Sentenza parzialmente favorevole su veranda abusiva e modifiche interne: legittima la demolizione solo per opere che alterano volumi o prospetti. Le variazioni interne non sempre giustificano sanzioni.
Nel panorama complesso dell’edilizia italiana, le situazioni di irregolarità urbanistica legate a opere realizzate senza permesso continuano a rappresentare una delle principali fonti di contenzioso tra cittadini e pubblica amministrazione. Molto spesso, però, a finire al centro delle contestazioni non è chi ha materialmente eseguito l’abuso, ma chi ha acquistato l’immobile in buona fede, magari anni dopo la sua realizzazione.
Una recente sentenza del Consiglio di Stato ha fatto chiarezza su una questione particolarmente controversa: quando il Comune può ordinare la demolizione di una veranda o modifiche interne realizzate senza titolo edilizio, anche se l’attuale proprietario non ne è responsabile?
E soprattutto: la semplice diversa distribuzione degli spazi interni può essere sanzionata con la demolizione?
Il caso analizzato dai giudici amministrativi affronta proprio questi interrogativi, offrendo una risposta che potrebbe fare scuola per molte situazioni simili. Ti sei mai chiesto se basti un piccolo abuso a compromettere la regolarità dell’intero appartamento? Oppure se l’acquisto di una casa ti rende responsabile per errori commessi da altri?
Continua a leggere: potresti scoprire che la legge non è sempre così scontata.
Sommario
Il fatto nasce in un comune campano, dove una cittadina si è vista recapitare un’ordinanza di demolizione per alcune presunte opere abusive presenti nell’appartamento che aveva acquistato anni prima. Secondo quanto accertato dai tecnici comunali, le modifiche riguardavano principalmente tre interventi: la chiusura di un balcone per ricavare una veranda (destinata a uso cucina), la creazione di due nuove finestre su un prospetto esterno, e una nuova distribuzione interna degli spazi, con la comparsa di un “salottino” aggiuntivo e il ridisegno di alcune tramezzature.
L’ordinanza disponeva la demolizione delle opere, evidenziando la mancanza di titolo edilizio e l’esistenza di vincoli paesaggistici, sismici e idrogeologici sull’area. La particolarità del caso? Le modifiche erano già presenti al momento dell’acquisto e, secondo la proprietaria, mai contestate dal Comune per quasi vent’anni, nonostante comunicazioni precedenti e documentazione depositata regolarmente.
Il provvedimento, quindi, colpiva una situazione consolidata nel tempo, che la proprietaria riteneva non solo non abusiva, ma addirittura tollerata o ignorata dall’amministrazione. Da qui il ricorso prima al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), poi al Consiglio di Stato, nella speranza di ottenere giustizia.
Advertisement - PubblicitàLa difesa della proprietaria si è basata su argomentazioni che toccano punti centrali del diritto amministrativo e urbanistico. In primo luogo, è stato sottolineato come le opere contestate non fossero state realizzate da lei, ma già presenti al momento dell’acquisto dell’immobile, risalente agli anni 2000. Questo fatto, a suo dire, avrebbe dovuto escludere ogni responsabilità personale e impedire al Comune di emettere l’ordinanza sanzionatoria nei suoi confronti.
Un altro aspetto cruciale sollevato nel ricorso è il principio del legittimo affidamento: la proprietaria ha infatti evidenziato che il Comune era stato messo a conoscenza delle condizioni dell’appartamento sin dal 2001, quando erano stati presentati documenti (tra cui una D.I.A. e fotografie) relativi alla facciata e alla presenza della veranda.
Nonostante ciò, nessuna obiezione era mai stata sollevata fino al 2018, anno in cui un vicino segnalò la presunta irregolarità.
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Infine, la difesa ha sostenuto che, anche nel caso in cui le opere fossero risultate abusive, alcune di esse – come la variazione interna degli ambienti – non avrebbero comunque potuto essere sanzionate con la demolizione, in quanto riconducibili a interventi minori, come la manutenzione ordinaria o straordinaria, che richiedono al massimo una semplice comunicazione (SCIA o CILA).
Advertisement - PubblicitàCon la sentenza n. 5897 del 2025, il Consiglio di Stato ha affrontato un tema di grande rilievo per chi acquista immobili con opere non perfettamente conformi. La decisione si colloca nel solco della giurisprudenza più rigorosa, ribadendo che il potere sanzionatorio dell’amministrazione comunale non si estingue nel tempo, nemmeno quando gli abusi sono stati commessi da altri e la proprietà è nel frattempo cambiata.
Secondo i giudici, l’ordine di demolizione è un atto vincolato, che scatta automaticamente una volta accertata la difformità edilizia, soprattutto in aree soggette a vincoli paesaggistici. Non serve, quindi, che il Comune dimostri ulteriori interessi pubblici o fornisca motivazioni aggiuntive: il solo fatto di voler ripristinare la legalità urbanistica è di per sé sufficiente. Questo principio è stato già affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 9/2017, che ha escluso qualsiasi rilevanza al decorso del tempo o alla buona fede dell’acquirente, salvo eventuali azioni risarcitorie verso il venditore.
Nel caso concreto, è stato quindi ritenuto legittimo ordinare la demolizione della veranda, considerata un nuovo volume edilizio mai autorizzato. L’opera, benché integrata nel contesto abitativo da decenni, è stata giudicata abusiva e dunque incompatibile con l’assetto del territorio vincolato.
Non ha avuto peso neppure la circostanza che altre verande simili fossero presenti nell’edificio: per il Consiglio, ogni abuso va valutato autonomamente e non può essere giustificato dalla presenza di situazioni analoghe, anche se condonate.
Diverso è stato l’esito per gli interventi interni: la redistribuzione degli spazi e la realizzazione di un piccolo salottino sono stati considerati non rilevanti dal punto di vista urbanistico, in quanto non alterano né i volumi né l’estetica dell’edificio. Queste modifiche, se non incidono su elementi strutturali o non generano un maggiore carico urbanistico, rientrano nel concetto di edilizia libera e non possono essere soggette a demolizione.
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Advertisement - PubblicitàUn’altra parte dell’ordinanza di demolizione riguardava la realizzazione di due nuove finestre su un prospetto dell’edificio affacciato verso il mare. Anche in questo caso, il Consiglio di Stato ha esercitato un’analisi puntuale e non automatica, rilevando una mancanza di motivazione da parte del Comune. Secondo i giudici, infatti, non è sufficiente segnalare la presenza di nuove aperture: occorre spiegare se e in che modo queste incidano sugli elementi strutturali dell’edificio o se comportino una modifica significativa del prospetto, tale da giustificare un intervento repressivo.
Nel caso specifico, le finestre in questione si affacciano su un lastrico solare di proprietà esclusiva della stessa ricorrente e si trovano su un lato dell’edificio già alterato da interventi simili eseguiti negli anni e, secondo quanto emerge dagli atti, condonati. Non è quindi dimostrata una reale alterazione del decoro urbano, né un impatto tale da compromettere il paesaggio tutelato.
Per questo motivo, il Consiglio ha annullato anche questa parte dell’ordinanza, evidenziando che l’amministrazione non può procedere in modo generico o automatico, ma deve sempre motivare puntualmente i provvedimenti repressivi, specialmente quando incidono sulla proprietà privata e su scelte architettoniche che non appaiono invasive. Naturalmente, è stata lasciata la possibilità al Comune di intervenire nuovamente, ma solo a fronte di valutazioni tecniche più approfondite e coerenti con i principi di proporzionalità e ragionevolezza.
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