Manovra 2026 improntata alla prudenza: stop alla sanatoria edilizia, misure fiscali sulla casa, tensioni politiche e risorse limitate che incidono su edilizia privata, urbanistica e investimenti pubblici.

La corsa contro il tempo sulla manovra 2026 si è chiusa con un sabato ad alta tensione in Commissione Bilancio del Senato, tra veti incrociati, mediazioni dell’ultimo minuto e proteste accese delle opposizioni. Al centro del confronto non solo pensioni, fisco e banche, ma anche un tema che tocca da vicino cittadini e amministrazioni locali: il ritorno, seppur ridimensionato, della sanatoria edilizia, capace di riaccendere il dibattito politico e istituzionale.
Una manovra definita “light” nei numeri, ma tutt’altro che leggera negli effetti e nelle polemiche, che si prepara ora al passaggio decisivo in Aula. Quali conseguenze concrete avrà per il settore edilizio e urbanistico?
E cosa cambia davvero per chi ha immobili, cantieri aperti o vecchie irregolarità da sanare?
Sommario
Tra i passaggi più controversi dell’iter parlamentare della manovra 2026 c’è senza dubbio il tentativo di reintrodurre una sanatoria edilizia, richiamando esplicitamente il condono del 2003. La norma, inizialmente accantonata dopo le prime proteste, è riemersa nelle fasi finali dei lavori in Commissione Bilancio, scatenando la reazione immediata delle opposizioni, che hanno denunciato una “forzatura gravissima” e minacciato l’ostruzionismo.
Il nodo centrale riguarda la compatibilità di una sanatoria con una legge di bilancio, soprattutto a pochi giorni dalla chiusura dell’esame, e il rischio di legittimare abusi edilizi senza un adeguato confronto sulle ricadute urbanistiche, ambientali e sismiche. Dopo ore di tensione, la maggioranza ha scelto una soluzione di compromesso: la sanatoria è stata stralciata dal testo normativo e trasformata in un semplice ordine del giorno, privo di effetti immediatamente vincolanti.
Una scelta che ha permesso di sbloccare i lavori, ma che lascia aperta la porta a futuri interventi sul tema, alimentando l’incertezza per tecnici, comuni e proprietari immobiliari.
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Advertisement - PubblicitàAccanto allo scontro sulla sanatoria edilizia, la manovra 2026 introduce una serie di interventi che incidono direttamente sul comparto casa e sul patrimonio immobiliare delle famiglie. Tra le misure più rilevanti c’è la sottrazione della prima casa dal calcolo dell’ISEE, con l’innalzamento della soglia della franchigia e della scala di equivalenza fino a 91.500 euro: un correttivo pensato per alleggerire l’accesso a bonus e prestazioni sociali, soprattutto per il ceto medio proprietario di immobili.
Sul fronte degli affitti brevi a finalità turistica, il testo segna un cambio di passo: oltre i due immobili concessi in locazione, il reddito viene qualificato come reddito d’impresa, con un impatto significativo per chi opera nel settore in modo semi-professionale. Resta invece l’aliquota del 21% per la prima casa, mentre sale al 26% per la seconda.
Una distinzione che mira a colpire le rendite multiple senza penalizzare il piccolo proprietario, ma che rischia di aprire nuovi contenziosi interpretativi, specie nei centri storici e nelle città ad alta vocazione turistica. Nel complesso, la manovra conferma un approccio prudente: nessuna rivoluzione, ma aggiustamenti mirati che incidono sulla fiscalità immobiliare e sulle scelte di investimento nel mattone.
Advertisement - PubblicitàLe tensioni più forti all’interno della maggioranza si sono consumate sul fronte delle pensioni, con effetti che, seppur indiretti, interessano anche il mondo dell’edilizia e delle costruzioni. Lo stop alle misure che avrebbero ristretto le uscite anticipate dal lavoro – dalla revisione delle finestre mobili al ridimensionamento del riscatto della laurea – evita un irrigidimento immediato del mercato del lavoro, dove il settore edile continua a soffrire carenze di manodopera qualificata.
Rilevante anche la novità sulla previdenza complementare: dal 1° luglio 2026 scatterà l’adesione automatica dei neoassunti nel settore privato, con possibilità di rinuncia entro 60 giorni. Una misura che potrebbe incidere sulla gestione del Tfr nelle imprese edili, soprattutto nelle realtà di piccole dimensioni, già sotto pressione per l’aumento dei costi e per l’incertezza normativa.
In questo quadro, la scelta di rinviare al 2028 l’adeguamento dei requisiti pensionistici per le forze dell’ordine e di sicurezza conferma la linea prudente dell’esecutivo, ma lascia irrisolto il tema di un ricambio generazionale che, nel comparto costruzioni, resta un nodo strutturale.
