Una sentenza del TAR Campania chiarisce che la data di costruzione ante ‘67 non basta a rendere un immobile legittimo, soprattutto se soggetto a pianificazione urbanistica antecedente.
Il tema del condono edilizio continua a generare contenziosi e interrogativi, soprattutto quando si intreccia con questioni di legittimità urbanistica e con l’invocazione dell’autotutela da parte dei cittadini. Un recente caso esaminato dal TAR Campania mette in luce come anche gli immobili realizzati prima del 1967 — data spartiacque per la normativa edilizia italiana — possano comunque risultare abusivi in assenza di documentazione certa o in presenza di piani regolatori già in vigore a livello comunale.
Nel caso oggetto di sentenza, una cittadina aveva chiesto il riesame in autotutela del rigetto di una domanda di condono edilizio presentata negli anni ’80 per un immobile che, secondo perizie tecniche, sarebbe stato edificato prima dell’entrata in vigore della cosiddetta “legge ponte” (legge n. 765/1967). L’Amministrazione comunale aveva tuttavia negato l’istanza, considerando l’intervento abusivo e ormai acquisito al patrimonio comunale.
Ma cosa ha stabilito il TAR? È sufficiente dimostrare che un edificio sia stato costruito prima del 1967 per considerarlo legittimo?
E quando davvero si può parlare di buona fede in una domanda di condono?
Sommario
La vicenda nasce da una domanda di condono edilizio presentata negli anni Ottanta per un fabbricato situato in una zona periferica della provincia di Caserta. L’immobile era composto da più livelli e, secondo il richiedente originario, le opere sarebbero state in parte realizzate in epoca antecedente al 1° settembre 1967, ovvero prima dell’entrata in vigore della legge n. 765/1967 che ha introdotto l’obbligo generalizzato di licenza edilizia.
Proprio questo aspetto temporale, unito alla presunta collocazione al di fuori del centro abitato, era alla base della convinzione che l’intervento fosse legittimo, o comunque suscettibile di sanatoria.
Tuttavia, l’amministrazione comunale aveva rigettato la domanda di condono ritenendola dolosamente infedele, a causa di una discordanza tra i dati iniziali dichiarati e quelli contenuti in una successiva integrazione documentale. L’ordinanza comunale non solo negava la sanatoria, ma disponeva anche la demolizione del manufatto. Anni dopo, la nuova proprietaria (erede del richiedente) ha tentato di ottenere il riesame in autotutela del provvedimento, producendo una perizia tecnica che certificava la presenza dell’immobile già nel 1966, sulla base di rilievi aerofotogrammetrici e altre indagini.
Nonostante la nuova documentazione, il Comune ha confermato il rigetto, ritenendo che non fossero emersi elementi nuovi e rilevanti tali da giustificare un mutamento della decisione originaria. Da qui il ricorso al TAR.
Advertisement - PubblicitàLa posizione dell’Amministrazione si è fondata su elementi tecnici e giuridici precisi. Il primo punto centrale riguarda il fatto che l’area su cui sorge il fabbricato non era, come sostenuto dalla parte ricorrente, una zona priva di pianificazione urbanistica nel 1967. Secondo quanto rilevato dal Comune, l’area in questione rientrava nella competenza del Comune di Caserta, già dotato di Piano Regolatore Generale dal 1954. Questo comportava che l’obbligo di licenza edilizia fosse in vigore già da quell’anno, indipendentemente dal fatto che l’immobile si trovasse o meno all’interno del centro abitato.
Inoltre, le aerofotogrammetrie storiche del 1966, prodotte per sostenere l’esistenza del fabbricato prima della legge ponte, mostravano solo una sagoma ridotta e non corrispondente a quella attuale. Il manufatto rilevato nelle immagini, infatti, non era allineato alla strada già esistente all’epoca e non coincideva con la conformazione successivamente dichiarata nella domanda di condono.
Dall’altro lato, la ricorrente sosteneva che, almeno per i piani cantinato e rialzato, l’immobile fosse da considerarsi legittimamente preesistente alla normativa del 1967 e dunque non soggetto a titolo abilitativo. A supporto di questa tesi erano state commissionate perizie tecniche volte a dimostrare l’epoca di costruzione e la natura non abusiva delle opere.
Tuttavia, secondo il Comune — e successivamente anche secondo il TAR — tali elementi non costituivano “fatti nuovi” idonei a rimettere in discussione una decisione già assunta con motivazione dettagliata, né a giustificare un intervento in autotutela.
Advertisement - PubblicitàCon la sentenza n. 6549/2025, il TAR Campania ha confermato la legittimità dell’operato del Comune, respingendo il ricorso presentato dalla proprietaria. I giudici amministrativi hanno ritenuto che non sussistessero elementi nuovi o fatti sopravvenuti tali da giustificare un riesame del precedente diniego di condono, e che la domanda originaria presentasse gravi criticità, a cominciare dalla sua dolosamente infedele rappresentazione dell’immobile oggetto di sanatoria.
La difformità tra i dati contenuti nella domanda originaria e quelli delle successive integrazioni è stata valutata come sostanziale: da una singola unità abitativa di circa 98 mq e 14 mq non residenziali si era passati, nella documentazione integrativa, a due unità abitative per circa 177 mq e 141 mq non residenziali, con un raddoppio del volume totale. Questa profonda discrepanza è stata considerata non giustificabile e tale da minare la credibilità dell’intera istanza.
Non solo. Il TAR ha anche evidenziato che, anche qualora si volesse ammettere l’esistenza di un manufatto al 1966, non vi sarebbe prova certa della sua consistenza, della sua conformità e della sua legittimità. Inoltre, ha ricordato che la proprietà dell’immobile risultava già acquisita al patrimonio comunale per effetto di una precedente ordinanza non impugnata, sollevando dubbi persino sulla legittimazione attiva della ricorrente a proporre il ricorso.
In definitiva, il Collegio ha ritenuto corretto l’operato del Comune, che non aveva il dovere di annullare in autotutela un atto già consolidato, privo di errori manifesti e fondato su valutazioni tecniche e giuridiche adeguate.
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