La convivenza all’interno di un condominio è spesso segnata da piccole o grandi tensioni legate ai rumori. Schiamazzi, musica a tutto volume, mobili trascinati nel cuore della notte: sono solo alcune delle situazioni che possono rendere difficile la vita tra vicini. Ma fino a che punto un rumore diventa penalmente rilevante? E, soprattutto, basta disturbare una sola persona per essere denunciati?

A rispondere a queste domande ci ha pensato di recente la Corte di Cassazione, che con una sentenza emessa nel 2025 ha tracciato i confini tra semplice fastidio e reato penale. Un chiarimento importante, soprattutto in un contesto in cui il disturbo alla quiete pubblica viene spesso sottovalutato o frainteso.

Ma cosa ha stabilito davvero la Suprema Corte? E perché non è sempre necessaria una perizia fonometrica per far condannare chi disturba il riposo altrui?

Scopriamolo insieme nel dettaglio.

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Il caso: rumori notturni e musica ad alto volume, intervengono i carabinieri

Tutto è iniziato con delle segnalazioni notturne da parte di alcuni condomini, esasperati da rumori molesti provenienti da un appartamento al piano superiore. Musica ad alto volume, spostamenti di mobili, oggetti che cadevano e cani che abbaiavano a lungo: una situazione che, soprattutto nelle ore dedicate al riposo, ha portato a richieste di intervento da parte delle forze dell’ordine, in più occasioni.

Durante uno di questi interventi, avvenuto attorno alle 3 del mattino, i militari hanno accertato la presenza di rumori forti e continui, giudicati idonei a compromettere la quiete non solo del singolo appartamento sottostante, ma potenzialmente di tutto il condominio. Gli agenti hanno riscontrato direttamente il volume elevato della musica, la presenza di animali rumorosi e uno stato di confusione tale da impedire un normale riposo notturno.

Il caso è così finito davanti al tribunale, che ha riconosciuto il comportamento dell’inquilino responsabile come violazione dell’articolo 659 del codice penale (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone), condannandolo al pagamento di una somma pecuniaria.

Tuttavia, il condannato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che il disturbo non fosse abbastanza diffuso da giustificare una condanna penale, e che mancasse una prova tecnica oggettiva, come una perizia fonometrica.

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Cosa dice la legge: il reato di disturbo e il concetto di “pubblica quiete”

Il reato contestato in questo caso è quello previsto dall’articolo 659 del codice penale, che punisce chiunque disturbi le occupazioni o il riposo delle persone. Si tratta di una norma che tutela un bene giuridico “superindividuale”: la quiete pubblica, intesa come la tranquillità collettiva, e non solo quella del singolo individuo.

Articolo n° 659 codice penale
Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone
Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti
pubblici, e’ punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a lire tremila.
((Nell’ipotesi prevista dal primo comma, la contravvenzione e’ punibile a querela della persona offesa, salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per eta’ o per infermita’.))
Si applica l’ammenda da lire mille a cinquemila a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’Autorita’.

Questo è un punto cruciale: per far scattare la responsabilità penale non serve che siano in molti a lamentarsi, ma è sufficiente che la condotta sia potenzialmente in grado di disturbare un numero indeterminato di persone, anche se nella pratica solo un vicino si è attivato.

La Cassazione ha ribadito che non è necessario provare un disturbo “di massa”: il giudice può condannare anche in presenza di una sola testimonianza, se ritiene che la situazione abbia un’effettiva attitudine a propagarsi oltre l’ambito di un singolo appartamento.

Ciò che conta non è quante persone si sono lamentate, ma quanto il rumore sia stato oggettivamente fastidioso e diffusivo. Secondo la Corte, quindi, non basta il disagio soggettivo di chi abita accanto: serve dimostrare che quei rumori abbiano avuto caratteristiche tali da potenzialmente disturbare più persone, come altri condomini o vicini.

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Non serve una perizia fonometrica: le testimonianze possono bastare

Una delle obiezioni sollevate dal ricorrente riguardava proprio la mancanza di una perizia fonometrica, ovvero di una misurazione tecnica del rumore effettuata da un esperto. Secondo la difesa, senza questo tipo di accertamento, non sarebbe stato possibile dimostrare il superamento della soglia della “normale tollerabilità”.

La Corte di Cassazione ha però respinto questa tesi, chiarendo un principio già affermato in passato: il giudice può fondare la sua decisione anche su altri elementi probatori, come le testimonianze dei vicini o le relazioni delle forze dell’ordine intervenute sul posto. In altre parole, non è obbligatorio ricorrere a periti o consulenti per dimostrare che i rumori abbiano superato i limiti accettabili.

Anzi, quando il disturbo viene descritto in modo chiaro e coerente da più fonti – come è accaduto nel caso in esame – il giudice può valutare autonomamente se ci sia stata una reale violazione della quiete pubblica. In questo senso, il ruolo delle testimonianze dirette acquista un grande peso, soprattutto se supportato da interventi documentati delle autorità.

Questo orientamento, ribadito anche in altre sentenze, rende più agevole per i cittadini segnalare situazioni di disagio reale, senza dover sostenere i costi e le complessità di una consulenza tecnica, che non sempre è alla portata di tutti.