Advertisement - PubblicitàTra le novità meno evidenziate ma più rilevanti per il settore edilizio c’è il ridimensionamento del Piano Casa, che nella versione finale della manovra vede le risorse ridursi a 200 milioni di euro complessivi nel biennio 2026-2027, pari a 100 milioni l’anno. Una dotazione considerata modesta da enti locali e operatori del settore, soprattutto alla luce dell’emergenza abitativa che interessa molte aree urbane e della crescente difficoltà di accesso alla casa per le fasce medio-basse della popolazione.
Il taglio rischia di rallentare nuovi interventi di edilizia residenziale pubblica e sociale, oltre ai programmi di recupero e rigenerazione del patrimonio immobiliare esistente.
Per Comuni e Regioni, già alle prese con vincoli di bilancio stringenti, la riduzione delle risorse potrebbe tradursi in una selezione più rigida dei progetti finanziabili e in un ulteriore slittamento dei tempi di realizzazione.
Advertisement - PubblicitàAccanto al capitolo casa, la manovra 2026 interviene anche sul fronte delle grandi opere infrastrutturali e degli incentivi alle imprese del comparto costruzioni. In particolare, viene disposto il rifinanziamento delle risorse destinate al Ponte sullo Stretto di Messina, rimodulando gli stanziamenti alla luce dell’avanzamento dell’iter amministrativo. Le somme non impegnate nel 2025 vengono riallocate sugli anni 2032 e 2033, mantenendo invariato il valore complessivo dell’investimento autorizzato. Una scelta che conferma la volontà politica di non arretrare sul progetto, ma che al tempo stesso sposta in avanti l’impatto concreto sul sistema degli appalti e sull’indotto edilizio.
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Sul versante degli incentivi, arriva invece una notizia positiva per le imprese: vengono prorogate fino al 30 settembre 2028 le agevolazioni per gli investimenti in beni strumentali materiali e immateriali funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale, nell’ambito dei programmi Transizione 4.0 e 5.0. Una misura che interessa da vicino anche il settore edilizio, sempre più coinvolto nei processi di digitalizzazione dei cantieri, nell’utilizzo di macchinari avanzati e nelle tecnologie per l’efficientamento energetico.
Resta tuttavia il nodo della ritenuta d’acconto, che scatterà dal 2028 con aliquota dello 0,5% e salirà all’1% dal 2029, introducendo un ulteriore elemento di attenzione nella pianificazione finanziaria delle imprese.
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Advertisement - PubblicitàPer finanziare una manovra da 18,7 miliardi senza sforare gli equilibri di bilancio, il governo ha scelto di chiedere uno sforzo significativo a banche e assicurazioni, chiamate a contribuire con circa 11 miliardi nel prossimo triennio. L’aumento dell’Irap del 2%, la riduzione della deducibilità delle perdite e il raddoppio della Tobin Tax rappresentano interventi che, seppur mirati, potrebbero avere ricadute indirette sul settore edilizio.
Il rischio, evidenziato da più operatori, è una maggiore cautela nell’erogazione del credito, proprio in una fase in cui imprese e famiglie necessitano di finanziamenti per ristrutturazioni, nuovi cantieri e acquisto della casa. La previsione di una franchigia di 90mila euro per i soggetti con base imponibile più bassa attenua l’impatto sulle realtà minori, ma non elimina le preoccupazioni sul medio periodo.
In un contesto di progressivo ridimensionamento degli incentivi edilizi, l’accesso al credito diventa infatti uno snodo cruciale per la tenuta del comparto delle costruzioni e per la programmazione urbanistica dei territori.
Advertisement - PubblicitàIl via libera della Commissione Bilancio non chiude però tutte le partite aperte, soprattutto sul fronte delle infrastrutture e dell’edilizia pubblica. Le opposizioni hanno denunciato il mancato reintegro dei fondi destinati alla realizzazione di nuove tratte metropolitane nelle grandi città, in particolare a Roma, Milano e Napoli, con il taglio di risorse strategiche come i 50 milioni previsti per il prolungamento della linea C della Capitale oltre piazza Venezia.
Un segnale che, secondo molti amministratori locali, rischia di rallentare opere già avviate o in fase di progettazione, con effetti a catena su appalti, occupazione e riqualificazione urbana.
Il testo approderà ora in Aula a Palazzo Madama per poi passare alla Camera, dove la fiducia prevista a fine dicembre dovrebbe blindare l’impianto complessivo. Resta però l’incognita politica: il ritorno ciclico di temi come il condono edilizio dimostra quanto la materia urbanistica continui a essere terreno di scontro, e quanto sia difficile conciliare esigenze di cassa, legalità e governo del territorio.
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