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Demolire o pagare? Quando la tettoia diventa abuso edilizio

Una sentenza del TAR chiarisce che le tettoie di grandi dimensioni richiedono il permesso di costruire e non possono essere considerate pertinenze. La demolizione è atto obbligatorio.

Demolire o pagare? Quando la tettoia diventa abuso edilizio Demolire o pagare? Quando la tettoia diventa abuso edilizio
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Le tettoie sono tra le strutture più comuni realizzate senza permesso nei giardini o negli spazi esterni di case e ville. Apparentemente semplici, spesso vengono considerate dai proprietari come elementi secondari, di modesta entità, installabili senza particolari formalità. Eppure, quando superano certe dimensioni o incidono stabilmente sull’assetto urbanistico, possono trasformarsi in veri e propri abusi edilizi, con conseguenze gravi: multe salate, ordini di demolizione e lunghi contenziosi legali.

Una recente sentenza del TAR ha riportato sotto i riflettori questa tematica, confermando un principio importante: non tutte le tettoie possono essere considerate semplici pertinenze e, se costruite senza il necessario titolo edilizio, possono legittimamente essere demolite.

Ma quando una tettoia è davvero una pertinenza? In quali casi basta una semplice comunicazione di inizio lavori e quando, invece, serve un permesso di costruire?

E se arriva l’ordinanza di demolizione, è sempre possibile sostituirla con una sanzione pecuniaria?

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Il caso: una tettoia su basamento di cemento finisce al tar

La vicenda nasce nel Comune di Fiumicino, dove l’amministrazione ha ordinato la demolizione di una struttura in legno, classificata come abusiva. Si trattava di una tettoia di quasi 10 metri per lato, con altezza fino a 3,55 metri, ancorata a un edificio esistente e poggiante su un solido basamento in cemento di oltre 60 metri quadrati. A completare l’opera, altri due basamenti su cui erano fissati i pali portanti.

La proprietaria, destinataria dell’ordinanza, ha impugnato il provvedimento sostenendo che la tettoia fosse una semplice pertinenza dell’immobile e che, in quanto tale, non richiedesse un permesso di costruire, ma solo una comunicazione semplificata (DIA/SCIA). In alternativa, chiedeva che la sanzione demolitoria venisse sostituita con una multa pecuniaria, come previsto dalla normativa edilizia in alcuni casi specifici.

Il Comune, dal canto suo, ha confermato la legittimità dell’ordine, ribadendo che l’opera fosse una nuova costruzione non autorizzata, per la quale non era mai stata presentata alcuna richiesta di sanatoria.

Approfondisci: Demolizione evitata: come ottenere la sanatoria dopo l’abuso

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La demolizione è un atto vincolato: ecco perché il TAR ha dato ragione al comune

Nel rigettare il ricorso, il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha ribadito un principio ormai consolidato in materia urbanistica: l’ordine di demolizione di un’opera abusiva è un atto vincolato, e non necessita di una motivazione specifica sull’interesse pubblico da tutelare.

Secondo la sentenza, è sufficiente che il provvedimento descriva l’abuso e indichi le norme violate per essere considerato legittimo. In altre parole, se un’opera viene realizzata senza permesso di costruire quando questo è richiesto, l’amministrazione ha l’obbligo di ordinare la demolizione, senza dover valutare ulteriori aspetti discrezionali.

Leggi anche: Sanatoria edilizia in corso: perché blocca la demolizione

Il TAR richiama espressamente una serie di pronunce giurisprudenziali (tra cui il Consiglio di Stato e altri TAR) che confermano questa linea rigorosa: non è necessario dimostrare un interesse pubblico concreto e attuale, perché l’abuso edilizio in sé viola già l’assetto normativo e urbanistico del territorio. Inoltre, il decorso del tempo tra la realizzazione dell’opera e l’adozione dell’ordinanza non crea alcun affidamento legittimo nel privato, né obbliga la pubblica amministrazione a motivare ulteriormente il provvedimento.

