e prospetti tecnici che – a suo dire – dimostrerebbero la presenza dell’infisso. Ma il punto focale della contestazione è anche un altro: quella veranda sarebbe stata inclusa nella SCIA e nella CILA presentate nel 2018, entrambe accompagnate dal parere favorevole della Soprintendenza capitolina, che non aveva sollevato obiezioni, neppure in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

Non solo. Il proprietario ha richiamato anche la normativa sulle “tolleranze costruttive”, introdotta nel Testo Unico dell’Edilizia (art. 34-bis del d.P.R. 380/2001), sostenendo che la chiusura del balcone ricadesse entro i limiti del 2% della superficie utile lorda, e quindi non dovesse essere considerata rilevante ai fini sanzionatori. In ultima istanza, ha invocato un legittimo affidamento, basato sul fatto che l’immobile era stato acquistato confidando nella regolarità urbanistica certificata da pratiche edilizie formalmente approvate.

Una difesa articolata, fondata su una pluralità di elementi tecnici, normativi e giurisprudenziali. Ma il TAR non ha condiviso nessuno di questi presupposti.

Approfondisci: Quando 4 metri quadrati fanno la differenza: il caso delle tolleranze edilizie e il decreto salva casa

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Le ragioni del TAR: abuso edilizio e limiti alla tolleranza costruttiva

Secondo il TAR Lazio, la tesi difensiva del ricorrente non è stata suffragata da prove concrete e convincenti. Gli elaborati tecnici prodotti risultavano ambigui e poco chiari: la stessa relazione allegata al ricorso, redatta da un tecnico incaricato, ammetteva che la documentazione grafica originaria “presenta incertezze che non consentono una interpretazione univoca”. In altre parole, nessuna certezza sulla preesistenza della veranda.

Anche il riferimento al parere favorevole della Soprintendenza, relativo alla CILA del 2018, è stato giudicato privo di rilevanza: quel parere si riferiva esclusivamente alla sostituzione di infissi, e non conteneva alcun riconoscimento esplicito della legittimità della veranda chiusa.

Leggi anche:Bonus infissi 2025: come funziona e perché conviene approfittarne

Ma il passaggio più significativo della sentenza riguarda l’inapplicabilità dell’art. 34-bis del D.P.R. 380/2001, che disciplina le cosiddette tolleranze costruttive. Il TAR ha chiarito che tale norma può essere invocata solo per lievi difformità risalenti alla fase costruttiva originaria dell’edificio, non per opere aggiuntive realizzate in un momento successivo, come nel caso in esame. In altre parole, non basta che l’opera sia “piccola” per evitarne la demolizione: se è abusiva, lo è a prescindere dalle dimensioni.

Inoltre, l’ordine di demolizione è stato ritenuto atto dovuto e vincolato, come chiarito da una consolidata giurisprudenza amministrativa. Non è necessario – spiega il TAR – che l’Amministrazione effettui un bilanciamento tra interesse pubblico e interesse privato, né che confuti nel dettaglio le osservazioni del ricorrente. È sufficiente che l’abuso sia riscontrato con chiarezza, e in questo caso la difformità urbanistica era evidente e motivata adeguatamente nel provvedimento impugnato.

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Nessun affidamento tutelabile: l’abuso edilizio resta permanente

Una delle difese più forti avanzate dal ricorrente riguardava il legittimo affidamento. Il proprietario sosteneva di aver acquistato l’immobile in buona fede, basandosi su una SCIA in sanatoria presentata nel 2018 e sulla conformità apparente delle opere esistenti. In sostanza, secondo questa prospettiva, l’Amministrazione non avrebbe potuto – anni dopo – irrogare una sanzione così invasiva come la demolizione.

Il TAR ha però respinto in modo netto questa impostazione. Richiamando più pronunce recenti del Consiglio di Stato (tra cui la n. 6373/2022 e la n. 204/2022), il tribunale ha affermato che l’abuso edilizio è un illecito permanente, che non si estingue col tempo né può essere sanato per via indiretta attraverso l’acquisto o la semplice tolleranza amministrativa. La sua illegittimità permane nel tempo, finché non venga eliminato o regolarizzato con gli strumenti previsti dalla legge.

Approfondisci: Il tempo può salvare un abuso edilizio in “totale difformità”? la decisione del TAR

Ne deriva un principio fondamentale: non esiste un affidamento tutelabile alla conservazione di un’opera abusiva. Né l’inerzia dell’Amministrazione né l’ignoranza del privato valgono a legittimare una situazione contraria alla normativa urbanistica. L’ordine di demolizione, proprio perché vincolato, non richiede neanche un interesse pubblico “attuale” da dimostrare: la sola esistenza dell’abuso basta a giustificarlo.

Questa impostazione, che può sembrare rigida, si inserisce in una visione della tutela urbanistica che mira a contrastare il consolidamento di situazioni irregolari, anche laddove appaiano marginali o tollerate nel tempo.



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TAGS: abuso edilizio, affidamento urbanistico, balcone, demolizione opere abusive, DPR 380/2001, edilizia Roma, regolarità urbanistica, SCIA CILA, sentenza TAR, tolleranza costruttiva, veranda, veranda balcone

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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