Sentenza del TAR Lazio conferma la necessità di titolo edilizio per strutture esterne stabili, chiarendo limiti dell’edilizia libera e l’inapplicabilità retroattiva del Decreto Salva Casa.
Negli ultimi anni, l’uso di strutture leggere come gazebo, pergolati e coperture temporanee si è diffuso in modo capillare, soprattutto nel settore della ristorazione. Spazi esterni attrezzati e protetti dagli agenti atmosferici sono diventati essenziali per l’attività di molti locali, soprattutto dopo l’emergenza sanitaria, che ha incentivato l’uso dell’outdoor come alternativa ai tradizionali spazi interni.
Ma attenzione: non tutte queste strutture possono essere realizzate liberamente. Il confine tra edilizia libera e opere soggette a titolo edilizio (SCIA, permesso di costruire, ecc.) non è sempre chiaro e una valutazione errata può comportare pesanti sanzioni amministrative, con obbligo di rimozione e, talvolta, persino ripercussioni penali.
Una recente sentenza (sentenza n. 8684/2025) del TAR del Lazio ha confermato questo principio, rigettando il ricorso di un esercente sanzionato per aver installato una struttura ritenuta non conforme alla normativa edilizia. Un caso che fa scuola e chiarisce molti aspetti ambigui.
Ti sei mai chiesto se il tuo gazebo è davvero in regola? Sai cosa rischi se non presenti una SCIA o un permesso edilizio?
Scopriamolo insieme.
Sommario
Il caso esaminato dal TAR Lazio nasce dalla contestazione, da parte dell’amministrazione comunale, di una struttura metallica di circa 9,20 x 4 metri, coperta con materiali plastificati traslucidi e chiusa lateralmente tramite teli in PVC scorrevoli. All’interno erano presenti tavolini, sedie, pavimentazione continua, impianto elettrico e perfino un fungo riscaldante, segno evidente dell’utilizzo costante e non occasionale.
La struttura era stata realizzata senza presentare alcun titolo edilizio, in particolare senza SCIA, ed era funzionalmente connessa a un’attività commerciale (bar/ristorazione) situata nei pressi. Il Comune ha ritenuto che l’intervento integrasse una violazione dell’art. 22 del DPR 380/2001, comminando al responsabile una sanzione pecuniaria di 1.500 euro ai sensi della legge regionale Lazio n. 15/2008.
Leggi anche: La SCIA non basta: se la pergotenda è abusiva, scatta la demolizione
Il soggetto sanzionato ha contestato la legittimità del provvedimento, sostenendo che si trattasse di una struttura leggera e temporanea, rientrante nell’ambito dell’edilizia libera ai sensi dell’art. 6 del Testo Unico dell’Edilizia. A suo dire, la copertura e i teli laterali non garantivano un isolamento termico stabile né una vera chiusura dell’ambiente, e la struttura era priva di fondazioni, dunque teoricamente “amovibile”.
Il TAR ha però rigettato ogni tesi difensiva: secondo i giudici, la struttura aveva un impatto urbanistico rilevante, data la sua configurazione fisica e l’uso continuativo come spazio aggiuntivo stabile per il pubblico. Non solo: dalla documentazione emergeva che l’opera fosse stata installata ben prima della cessione dell’attività a un’altra società, rendendo comunque legittima la sanzione nei confronti del soggetto originario, ancora contrattualmente legato al luogo d’installazione.
Leggi anche: Cambio destinazione d’uso: SCIA insufficiente per dehors e tettoie?
Advertisement - PubblicitàIl cuore della decisione del TAR risiede nella distinzione – cruciale ma spesso sottovalutata – tra opere di edilizia libera e interventi soggetti a titolo edilizio. L’articolo 6 del DPR 380/2001 elenca gli interventi che possono essere realizzati senza alcun permesso o comunicazione, tra cui anche alcune strutture leggere, come pergolati, tende, coperture mobili e gazebo.
Ma non tutte le strutture rientrano in questa categoria. La giurisprudenza amministrativa, richiamata dal TAR, è chiara nel precisare che per parlare di edilizia libera la struttura deve essere:
Nel caso in esame, i giudici hanno evidenziato come la struttura oggetto di sanzione non avesse le caratteristiche dell’edilizia libera, essendo dotata di impianto elettrico, chiusure complete, porte, e destinata a un uso continuativo in tutte le stagioni. Non era quindi un semplice gazebo ornamentale o una tenda removibile, bensì una vera estensione funzionale dell’attività commerciale, idonea a generare un impatto urbanistico, anche sotto il profilo dei carichi urbanistici e del consumo di suolo.