In sintesi, il TAR afferma che l’autorità comunale, una volta accertata la realizzazione di un manufatto privo del necessario titolo edilizio, non ha alternative: deve ordinare la rimozione dell’abuso.

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Pertinenza o nuova costruzione? le dimensioni fanno la differenza

Uno degli argomenti principali della ricorrente era che la tettoia potesse rientrare nella categoria delle pertinenze urbanistiche, ossia quegli elementi accessori di un immobile principale che, in quanto tali, non richiedono un permesso di costruire. Tuttavia, il TAR ha escluso con decisione questa interpretazione.

Secondo la giurisprudenza amministrativa, affinché un’opera possa essere qualificata come “pertinenza”, deve rispettare criteri ben precisi: deve essere di modesta entità, funzionalmente accessoria rispetto all’edificio principale e priva di autonoma rilevanza urbanistica. Nel caso in esame, la tettoia aveva dimensioni rilevanti (oltre 90 metri quadrati, con altezza superiore ai 3 metri) e poggiava su una struttura fissa in cemento, alterando in modo duraturo lo stato dei luoghi.

La sentenza richiama esplicitamente anche il Consiglio di Stato, che più volte ha chiarito come le tettoie, se di dimensioni importanti e strutturalmente impattanti, debbano essere considerate nuove costruzioni, soggette a permesso edilizio. Solo quando sono leggere, rimovibili, e chiaramente destinate a funzioni di arredo o riparo temporaneo, possono rientrare nel regime delle pertinenze.

In questo caso, dunque, la tettoia non poteva essere qualificata né come pertinenza né come struttura precaria, motivo per cui l’assenza del permesso di costruire configura un abuso edilizio a tutti gli effetti.

Leggi anche: Pergotenda o tettoia? Quando una tenda diventa un abuso edilizio

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Sanzione pecuniaria? solo se la demolizione è impossibile

Un altro punto sollevato dalla ricorrente era la possibilità di evitare la demolizione, sostituendola con una sanzione pecuniaria, come previsto dall’art. 34, comma 2, del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001). La norma stabilisce infatti che, quando la rimozione dell’opera abusiva comporterebbe un pregiudizio per la parte conforme dell’edificio, è possibile applicare una multa pari al doppio del costo di produzione o del valore venale dell’abuso, anziché procedere alla demolizione.

Tuttavia, il TAR ha chiarito che tale possibilità ha carattere eccezionale e può essere presa in considerazione solo quando è oggettivamente impossibile demolire l’opera senza danneggiare la struttura principale. E nel caso in questione, la ricorrente non ha fornito alcuna prova tecnica o perizia che dimostrasse un simile rischio.

Leggi anche: Demolizione obbligatoria per opere abusive: il TAR ribadisce i limiti della fiscalizzazione

La giurisprudenza è ferma nel ritenere che l’onere della prova spetti al privato che intende avvalersi di questa alternativa. In assenza di elementi concreti, l’amministrazione non è tenuta a compiere alcuna valutazione discrezionale in tal senso, né ad avviare autonomamente accertamenti strutturali.

Inoltre, è stato ricordato che l’ordine di demolizione è solo il primo atto del procedimento repressivo, e l’eventuale valutazione circa l’applicazione della sanzione pecuniaria può avvenire in una fase successiva, su istanza motivata dell’interessato. Ma nel caso esaminato, nessuna richiesta del genere è mai stata formalizzata.



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TAGS: abusi edilizi, demolizione tettoia, DPR 380/2001, edilizia abusiva, giurisprudenza urbanistica, permesso di costruire, pertinenze urbanistiche, sanzione pecuniaria edilizia, sentenza TAR Lazio, tettoia senza permesso

Autore: Andrea Dicanto

Autore Andrea Dicanto
Appassionato Progettista esperto nel settore dell'Edilizia, delle Costruzioni e dell'Arredamento. Fin da giovane ho sempre studiato ed analizzato problematiche che vanno dalle questioni statiche di edifici e costruzioni fino al miglior modo di progettare ed arredare gli spazi interni, strizzando l'occhio alle nuove tecnologie soprattutto in ambito sismico.

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