Una piscina interrata è considerata nuova costruzione: senza permesso di costruire scatta demolizione e possibili acquisizioni di area. La sentenza ribadisce l’importanza del titolo edilizio per opere permanenti.

Realizzare una piscina interrata nel proprio giardino è spesso percepito come un intervento “semplice”, un’aggiunta estetica e funzionale all’abitazione. Eppure, sotto il profilo urbanistico, si tratta di una delle opere più delicate, perché incide in maniera permanente sul territorio. Una recente sentenza del TAR Lazio chiarisce ancora una volta che una piscina, anche se prefabbricata e completamente interrata, non può essere considerata una pertinenza minore né un’opera soggetta a CILA o SCIA, ma rientra a pieno titolo tra le nuove costruzioni.
Di conseguenza, la sua realizzazione senza permesso di costruire espone il proprietario a sanzioni severe: dalla demolizione fino all’acquisizione gratuita dell’area da parte del Comune.
Ma perché la piscina è considerata una vera e propria trasformazione del territorio? Quando serve il permesso di costruire? E quali rischi concreti corre chi la realizza senza titolo edilizio?
Sommario
Il cuore della vicenda riguarda una piscina prefabbricata in pannelli d’acciaio, completamente interrata, di circa 2 x 6 metri. Un’opera apparentemente “ordinaria”, spesso proposta come installazione rapida e leggera, ma che in realtà comporta lavori significativi sul terreno: scavo, movimentazione terra, realizzazione di un vano stabile destinato a ospitare la vasca e integrazione dell’impiantistica.
Durante i sopralluoghi, l’amministrazione comunale ha accertato che la piscina era stata realizzata in assenza di qualunque titolo edilizio, nonostante la proprietà avesse un’istanza di condono pendente per altre opere. Il Comune ha quindi avviato il procedimento repressivo, contestando l’intervento come abuso edilizio e ordinandone la demolizione.
La piscina diventa così il fulcro della controversia, perché da essa discendono tutte le valutazioni giuridiche sul tipo di intervento, sulle sanzioni applicabili e sulla corretta qualificazione urbanistica.
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Advertisement - PubblicitàLa parte centrale della decisione riguarda la qualificazione giuridica della piscina. La proprietaria sosteneva che si trattasse di un intervento minore, potenzialmente riconducibile a CILA o SCIA, e quindi non soggetto a permesso di costruire. Il TAR Lazio, al contrario, applicando un orientamento ormai consolidato, ribadisce che una piscina interrata rappresenta una trasformazione stabile e durevole del territorio, e per questo rientra tra le nuove costruzioni ai sensi dell’art. 3 del DPR 380/2001.
La motivazione della sentenza è molto chiara: la piscina non può essere considerata un semplice arredo esterno né un’opera pertinenziale, poiché comporta uno scavo profondo, la creazione di un vano permanente e un impatto strutturale che incide sull’assetto urbanistico complessivo. Inoltre, essa svolge una funzione autonoma rispetto all’abitazione e determina un incremento di valore dell’immobile, elementi che escludono qualsiasi assimilazione a opere leggere o temporanee.
Il TAR richiama esplicitamente il principio secondo cui la piscina:
“costituisce nuova costruzione poiché realizza una trasformazione durevole del territorio con funzione autonoma”
Da qui discende un passaggio fondamentale: senza permesso di costruire, la piscina è abusiva, a prescindere dal fatto che sia prefabbricata o di dimensioni contenute. Non conta neppure che sia interrata: anzi, proprio l’interramento conferma la natura permanente dell’opera.
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Advertisement - PubblicitàQuando una piscina viene realizzata senza permesso di costruire, le conseguenze non sono affatto marginali. La normativa edilizia, infatti, considera gli interventi privi di titolo come abusi gravi, soggetti a un regime sanzionatorio particolarmente rigoroso. È quanto avvenuto anche nel caso esaminato dal TAR Lazio.
Il Comune, dopo aver verificato l’assenza del titolo abilitativo, ha emesso un ordine di demolizione imponendo alla proprietà di rimuovere la piscina entro 90 giorni e di ripristinare lo stato dei luoghi. Si tratta della misura prevista dall’art. 31 del DPR 380/2001 per le nuove costruzioni abusive: lo strumento sanzionatorio principale non è la multa, ma la demolizione fisica dell’opera.
La legge prevede inoltre che, se il proprietario non rispetta l’ordine entro i termini assegnati, il Comune possa procedere in via sostitutiva alla demolizione d’ufficio e, soprattutto, all’acquisizione gratuita dell’area di sedime su cui insiste l’abuso. Questo effetto è automatico e determina il trasferimento della proprietà del terreno all’ente pubblico. Nel caso specifico, l’amministrazione aveva quantificato tale superficie in 500 mq, una stima poi ritenuta illegittima dal TAR per carenza di motivazione, ma ciò non toglie che la piscina restasse abusiva e pienamente soggetta alle sanzioni previste.
In sintesi, costruire una piscina senza permesso non espone soltanto al rischio di doverla demolire: può comportare anche la perdita di una porzione di terreno e l’addebito dei costi dell’intervento eseguito dal Comune.
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Advertisement - PubblicitàUno dei punti più delicati affrontati dal TAR riguarda la decisione del Comune di prevedere, in caso di mancata demolizione, l’acquisizione gratuita di un’area pari a 500 mq. Una misura di grande impatto, soprattutto se si considera che la piscina e le opere contestate occupavano complessivamente circa 50 mq.
La legge consente effettivamente all’amministrazione di acquisire non solo l’area di sedime dell’abuso, ma anche una superficie ulteriore, fino a un massimo di dieci volte quella interessata dall’intervento. Tuttavia — sottolinea il TAR — questa facoltà non può essere esercitata in modo arbitrario. Ogni ampliamento dell’area da acquisire deve essere puntualmente motivato, spiegando perché sia necessario includere una porzione di terreno maggiore rispetto al sedime dell’opera abusiva.
Nel caso di specie, la determinazione comunale non forniva alcuna motivazione per giustificare i 500 mq indicati: nessun riferimento a esigenze urbanistiche, nessuna spiegazione delle dimensioni, nessun collegamento tra l’abuso e l’estensione dell’area da trasferire al patrimonio comunale.
Per questa ragione, il TAR ha ritenuto la quantificazione ingiustificata e quindi illegittima, annullando il provvedimento solo nella parte relativa all’acquisizione dei 500 mq, con obbligo per il Comune di rideterminarsi fornendo adeguate motivazioni. Resta però pienamente valido l’impianto sanzionatorio collegato alla piscina abusiva, compresa la legittimità dell’ordine di demolizione.
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Advertisement - PubblicitàLa decisione del TAR Lazio offre uno spunto molto utile per chi sta valutando di realizzare una piscina nel proprio giardino. La normativa edilizia, infatti, non considera queste opere come semplici accessori dell’abitazione, ma come interventi edilizi veri e propri, dotati di un impatto urbanistico significativo. Ecco i principali aspetti da conoscere prima di avviare i lavori.
In definitiva, chi intende costruire una piscina deve programmare l’intervento con attenzione, verificare gli strumenti urbanistici locali e ottenere i titoli necessari prima di avviare il cantiere. L’improvvisazione, in materia edilizia, può trasformare un desiderio di benessere in un problema molto costoso.
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