Proprio per questo motivo, la struttura richiedeva almeno una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), se non addirittura un permesso di costruire, a seconda delle specifiche urbanistiche locali.
Leggi anche: Decreto Salva-Casa e decreto Concorrenza: i dehors sono salvi?
Advertisement - PubblicitàUno degli argomenti avanzati dalla difesa era l’applicazione retroattiva del cosiddetto “Decreto Salva Casa” (D.L. 69/2024, convertito nella L. 105/2024), che ha introdotto modifiche significative al Testo Unico dell’Edilizia, ampliando l’elenco delle opere considerate edilizia libera. In particolare, il decreto ha chiarito che tende da sole, pergole bioclimatiche, coperture leggere e simili, quando prive di effetti volumetrici stabili, possono essere realizzate senza titolo abilitativo.
Secondo il ricorrente, queste modifiche non costituirebbero vere innovazioni normative, ma solo una codificazione di orientamenti giurisprudenziali già consolidati, e quindi dovrebbero valere anche per fatti passati. Di conseguenza, la sanzione amministrativa avrebbe dovuto essere annullata, poiché la condotta oggi non sarebbe più considerata illecita.
Il TAR, tuttavia, ha respinto con decisione questa tesi, richiamando il principio fondamentale del diritto intertemporale: “tempus regit actum”. In assenza di una previsione espressa di retroattività o di una norma di interpretazione autentica, le nuove disposizioni si applicano solo agli atti e ai procedimenti futuri o ancora pendenti al momento dell’entrata in vigore della norma.
Non solo: il collegio ha sottolineato che anche qualora la nuova disciplina fosse considerata più favorevole, non si potrebbe invocare il principio della “lex mitior”, perché questo è applicabile solo alle sanzioni penalistiche, anche se formalmente amministrative. Le sanzioni edilizie, invece, sono amministrative in senso proprio e non rientrano in questo ambito.
Infine, anche le opere oggi ricondotte all’edilizia libera dal Decreto Salva Casa devono rispettare alcuni requisiti stringenti, tra cui il divieto di creare volumi chiusi, spazi autonomi e alterazioni permanenti del territorio. La struttura in oggetto, come confermato dalla sentenza, eccedeva ampiamente questi limiti, rientrando quindi in pieno tra le opere soggette a titolo edilizio.
Leggi anche: Decreto Salva Casa e vecchi abusi: cosa cambia davvero? Il vicino può opporsi all’abuso?
Advertisement - PubblicitàUn ulteriore fronte su cui il ricorrente ha cercato di ottenere l’annullamento del provvedimento sanzionatorio è stato quello procedimentale. In particolare, ha contestato all’amministrazione di non aver considerato le sue osservazioni difensive, presentate prima dell’adozione dell’ingiunzione di pagamento, in violazione dell’art. 10-bis della Legge 241/1990.
Questa norma garantisce al cittadino il diritto di conoscere le motivazioni ostative all’accoglimento della propria istanza o alla conclusione favorevole del procedimento, consentendo così un’effettiva partecipazione procedimentale e una difesa anticipata.
Il TAR, pur riconoscendo l’importanza della norma, ha chiarito che la sua violazione non comporta automaticamente l’illegittimità dell’atto, soprattutto nei casi in cui si tratti di attività amministrative vincolate – come nel caso della vigilanza edilizia. Infatti, quando un provvedimento è vincolato per legge, ovvero non lascia spazio alla discrezionalità dell’amministrazione, la mancanza di confronto preventivo non produce effetti invalidanti, a meno che il ricorrente non dimostri che le sue osservazioni avrebbero potuto concretamente influire sull’esito del procedimento.
Nel caso specifico, le argomentazioni difensive del ricorrente erano sostanzialmente identiche a quelle poi sviluppate nel ricorso giudiziale: insistevano sull’assenza di obbligo di titolo edilizio per l’opera realizzata. Il TAR ha quindi concluso che anche in presenza di un confronto più articolato, l’amministrazione sarebbe comunque giunta alla stessa decisione, data la natura strutturale e stabile dell’intervento.
Da ultimo, Roma Capitale ha documentato di aver inviato una comunicazione via PEC – pur non risultata ricevuta dal destinatario – a conferma dell’avvenuto esame delle osservazioni. Un ulteriore elemento che ha contribuito a escludere la fondatezza della doglianza.
Compila il form sottostante: la tua richiesta verrà moderata e successivamente inoltrata alle migliori Aziende del settore, GRATUITAMENTE!