Il tema del cambio di destinazione d’uso è sempre più al centro dell’attenzione di cittadini, professionisti e amministrazioni locali, specialmente dopo l’introduzione del cosiddetto “Decreto Salva Casa”. Ma cosa accade quando la trasformazione d’uso avviene in una zona agricola, e magari senza eseguire opere edilizie? Serve comunque un titolo abilitativo? E se il cambio è già avvenuto, è sanabile?

A rispondere con chiarezza è una recente sentenza del Consiglio di Stato, che si è espresso su un caso nel Lazio, dove un proprietario aveva modificato la destinazione d’uso di un immobile da residenziale a commerciale in un’area classificata dal piano regolatore come agricola. Una vicenda che ha portato alla conferma di un’ordinanza di demolizione e di una sanzione, con implicazioni importanti per chiunque operi in ambito edilizio e urbanistico.

Ma quali norme sono state applicate? E perché il “Salva Casa” non è bastato a sanare la situazione?

Scopriamo insieme i dettagli.

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Un cambio destinazione d’uso da residenziale a commerciale senza permesso

Tutto ha avuto origine da una serie di interventi edilizi eseguiti su un immobile situato nel territorio comunale di Anagni, in un’area classificata dal piano regolatore come zona agricola (zona E). L’immobile, originariamente a destinazione residenziale, è stato oggetto di modifiche che includevano, tra l’altro, la realizzazione di un soppalco in legno, l’apertura di nuove finestre e – soprattutto – un cambio di destinazione d’uso a locale commerciale/artigianale.

Questi interventi, alcuni dei quali in difformità da una DIA (dichiarazione di inizio attività) precedentemente presentata, hanno portato il Comune ad emettere nel 2010 un’ordinanza di demolizione. Successivamente, nel 2014, l’amministrazione ha accertato la mancata completa ottemperanza all’ordinanza, rilevando che, nonostante alcuni lavori fossero stati rimossi, il cambio di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante era ancora in essere.

Il proprietario ha quindi intrapreso una lunga battaglia legale, sostenendo che il cambio d’uso fosse di tipo funzionale, non comportasse opere edilizie significative e non costituisse una “variazione essenziale” dell’immobile. Dopo una prima bocciatura del ricorso da parte del TAR Lazio, la vicenda è arrivata al Consiglio di Stato.

Leggi anche: Cambio destinazione d’uso immobile: come funziona?

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La posizione del consiglio di stato: Cambio destinazione d’uso rilevante anche senza opere

Con la sentenza n. 7951/2025, il Consiglio di Stato ha confermato la legittimità dell’operato del Comune, respingendo integralmente l’appello del proprietario. Il punto chiave della decisione riguarda la natura del cambio di destinazione d’uso, che – anche se effettuato senza interventi edilizi rilevanti – è stato ritenuto urbanisticamente rilevante e quindi soggetto a permesso di costruire.

La trasformazione dell’immobile da residenziale a commerciale è stata considerata non solo incompatibile con la zonizzazione agricola prevista dal vigente PRG, ma anche in contrasto con la normativa regionale. Il Consiglio ha infatti sottolineato che il cambio d’uso, in questo caso, ha comportato un mutamento della funzione urbanistica del bene, incidendo sull’assetto del territorio, indipendentemente dalla presenza o meno di opere murarie.

Per questo motivo, è stata confermata la validità della sanzione amministrativa e della conseguente determinazione comunale di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione. Nessuna rilevanza, ai fini della sanatoria, è stata attribuita alla parziale rimozione delle opere iniziali o alla riduzione in pristino di alcuni elementi minori: ciò che conta, ha affermato il Collegio, è la persistenza del cambio d’uso non autorizzato.

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Le norme applicate: tra L.R. Lazio, DPR 380/2001 e i limiti del “Salva Casa”

A fondamento della sua decisione, il Consiglio di Stato ha richiamato un articolato impianto normativo che regola il cambio di destinazione d’uso, a partire dalla legge regionale del Lazio n. 36/1987, così come modificata dalla L.R. 15/2008. In particolare, l’art. 7 della legge regionale, nella sua attuale formulazione, stabilisce che il passaggio tra diverse categorie urbanistiche – anche senza opere – è soggetto a permesso di costruire.

Il cambio effettuato nel caso in esame, da residenziale a commerciale/artigianale, rientra proprio in questa tipologia: una trasformazione tra categorie funzionali differenti, che richiede un titolo abilitativo specifico. La violazione di tale obbligo attiva la sanzione prevista dall’art. 16, comma 1 della stessa legge regionale, che consente al Comune di ordinare la demolizione dell’opera e il ripristino dello stato dei luoghi.

Non solo. Il Consiglio ha ritenuto inapplicabile il recente “Decreto Salva Casa” (DL 69/2024), che in alcuni casi ha introdotto una maggiore flessibilità per i cambi d’uso. Il motivo? Il decreto prevede semplificazioni esclusivamente per le zone A, B e C (centri storici, aree urbane consolidate, espansioni residenziali) come definite dal DM 1444/1968, mentre l’immobile oggetto della sentenza si trova in zona agricola (zona E), tuttora soggetta a vincoli urbanistici più stringenti.

La sentenza, quindi, chiarisce che non esiste alcuna liberalizzazione automatica del cambio di destinazione d’uso in zona agricola, nemmeno con l’entrata in vigore del “Salva Casa”.

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Attenzione al piano regolatore e ai titoli abilitativi

La sentenza del Consiglio di Stato rappresenta un importante monito per tutti coloro – proprietari, progettisti, imprese e consulenti – che operano nel campo dell’edilizia: anche interventi apparentemente semplici, come un cambio di destinazione d’uso senza opere, possono avere rilevanti conseguenze giuridiche, soprattutto se avvengono in aree sottoposte a vincoli urbanistici.

Il primo aspetto da considerare è il piano regolatore generale (PRG) del Comune: questo strumento disciplina in modo dettagliato le destinazioni ammesse per ogni zona, e intervenire in contrasto con tali previsioni – anche senza opere murarie – comporta il rischio di sanzioni, ordini di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi.

In secondo luogo, è fondamentale distinguere tra i cambi d’uso all’interno della stessa categoria urbanistica (ad esempio, da abitazione a ufficio) e quelli che invece comportano il passaggio a una funzione diversa (come da abitazione a negozio): solo i primi possono talvolta rientrare nella DIA o nella CILA, mentre i secondi richiedono, nella maggior parte dei casi, un permesso di costruire.

Infine, la sentenza sottolinea un punto cruciale: l’onere della prova della regolarità urbanistica ricade sul proprietario. Anche se si è rimediato in parte alle difformità, la persistenza di un uso non autorizzato continua a produrre effetti giuridici, e non può essere sanata ex post se non ricorrendo agli strumenti previsti dalla normativa – e sempre che il cambio sia compatibile con la destinazione urbanistica della zona.