Il progetto del Ponte sullo Stretto scatena un duro scontro tra Corte dei Conti e Governo: dubbi tecnici e legali, tensioni istituzionali, e un futuro incerto per l’opera.

Il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina torna al centro del dibattito politico e istituzionale italiano, ma stavolta non per questioni tecniche o ambientali. A infiammare la scena è lo scontro tra la Corte dei Conti e il Governo, esploso dopo il mancato via libera da parte della magistratura contabile alla delibera Cipess di agosto, che approvava il progetto definitivo dell’opera. Una decisione che ha generato fortissime reazioni da parte dell’esecutivo e un acceso confronto pubblico tra i poteri dello Stato.
Secondo la Corte, ci sono criticità tecniche ed economiche nel progetto, a partire dalla copertura finanziaria fino alla conformità con le normative ambientali e antisismiche. Il Governo, invece, accusa l’organo contabile di voler influenzare scelte politiche che non le competono, definendo la bocciatura una mossa “capziosa” e “politica”.
Ma cosa significa davvero questa decisione? Può il Governo ignorare il parere della Corte? E cosa potrebbe accadere adesso, sia sul piano politico che su quello operativo?
Scopriamolo nel dettaglio nei prossimi paragrafi.
Sommario
La Corte dei Conti ha deciso di non registrare la delibera Cipess dell’agosto 2024, che approvava il progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina. Una scelta rara e significativa, che ha messo in discussione non tanto l’opportunità dell’opera in sé, quanto la correttezza procedurale e la solidità tecnico-finanziaria del progetto.
Secondo quanto trapelato, i magistrati contabili hanno evidenziato diverse criticità:
Tutte queste obiezioni saranno formalmente rese pubbliche in una deliberazione entro 30 giorni, ma già oggi il quadro è chiaro: la Corte ha sollevato riserve di legittimità e merito, mettendo un freno a una delle opere più discusse della storia infrastrutturale italiana.
Advertisement - PubblicitàLa decisione della Corte ha scatenato una reazione durissima da parte del Governo. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha parlato apertamente di “invasione di campo” da parte della magistratura contabile, accusando la Corte dei Conti di interferire nelle scelte politiche e strategiche di competenza esclusiva del Parlamento e dell’Esecutivo. La premier ha liquidato come “capziosa” la bocciatura, ironizzando anche su uno dei rilievi formali: la trasmissione dei documenti tramite link digitali, criticata dalla Corte come modalità non conforme.
Più diretto ancora è stato il ministro delle Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini, che ha definito la scelta della Corte “un danno grave per il Paese” e “una decisione politica travestita da giudizio tecnico”. Nonostante il parere negativo, ha ribadito che i cantieri partiranno comunque a novembre, confermando la linea dura del Governo: andare avanti ad ogni costo.
Dalla maggioranza, anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha espresso “sconcerto”, sostenendo che “non è accettabile che un organo tecnico decida quali siano le opere strategiche da realizzare”. Ma l’opposizione ha colto la palla al balzo: per la segretaria del PD, Elly Schlein, Meloni sta cercando di posizionarsi “al di sopra della legge e della Costituzione”. Per i Verdi, invece, si tratta di una vittoria dello Stato di diritto, mentre alcuni parlamentari di centrosinistra hanno chiesto addirittura le dimissioni di Salvini.
Il contrasto tra Governo e Corte, dunque, non è solo tecnico, ma assume una valenza istituzionale profonda, sollevando interrogativi sulla separazione dei poteri e sul rispetto delle regole democratiche.
Advertisement - PubblicitàNonostante il mancato visto della Corte dei Conti, il Governo non è giuridicamente bloccato: l’ordinamento italiano prevede infatti un meccanismo che consente di superare il rifiuto della Corte. Il passaggio chiave è una deliberazione del Consiglio dei Ministri, che può dichiarare l’atto – in questo caso la delibera Cipess – come rispondente a un interesse pubblico superiore.
Se il CdM decide di confermare l’efficacia dell’atto, la Corte dei Conti è chiamata a riesaminare la questione a Sezioni riunite. Qualora permangano le riserve, i giudici contabili devono comunque registrare l’atto, ma con una formula particolare: il “visto con riserva”. Questo consente al provvedimento di entrare in vigore, ma trasferisce sul Governo la piena responsabilità politica dell’atto, soprattutto in caso di contenziosi futuri o di utilizzo improprio di fondi pubblici.
Secondo il sito ufficiale della Corte dei Conti, gli atti registrati con riserva vengono trasmessi periodicamente al Parlamento, che può valutarli anche in chiave di responsabilità politica o contabile. Insomma, la strada per proseguire i lavori c’è, ma è carica di insidie politiche e istituzionali: ogni errore o criticità futura sull’opera ricadrebbe interamente sull’Esecutivo.
Advertisement - PubblicitàIl Governo ha ribadito più volte che l’avvio dei cantieri è previsto per novembre, ma la decisione della Corte dei Conti rischia di cambiare le carte in tavola. Anche se l’esecutivo potrà forzare la mano con un “visto con riserva”, la presenza di criticità irrisolte potrebbe rallentare – o persino bloccare – alcune fasi operative del progetto.
I nodi da sciogliere sono numerosi: la copertura finanziaria definitiva, il rispetto delle normative ambientali e antisismiche, e soprattutto la revisione delle stime di traffico, che risultano datate, essendo basate in parte su studi di oltre vent’anni fa. Questo potrebbe generare ulteriori ricorsi, segnalazioni o perfino interventi a livello europeo, specie in relazione all’uso di fondi pubblici.
Inoltre, la forte esposizione politica del Governo su quest’opera rende ogni ritardo o problema un potenziale boomerang, sia sul piano del consenso che della tenuta istituzionale. Le opposizioni, che hanno già invocato le dimissioni di Salvini, non mancheranno di sfruttare ogni intoppo come prova dell’irrealizzabilità o dell’illegittimità del progetto.
Infine, va considerato anche il rischio che le imprese coinvolte si trovino in un contesto giuridico incerto, con impatti sulla solidità dei contratti, sulle assicurazioni e sulla gestione dei subappalti. La fase attuale, insomma, è tutt’altro che un “via libera”: il Ponte sullo Stretto resta un progetto in bilico, tra volontà politica e nodi tecnici ancora tutti da risolvere.
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