Il TAR Campania ha annullato un diniego della Soprintendenza per errori istruttori su vincoli culturali, ribadendo i limiti delle competenze nei controlli edilizi sugli immobili storici.
Quando si parla di ristrutturazioni in edifici storici, soprattutto nel cuore di città come Napoli, è inevitabile confrontarsi con regole molto stringenti. I vincoli imposti per tutelare il valore culturale e paesaggistico degli immobili possono trasformare lavori apparentemente ordinari in una vera e propria battaglia legale.
È quello che è accaduto nel caso deciso dal TAR Campania, dove la proprietaria di un appartamento vincolato si è vista negare l’autorizzazione a una serie di interventi di ripristino e adeguamento, ritenuti dalla Soprintendenza non compatibili con la tutela storica dell’edificio.
Ma fino a che punto la Soprintendenza può spingersi nel bloccare lavori su una proprietà privata? E quali sono i diritti di chi acquista un immobile sottoposto a vincolo?
Sommario
La vicenda trae origine dalla richiesta di autorizzazione avanzata dalla proprietaria di un appartamento ubicato in un palazzo storico del centro di Napoli, vincolato ai sensi della normativa sulla tutela dei beni culturali. L’obiettivo era regolarizzare e completare una serie di interventi edilizi, alcuni già eseguiti negli anni precedenti, tra cui il frazionamento di un’originaria unità immobiliare in due appartamenti distinti, l’apertura e la chiusura di varchi, la demolizione di un soppalco, la realizzazione di ripostigli aerei e l’adeguamento degli impianti.
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La proprietaria aveva sostenuto che una parte di questi lavori era stata realizzata prima dell’apposizione del vincolo culturale, mentre altri interventi più recenti erano comunque rispettosi delle caratteristiche strutturali e stilistiche dell’edificio. La richiesta mirava, quindi, a ottenere un parere favorevole dalla Soprintendenza per legittimare lo stato dei luoghi e completare le opere di finitura e ammodernamento.
La Soprintendenza, però, ha espresso un diniego motivato da molteplici criticità: in particolare l’assenza di titoli edilizi abilitativi che giustificassero sia il frazionamento sia alcune modifiche strutturali; la presenza di verande considerate in contrasto con la facciata storica dell’edificio; la realizzazione di nuove aperture ritenute lesive del valore architettonico originario; e la mancata esposizione dei solai lignei tipici dell’epoca di costruzione.
Secondo l’amministrazione, queste trasformazioni alteravano in modo sostanziale l’immobile tutelato e non potevano essere sanate in modo semplice.
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Advertisement - PubblicitàCon la sentenza n. 511/2025, il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania ha accolto in parte le ragioni della proprietaria, disponendo l’annullamento del provvedimento di diniego emanato dalla Soprintendenza. Secondo i giudici, l’amministrazione aveva svolto un’istruttoria incompleta, travalicando le proprie competenze e intervenendo su aspetti edilizi che spettano invece al Comune.
La funzione della Soprintendenza, infatti, deve concentrarsi esclusivamente sulla tutela dei valori storico-artistici e paesaggistici del bene, senza estendere la propria valutazione alla regolarità urbanistica o alla presenza di titoli edilizi comunali.
Il TAR ha anche evidenziato una carenza nella motivazione del provvedimento impugnato, che non esplicitava in modo adeguato perché le opere richieste fossero ritenute incompatibili con il vincolo culturale. Inoltre, la Soprintendenza aveva fatto riferimento a un vincolo del 1914 relativo a un immobile diverso, confondendo la reale estensione del vincolo apposto nel 1993 sull’edificio interessato dalla vicenda.
Questa confusione ha reso la decisione amministrativa viziata da errori di fatto e da un difetto di istruttoria, tali da giustificare l’annullamento disposto dal giudice amministrativo.
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Advertisement - PubblicitàQuesta sentenza rappresenta un punto fermo su alcuni principi giuridici fondamentali in materia di edilizia su immobili vincolati. In primo luogo, il TAR ribadisce che l’autorizzazione della Soprintendenza riguarda esclusivamente la compatibilità degli interventi con i valori storici, artistici e paesaggistici tutelati, mentre la verifica della legittimità edilizia e urbanistica rimane di competenza dell’amministrazione comunale. Si tratta di un principio ribadito anche dal Consiglio di Stato in più occasioni, secondo cui gli interessi di tutela culturale e quelli urbanistici operano su piani paralleli ma distinti.
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Un secondo punto importante riguarda l’obbligo di motivazione degli atti amministrativi. Il provvedimento con cui la Soprintendenza nega l’autorizzazione deve spiegare in modo chiaro e documentato perché un progetto risulti incompatibile con la tutela del bene, mettendo a confronto le scelte progettuali con i valori riconosciuti dal vincolo.
Nel caso trattato, la motivazione fornita era apparsa troppo generica e priva di un reale approfondimento sul progetto presentato dalla proprietaria.
Infine, il TAR ha richiamato l’obbligo di istruttoria completa: ogni provvedimento di diniego deve basarsi su un esame attento e aggiornato della situazione, evitando errori sull’individuazione del vincolo o sulla corretta identificazione dell’immobile interessato. La confusione riscontrata in questa vicenda, tra vincoli del 1914 e quelli del 1993, ha infatti reso illegittima la decisione della Soprintendenza.
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