In Italia, il demanio marittimo rappresenta una categoria di beni pubblici tutelati con particolare rigore: si tratta di aree costiere che non possono essere occupate, trasformate o recintate senza un’apposita concessione amministrativa. Eppure, in molti casi, le linee che separano la proprietà privata dal suolo pubblico non sono visibili o ben note ai cittadini, e questo genera conflitti tra privati e amministrazioni locali.

Un recente caso giudiziario ha portato l’attenzione su una questione spesso sottovalutata: può un muro costruito anni prima diventare un abuso edilizio per chi lo eredita? E ancora: quando un’opera è davvero di uso condominiale e quando invece grava su un solo proprietario?

Queste domande sono state affrontate dal Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio in una sentenza che offre importanti spunti su responsabilità, uso del suolo pubblico e confini tra proprietà privata e demanio.

La vicenda nasce da un ordine di sgombero e rilascio di un’area costiera, emesso da un Comune del litorale laziale, nei confronti degli attuali eredi di un immobile costruito a pochi passi dal mare. Ma chi deve rispondere dell’abuso? E cosa succede se l’opera contestata è una recinzione condivisa con altri condomini?

Vuoi scoprire cosa ha stabilito il TAR e quali sono le implicazioni pratiche per i cittadini?

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La vicenda giudiziaria: tra proprietà privata e demanio pubblico

Tutto ha inizio con un’ordinanza di sgombero e rilascio emessa da un Comune costiero del Lazio, che contesta l’occupazione abusiva di un’area di demanio marittimo. L’oggetto del contendere è un piccolo cortile delimitato da una recinzione in muratura: secondo l’amministrazione, l’opera si estenderebbe su suolo pubblico, mai concesso in uso, e dunque da rimuovere.

La contestazione originaria risaliva a oltre un decennio prima, ma nel frattempo l’immobile era passato di mano per successione ereditaria. I nuovi proprietari hanno deciso di impugnare l’ordinanza, ritenendola illegittima per diversi motivi: non sarebbero stati mai informati delle infrazioni precedenti, la zona in questione sarebbe di natura incerta sul piano catastale, e, soprattutto, la struttura non sarebbe di loro esclusiva responsabilità.

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La vicenda processuale si è articolata nel tempo, tra rinvii, sospensive e un’istanza di prosecuzione dopo il decesso di uno dei ricorrenti originari.

La questione centrale è rimasta però sempre la stessa: è possibile ordinare la demolizione di un’opera costruita su suolo pubblico anche quando chi la riceve in eredità non è il diretto responsabile della sua realizzazione?

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Le contestazioni dei ricorrenti e le tesi difensive

I nuovi proprietari dell’immobile non si sono limitati a negare la loro responsabilità diretta, ma hanno articolato una difesa fondata su tre pilastri principali. In primo luogo, hanno sollevato dubbi sulla legittimità dell’ordinanza, sostenendo che fosse basata su un verbale risalente a molti anni prima, mai comunicato loro formalmente, e che la linea di confine del demanio marittimo non fosse mai stata chiaramente definita.

A sostegno di questa tesi, hanno citato una vecchia conferenza di servizi indetta dal Comune, in cui si evidenziava l’opportunità di avviare una procedura di delimitazione ufficiale dell’area, nonché una nota del Ministero delle Infrastrutture che riconosceva, in linea generale, criticità nella tracciatura dei confini lungo quel tratto di costa.

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Per i ricorrenti, questi elementi dimostravano l’esistenza di una situazione di incertezza topografica tale da rendere nullo o quantomeno illegittimo qualsiasi ordine di sgombero.

In secondo luogo, i ricorrenti hanno sostenuto che la recinzione non fosse di loro esclusiva proprietà, ma parte di una struttura condominiale utilizzata da più unità immobiliari. In quest’ottica, ritenevano che il Comune avrebbe dovuto notificare l’ordinanza anche agli altri proprietari e non solo a loro.

Infine, hanno eccepito che non essendo responsabili diretti dell’abuso, e non avendo ricevuto alcuna condanna penale, non si poteva procedere nei loro confronti con un ordine tanto perentorio. L’ordinanza, a loro dire, avrebbe travalicato i limiti imposti dalla normativa in materia edilizia e paesaggistica.

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Il TAR chiarisce: la responsabilità è reale, non personale

Con la sentenza pubblicata il 16 maggio 2025, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha respinto il ricorso, fornendo una serie di chiarimenti fondamentali sia dal punto di vista giuridico che urbanistico.

Uno dei punti cardine della decisione riguarda proprio la natura della responsabilità legata alle opere abusive sul demanio marittimo: per il TAR, non conta tanto chi abbia costruito l’opera, quanto il fatto che essa esista e venga mantenuta nel tempo.

Il principio affermato è chiaro: l’ordine di demolizione ha carattere “reale”, ovvero riguarda l’oggetto – l’opera abusiva – e non la persona. Di conseguenza, anche chi eredita un bene o ne diventa proprietario in un secondo momento può essere destinatario di un provvedimento sanzionatorio, se contribuisce a mantenerne l’illegittima occupazione.

Secondo il TAR, diversamente opinando si rischierebbe di rendere inefficaci le norme a tutela del demanio pubblico, ogni volta che il soggetto autore dell’abuso venisse meno o alienasse il bene.

A nulla è valsa, quindi, la tesi secondo cui i ricorrenti non erano responsabili diretti della realizzazione dell’opera: la permanenza dell’abuso e l’inerzia nel rimuoverlo giustificano l’intervento repressivo da parte dell’amministrazione.

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Condominio o proprietà privata? il muro che divide

Uno degli argomenti più rilevanti e delicati sollevati nella causa riguardava la natura del muro di recinzione contestato: si tratta di un’opera privata o condominiale? La differenza non è da poco, perché se il muro fosse stato di uso comune, l’ordinanza avrebbe dovuto coinvolgere anche gli altri proprietari del complesso edilizio.

Il TAR ha però dato una risposta netta: quel muro è di proprietà esclusiva. Per arrivare a questa conclusione, il giudice ha esaminato sia il regolamento condominiale, sia gli atti di compravendita, rilevando che non esiste alcun riferimento esplicito che attribuisca alla struttura una funzione condominiale o comune.

Anzi, il giardino delimitato dalla recinzione risulta formalmente e materialmente assegnato a una sola unità immobiliare.

La sentenza richiama anche un principio espresso dalla Corte di Cassazione: un’opera come un muro può essere considerata comune solo quando svolge una funzione al servizio dell’intero condominio o quando esiste un titolo negoziale specifico (come un regolamento contrattuale) che ne stabilisca chiaramente la natura condivisa.

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In mancanza di questi elementi, il muro deve considerarsi a uso esclusivo, e quindi il suo mantenimento in una posizione abusiva ricade interamente sui proprietari dell’unità corrispondente.